Pace: “I governanti ritrovino diplomazia, dialogo e confronto”
il confine più arduo – precisa monsignor Carlo Maria Redaelli, presidente di Caritas italiana - è tra operatori e volontari Caritas e gli ultimi. Un confine che c’è perché siamo in due situazioni diverse, chi aiuta e chi ha bisogno di aiuto. Ma è un confine che va superato. Sarebbe utile meditare su alcune pagine del Vangelo capovolgendo i ruoli, ossia pensandoci noi come gli affamati, gli assetati, gli stranieri che abbiamo bisogno di aiuto. Mettersi dall’altra parte del confine della povertà e del bisogno, può essere una buona idea per farlo diventare luogo di contatto"


È «Confini, zone di contatto e non di separazione. “Non passare oltre senza fermarti” (Genesi 18,1-8)» il tema del 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane che, da lunedì 8 a domani giovedì 11 aprile, è in corso in Friuli Venezia Giulia a Grado (Gorizia) con la partecipazione di 600 delegati tra cui spicca il gruppo pescarese, guidato dal direttore della Caritas diocesana Corrado De Dominicis e composto dalla responsabile dell’Ufficio Mondialità Luigina Tartaglia e dal responsabile di Young Caritas Piergiorgio Mincarelli.
Lunedì ha aperto i lavori la riflessione sul tema del convegno, condotta dall’arcivescovo di Gorizia e presidente di Caritas Italiana monsignor Carlo Maria Redaelli: «Parlare di confini per noi è un tema necessario – afferma il presule -. Sul nostro confine è stato sospeso il trattato di Schengen, sono stati ripristinati i controlli; è quindi un confine reale per i migranti che vengono dalla rotta balcanica a Trieste, Gorizia e Udine. Le tre lingue che qui parliamo indicano un confine linguistico e culturale che c’era anche quando non esisteva un confine fisico – aggiunge elogiando la scelta di Gorizia e Nova Gorica, divise dal confine italo-sloveno, entrambe scelte come Capitale europea della cultura 2025 -. Se non ci fossero i confini delle tre lingue (italiano, friulano e sloveno) saremmo tutti più poveri, privi di punti di vista diversi. I confini sono anche positivi, perché garantiscono una diversità e un approccio complesso al mondo. Il confine è importante per la crescita stessa della persona. Chi è genitore e nonno, sa quanto della fragilità e dell’incertezza degli adolescenti derivi dalla mancanza di un confine educativo che noi adulti non siamo più capaci di proporre loro».

Ma i confini non sono solo linguistici o territoriali: «Dobbiamo riconoscere – ammette monsignor Redaelli – che, a volte, ci sono confini tra uffici e servizi della curia con il rischio di una pastorale frammentata e iniziative non coordinate che piovono sulle parrocchie. Ci sono però tentativi interessanti di lavoro condiviso per un impegno reale di evangelizzazione e testimonianze». Confini che non mancano neanche nel rapporto tra Caritas diocesane e delegazioni parrocchiali: «Ma il confine più arduo – precisa il presidente di Caritas italiana – è tra operatori e volontari Caritas e gli ultimi. Un confine che c’è perché siamo in due situazioni diverse, chi aiuta e chi ha bisogno di aiuto. Ma è un confine che va superato. Sarebbe utile meditare su alcune pagine del Vangelo capovolgendo i ruoli, ossia pensandoci noi come gli affamati, gli assetati, gli stranieri che abbiamo bisogno di aiuto. Mettersi dall’altra parte del confine della povertà e del bisogno, può essere una buona idea per farlo diventare luogo di contatto».
Ieri i delegati si sono poi spostati in pullman al confine tra Gorizia e Nova Gorica, due città separate internamente dal confine italo-sloveno, simbolo di una naturale e convivenza pacifica possibile tra due nazionalità e culture diverse. In particolare, nella concattedrale di Nova Gorica, è intervenuto il vescovo di Cassano allo Jonio e vice presidente della Conferenza episcopale italiana monsignor Francesco Savino: «La pace – afferma il presule – è una sorpresa, un incontro, vedere un muro che non c’è più, accorgersi che già prima si poteva vivere senza una separazione. Questa scoperta è dinamica, gioiosa, intima ma non privata, è collettiva e comunitaria. Riguarda le cose di ogni giorno e i posti dove noi abitiamo la vita».

Quindi monsignor Savino ha spiegato che “c’è un’architettura della pace”: «Che dipende dai governanti – precisa -. Devono recuperare la diplomazia, il dialogo, il confronto. La guerra è il modo peggiore di vivere i conflitti, ma esiste anche la strategia opposta della finta pace, ossia negare i conflitti e metterli sotto il tappeto. Invece, grazie al confronto che richiede il conflitto diventeremo diversi e migliori, per predisporci allo stupore del muro che cade e della vita che diventa più vivibile e spaziosa». Durante l’incontro non sono mancate testimonianze di sacerdoti e abitanti di Gorizia e Nova Gorica, che vivono il confine con grande naturalezza, come luogo di incontro e scambio. La visita pomeridiana si è poi conclusa con la messa nella Cattedrale di Gorizia presieduta dall’arcivescovo Carlo Maria Redaelli, presidente di Caritas italiana.