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Dio sa come

Almeno cinque vie che Dio ha per offrire a tutti il dono della fede e della salvezza

Insomma, abbiamo visto che in fin dei conti siamo noi cristiani a fare tutte queste storie: gli altri, dai tempi del paganesimo romano al new age dei nostri giorni (che pure ha radici discretamente antiche), passando per le antichissime civiltà orientali, sembrano tutti ben disposti ad accogliere il nostro Gesù in una qualche nicchia del loro mondo numinoso. Noi cristiani invece no, proprio non ci stiamo: Gesù è l’unico e non può correre alcun rischio di passare per “uno dei tanti”.

Al di là di questo pur comprensibile bianco e nero c’è tuttavia una correttissima questione che si solleva immediatamente, dal momento che Gesù viene proclamato “unico salvatore”, e già vi facevamo cenno: se nessuno si salva se non per mezzo di Gesù, come fanno a salvarsi quelli che non lo conoscono? Non è pensabile che semplicemente siano condannati al fuoco eterno, se non altro perché l’esperienza c’insegna che sovente si tratta di persone dall’umanità impregnata della ricerca dell’assoluto, se non della sua stessa presenza. Correremmo il rischio, in breve, di voler essere tanto precisamente inflessibili nell’applicazione di ciò che ci parrebbe la ovvia e coerente “giustizia di Dio” da trovarci improvvisamente di fronte a un Dio capricciosamente volitivo, ingiusto e illogico: perché il Dio che professiamo volere “che tutti siano salvi e giungano alla conoscenza della verità” dovrebbe respingere uomini e donne che, non avendo saputo nulla di Gesù Cristo, non hanno professato la fede cristiana? È “giustizia”, questa? Anche un uomo saprebbe essere più sensato.

Tuttavia il dato della Scrittura è chiaro: «Nessun altro nome [che quello di Gesù, n.d.r.] è stato dato agli uomini, sotto al cielo, nel quale è stabilito che possiamo essere salvati»! Come va preso questo versetto, dal contenuto così autorevole? Avevamo detto: «Chi si rivolge a Cristo e a lui si affida nella vita teologale è salvato». Se invertiamo invece la prospettiva abbiamo: «Chi è salvato lo è per mezzo di Cristo». Il rischio è fin troppo evidente: con questa seconda prospettiva noi rischiamo di vanificare non solo il senso della missione, ma anche quello della più quotidiana e semplice testimonianza – ma più ancora si vanificherebbe del tutto il senso della prima missione e della prima testimonianza cristiane, ossia quelle di Cristo. Molto quello che guadagniamo, moltissimo quello che ci scivola tra le dita. Che fare? Come fare?

La soluzione in effetti sta tutta lì: come non di rado, la teologia trova la propria migliore ricchezza nel momento in cui ammette docilmente ciò che la eccede e non si vergogna di essere chiara sul fatto che talvolta chiara proprio non sa esserlo. Nella fattispecie: , è vero che nessuno si salva se non per mezzo di Gesù Cristo; , è vero che chi cerca onestamente Dio viene salvato mediante il mistero di Cristo; ma non siamo assolutamente capaci di sapere qual è “il giro” per cui Dio può salvare gli uomini che non hanno conosciuto Cristo senza fare torto alla sua giustizia. E così lo abbiamo scritto: «Per vie a Dio note e nei modi che Egli sa» (Cf. Ad Gentes 7). Visto che nell’induismo e in altre religioni orientali si raggiunge l’apice di quella problematica capacità di “inglobare Gesù” in una prospettiva in cui egli però non è chi pretende di essere di per sé, nell’esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Asia, di Giovanni Paolo II, si ritrovano molti dei temi che c’interessano.

In particolare, spulciando e studiando gli Acta Synodalia (vale a dire quei voluminosissimi registri in cui tutto quello che i partecipanti hanno detto è stato “messo agli atti”), Angelo Amato ha rinvenuto «almeno cinque vie che Dio ha per offrire a tutti il dono della fede e della salvezza». Che significa? E quali sono? La prima di queste “vie” è quella che può rispondere a entrambe le domande: si tratta dell’ordinazione alla Chiesa, sacramento universale di salvezza. Vale a dire, per quanto la cosa possa sembrare tautologica, che alla Chiesa «in vari modi appartengono, oppure ad essa sono ordinati, sia i fedeli cattolici sia gli altri credenti in Cristo sia, infine, tutti gli uomini che la grazia di Dio chiama alla salvezza» (Lumen Gentium 13). Il che sembra non essere una grande novità, tenendo presenti tutte le considerazioni che da un po’ andiamo facendo, ma bisogna ricordarsi che il magistero del Vaticano II ha veramente, in questo, operato una definizione importantissima in una materia estremamente difficile (come la storia del dogma sta a ricordare).

La Chiesa è una sola, dunque, e solo tramite quella ci si salva: ne si deduce che tutti quelli che si salvano devono essere messi in un qualche contatto con questa Chiesa. Dio sa come: non c’è una sola modalità possibile, e questo inerisce mirabilmente al mistero stesso di Cristo e della Chiesa. Venendo invece alle vie meno sibilline, la seconda che Amato ha riscontrato negli Acta Synodalia è l’obbedienza alla retta coscienza. Non è pericoloso, in un tempo minato dal relativismo, dire che ci si salva per l’aver agito conformemente alla propria coscienza? No, certo: anzitutto stiamo parlando delle vie accessibili a chi non ha conosciuto l’annuncio cristiano, e in secondo luogo l’aggettivo “retta” non è una parola oziosa – la retta coscienza è quella sorretta da onestà intellettuale e buona fede morale, non si può mai ridurre a uno sbiadito “è la mia opinione!”, “io penso così”. «L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio nel suo cuore: obbedire ad essa è la dignità stessa dell’uomo, e secondo questa egli sarà giudicato» (Gaudium et Spes 16).

E qual è il “contenuto” di questa legge? Proprio in esso Amato ravvisa la “terza via segreta di salvezza”, che è il comando generalissimo: «Fa’ il bene ed evita il male». Proprio perché nell’intimo della coscienza l’uomo riconosce di non essersi dato da sé questa legge, essa non può mai appiattirsi, di nuovo, sull’irritante (perché insignificante) “secondo me, questo è bene”, “secondo te, questo è male!”. «Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente gli dice alle orecchie del cuore: “Fa’ questo, fuggi quest’altro”» (Gaudium et Spes 16).

La “quarta via” sarebbe poi l’adesione alla verità quando essa s’impone nella sua evidenza. Cristo stesso pretende di essere la verità, ed è impensabile che egli si rifiuti a un uomo che accolga lo splendore della verità. Che significa questo? Semplicemente che ci sono dei momenti nelle vite degli uomini in cui la natura delle cose brilla ai loro occhî con un’evidenza particolare, specie in merito agli eventi fondamentali della vita (la nascita, la morte, l’amore, la fede, ma anche l’onore, la dignità, la giustizia, l’equità…). Quando davanti a questa evidenza un uomo mostra grato stupore, lì egli accoglie Cristo, anche se non lo sa.

La quinta (e “non ultima”) via è una lama a doppio taglio: la coerenza tra la fede e la vita, infatti, è quella per la quale può succedere che un cristiano, trascurandola, perda la salvezza che in Cristo gli è data chiaramente (nonostante i Sacramenti, l’annuncio della Parola, la comunione ecclesiale visibile…), mentre un non cristiano, conservandola, trovi grazia agli occhî di Cristo, unico e universale Salvatore. L’incoerenza dei cristiani, per inciso, è il grave scandalo cui in buona parte si deve il dilagare dell’indifferenza religiosa; ma la cosa interessante, che abbiamo appena evocato, è che la natura della Grazia divina è tale che – pur passando in modo più diretto, più chiaro ed “eminente” – nei Sacramenti e nell’annuncio della Parola, corre il rischio (sì, Dio rischia) di risultare vanificata, inefficace. Questo, se si vuole, “semplifica” la questione: che problema c’è, a pensare che un non battezzato potrà per giusta grazia trovarsi nel paradiso cristiano, se non abbiamo mai seriamente dubitato che un battezzato possa ritrovarsi giustamente all’inferno?

Come si vede, queste “cinque vie” non pretendono di esaurire l’esposizione delle misericordie di Dio, anzi sono semplicemente quanto risulta da una ricerca su alcuni importanti documenti magisteriali. Va pure notato, come anticipavo a proposito della prima di esse, che non sono di identica portata e di identico valore: meglio, se lo sono le ultime quattro, pur con qualche sfumatura, certamente queste non sono omogenee alla prima, che ne è come il fondamento. Sempre e solo perché Dio vuole salvare tutti mediante il suo unico Figlio, e visto che questi ha eseguito la volontà di quel Dio che ha chiamato “Padre” instaurando la Chiesa come mistero universale di salvezza, possono darsi distinti e differenti percorsi d’accesso all’unica Via della Vita.

 

About Giovanni Marcotullio (156 Articles)
Nato a Pescara il 28 settembre 1984, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Ginnasio "G. D'Annunzio" in Pescara. Ha studiato Filosofia e Teologia a Milano, Chieti e Roma, conseguendo il titolo di Baccelliere in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Prosegue i suoi studi specializzandosi in Teologia e Scienze Patristiche presso l'Institutum Patristicum "Augustinianum" in Roma. Ha svolto attività di articolista e di saggista su testate locali e nazionali (come "Il Centro" e "Avvenire"), nonché sulle pagine della rivista internazionale di filosofia personalista "Prospettiva Persona", per la quale collabora anche in Redazione.
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