Papa Francesco: “Ha aperto processi. Ora tocca a noi andare avanti”
"La sua parola, la parola della Chiesa, perché la sua parola era la parola della Chiesa, rimane dentro questa storia e la giudicherà. Che il Signore conceda a Lui il riposo eterno e a noi tanta fede per continuare alla luce del Suo insegnamento, ma anche alla luce degli insegnamenti di chi verrà dopo di Lui. Amen"

Ieri sera la Cattedrale di San Cetteo a Pescara era più gremita che mai per rendere omaggio a Papa Francesco, venuto a mancare lo scorso lunedì 21 aprile a Casa Santa Marta in Vaticano, nella santa messa in suffragio del Pontefice presieduta dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti e concelebrata dai sacerdoti dell’Arcidiocesi, che il presule ha voluto accanto a sé sospendendo le messe vespertine parrocchiali, con l’animazione liturgica del Coro diocesano diretto da Roberta Fioravanti.

In prima fila c’erano innanzitutto gli ultimi, i fragili e i bisognosi amati da Papa Bergoglio a tal punto che alcuni di loro (bisognosi romani assistiti dalla Caritas locale) oggi accoglieranno la sua salma per la tumulazione nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Così anche per la Chiesa di Pescara-Penne gli ultimi, da sempre curati attraverso l’opera incessante della Caritas diocesana e delle parrocchie, devono essere i primi e, per questo, anche le offerte della santa messa di ieri sera verranno devolute proprio ai carcerati (che il Papa aveva visitato pochi giorni prima di morire, donando 200 mila euro al Carcere minorile di Casal Del Marmo) e ai poveri: «“Perché la santità – ricorda monsignor Francesco Santuccione, parroco della Cattedrale, citando il defunto Pontefice prima dell’offertorio -, quella spicciola, passa per la tasca”».

E poi c’erano le autorità civili e militari e il popolo di Dio che ha risposto in massa all’invito rivolto dall’arcivescovo Valentinetti a non mancare a questa solenne celebrazione eucaristica: «Che porta con sé nel cuore il segno della mestizia – esordisce il presule -, perché il Santo Padre Papa Francesco, dopo 12 anni di pontificato, è tornato alla casa del Padre. Ma porta anche il segno della gioia pasquale, siamo ancora nell’ottava di Pasqua, e dunque l’annuncio della risurrezione. Che quella sua vita, seminata abbondantemente nei solchi della Chiesa, come seme caduto per terra, che marcisce e porta molto frutto, possa essere di benedizione e di grande intercessione e implorazione allo Spirito Santo, perché continui a guidare la Chiesa di Gesù Cristo. Ringrazio tutti voi che avete risposto a questo mio invito di celebrare insieme, come comunità diocesana, i Divini misteri. Con particolare deferenza il Prefetto (Flavio Ferdani), il Sindaco (Carlo Masci), il Questore (Carlo Solimene), la rappresentanza dei Cavalieri del Santo Sepolcro e tutti quanti voi, carissimi fratelli nel sacerdozio, nel diaconato, nell’accolitato, nei Ministeri della Chiesa e nelle varie comunità parrocchiali».

Nella successiva omelia, l’arcivescovo di Pescara-Penne ha quindi riletto il Pontificato di Francesco, prendendo come termine di paragone il Vangelo al centro della liturgia di venerdì 25 aprile 2025: «La Provvidenza – osserva monsignor Valentinetti – ci fa ascoltare sempre la Parola secondo il tempo che stiamo vivendo. E forse non c’era Parola più bella e più profonda per vivere questa comunione di preghiera per Papa Francesco, ma anche per tutta la Chiesa. Il capitolo 21 del Vangelo di Giovanni, che è stato proclamato, è un capitolo tardivo. Il Vangelo di Giovanni fu scritto probabilmente intorno al 100 dopo Cristo, di cui capitolo è un’aggiunta posteriore di almeno un centinaio d’anni. Perché? Perché la Chiesa primitiva aveva già vissuto quello che, forse, nella storia ha sempre vissuto e che stiamo vivendo anche in questo tempo, ovvero la possibilità di ricominciare da capo. La parola di Pietro, “Io vado a pescare”, ha un significato ben preciso. “Io torno a vivere il primo mandato, mi farò pescatore di uomini”. E quel mandato era talmente stretto nel suo cuore, che Pietro decide di andare a pescare. Formalmente riprende a fare il pescatore, ma sostanzialmente ricomincia ad essere pescatore di uomini. Ma, il testo è “terribile”, non prendono nulla. Già questa realtà del non prendere nulla vi era stata all’inizio della chiamata di Pietro. A questo punto c’è una scelta da fare, o ritirarsi o non fare più nulla o scoprire che qualcuno dice di “gettare le reti dall’altra parte della barca”. E lì la possibilità di fare la pesca, ma non secondo i canoni umani. Il raccolto non è dato dalle sensibilità e dalle capacità umane, ma dalla Parola di Gesù, indicato dal discepolo che Gesù amava, è il Signore. E allora tutti vanno e capiscono che ci deve essere una mescolanza forte di quello che essi potevano fare e di quanto il Signore Gesù poteva ancora dare. Tant’è vero che il pesce che essi portano, si mescola col pane e col pesce che si trova già sulla riva. E poi la richiesta, “Portate il pesce che avete preso or ora”. E viene tirata a riva una rete con 153 grossi pesci. Si è discusso molto su questo numero, probabilmente sono le nazioni cristiane già evangelizzate, ma l’annotazione “la rete non si spezzò”, significa mantenere insieme una rete con tante sensibilità, con tante diversità, con tante fatiche, è opera di Pietro. Egli deve far sì che questa rete non si spezzi».

Da qui il riferimento al magistero di Papa Francesco: «La grande intuizione che la Chiesa vive un cambiamento d’epoca – ricorda l’arcivescovo Valentinetti -, che forse bisogna ricominciare da capo un’evangelizzazione. Che forse bisogna ascoltare di più la Sua parola, per gettare la rete dove vuole Lui e non dove vogliamo noi. E dove vuole Lui, il Signore ce lo indica attraverso il magistero di Papa Francesco. “Fratelli Tutti”, “Laudato Si’” ed “Evangelii Gaudium”. Sono tutti testi che Papa Francesco ha consegnato alla Chiesa. Nell’attenzione ai poveri, nell’attenzione ai migranti, lì bisogna ricominciare da capo. E poi fidarci di Lui, fidarci del Signore Gesù. Francesco si è fidato cecamente del suo Signore. Certo, molti in questi giorni stanno dicendo che ha cominciato tante cose e non ne ha portate a conclusione alcune. Ma non era questo il suo intento, che invece era di aprire processi. Non ultimo il Sinodo della Chiesa universale e, perché no, anche il sinodo della Chiesa italiana. Aprire processi! Che cosa c’è al di là non lo sappiamo, non lo dobbiamo indovinare. Non dobbiamo pensare di dover tornare indietro “perché si è sempre fatto così”, ma dobbiamo andare avanti sotto l’azione dell’unico Signore della Chiesa, Gesù Cristo, e sotto la potenza dello Spirito Santo. Tempi difficili, oggettivamente parlando, ma tocca a noi! Questa è la generazione che deve vivere questo passaggio. Ma noi che amiamo la Chiesa, noi che amiamo il Papa… Mi dicono “qual è il Papa che ci vorrà dopo?”. Nella mia vita ho visto sette Sommi Pontefici, tutti adeguati al tempo che hanno vissuto, perché la Chiesa – sempre “Cum Petro e sub Petro” (con Pietro e in obbedienza a Pietro) – possa camminare nel tempo».
Eppure non tutti sono stati d’accordo su quest’ultimo punto: «Qualche potente di questo mondo non l’ha capito – constata l’arcivescovo di Pescara-Penne -, più di qualche potente di questo mondo, specialmente quando Papa Francesco ha fatto gli appelli al cessato il fuoco nelle guerre le più importanti e le meno importanti, stigmatizzando coloro che sono i fabbricanti delle armi. Ma la sua parola, la parola della Chiesa – perché la sua parola era la parola della Chiesa, rimane dentro questa storia e la giudicherà. Che il Signore conceda a Lui il riposo eterno e a noi tanta fede per continuare alla luce del Suo insegnamento, ma anche alla luce degli insegnamenti di chi verrà dopo di Lui. Amen».
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