“Non restiamo inerti davanti alla violenza, siamo artigiani di pace”
"Liberiamoci da pericolose polarizzazioni che nutrono lo scontro – esorta il cardinale Zuppi - e scegliamo con convinzione, intelligenza e forza l’unica parte che è quella della pace. Non si resta a guardare. L’odio produce solo odio e non darà mai sicurezza e pace"

Ieri sera, dopo i vespri celebrati nella basilica di Santa Chiara, i vescovi italiani riuniti ad Assisi nell’Assemblea generale straordinaria della Cei si sono recati in processione nella basilica inferiore di San Francesco, presso la quale il cardinale presidente Matteo Zuppi ha presieduto la santa messa per invocare la pace pregando sulla tomba del santo: «Pace e bene. A noi, a tutti, specialmente a chi è sprofondato nella notte terribile della violenza e della guerra – esordisce il porporato nell’omelia -. Nella confusione e nell’incertezza della nostra vita il Signore ci chiede di non restare inerti davanti alla violenza, di non di farci mai irretire dalla sua logica, ma di essere con convinzione artigiani di pace. A chi ha tra le mani il destino di interi popoli – ricorda Zuppi – niente è perduto con la pace. È un ammonimento che sentiamo, però, rivolto a tutti noi. Vogliamo essere liberi dall’orgoglio, sapendo che tutto quello che abbiamo ci è donato e diventa nostro solo se ricordiamo che non è per noi. Il male è sconfitto quando liberiamo il cuore dall’uso del potere per sé. Solo chi ama possiede e trova sé stesso. Solo chi perde, trova. Solo chi serve ha il vero potere. Solo chi è umile, compie cose grandi. Solo chi è povero, rende ricchi gli altri e trova la sua ricchezza, il cento volte tanto già oggi dove la tignola non corrode e i ladri non portano via. Solo chi è umile riconosce il prossimo e lo rende prossimo. Solo chi è semplice sa capire ciò che è complicato».
Quindi il cardinale Zuppi ha espresso un altro duro ammonimento in riferimento alla guerra e a chi vi fa ricorso: «La guerra – sottolinea Zuppi – è una lebbra terribile, che consuma il corpo delle persone e dei popoli, ne fa perdere l’anima, tanto che non si è più capaci di amare, segnati dall’odio, dalle ferite della violenza. Oggi facciamo nostro il grido di Rachele, di tutte le madri da cui viene un pianto e un lamento grande e non vogliono essere consolate perché “i suoi figli non sono più”. Sono le lacrime di tutte le Rachele, di intere città e popolazioni, della Terra Santa, dell’Ucraina, di milioni di persone. Sono le nostre lacrime, che diventano preghiera insistente e ispirano azioni e scelte di giustizia e di pace».

A questo punto, il presidente della Cei ha fatto un cenno sull’ottavo centenario delle stimmate di San Francesco: «Il mondo è un enorme ospedale da campo – ricorda il cardinale Matteo Zuppi -. Proprio qui ad Assisi è sorto lo spirito che arriva a pensare “Fratelli tutti”. Papa Giovanni Paolo II lo chiese nello storico incontro del 1986: “Non c’è pace senza un amore appassionato per la pace. Non c’è pace senza volontà indomita per raggiungere la pace. La pace è un cantiere aperto a tutti, non solo agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi. La pace è una responsabilità universale: essa passa attraverso mille piccoli atti della vita quotidiana”. San Francesco ci ricorda che l’impegno per la pace non è di qualcuno, non c’è mai la pace se il fratello è in guerra – commentato Zuppi -. Ogni cristiano ha una straordinaria forza di pace. Anche quando la sua parola sembra non generare nulla. La pace e l’amore, il bene, producono sempre pace e bene, quando non lo vediamo. Ed è sempre umile e possibile a tutti».
Quindi, nella parte finale dell’omelia, il porporato ha rivolto un appello: «Liberiamoci da pericolose polarizzazioni che nutrono lo scontro – esorta Zuppi – e scegliamo con convinzione, intelligenza e forza l’unica parte che è quella della pace. Non si resta a guardare. L’odio produce solo odio e non darà mai sicurezza e pace. Facciamo nostro il grido di Papa Francesco, che in realtà è il grido delle migliaia di bambini uccisi: “Si soccorrano subito i feriti, si proteggano i civili, si facciano arrivare molti più aiuti umanitari a quella popolazione stremata. Si liberino gli ostaggi, tra i quali ci sono tanti anziani e bambini”. Nel cantiere della pace c’è posto per tutti e ognuno, ognuno, ha il suo. Un uomo di pace la dona a tanti intorno a lui, come fece San Francesco. È il nostro impegno per difendere la Casa Comune e perché sia la casa di ‘Fratelli tutti’. Non è il sogno ingenuo! È l’appassionato sforzo per costruire pezzo per pezzo la pace. E ognuno di noi ha il suo, importante per tutti».
Infine la citazione di una preghiera di don Tonino Bello: «Un grande vescovo italiano – ricorda il presidente dei vescovi italiani -, di cui quest’anno ricordiamo i 30 anni dalla morte, fino alla fine artigiano di pace e cantore dell’amore di Dio. “Spirito Santo, dono del Cristo morente, fa’ che la Chiesa dimostri di averti ereditato davvero. Trattienila ai piedi di tutte le croci. Quelle dei singoli e quelle dei popoli. Ispirale parole e silenzi, perché sappia dare significato al dolore degli uomini. Così che ogni povero comprenda che non è vano il suo pianto, e ripeta con il salmo: ‘le mie lacrime, Signore, nell’otre tuo raccogli’. Rendila protagonista infaticabile di deposizione dal patibolo, perché i corpi schiodati dei sofferenti trovino pace sulle sue ginocchia di madre. In quei momenti poni sulle sue labbra canzoni di speranza. E donale di non arrossire mai della Croce, ma di guardare ad essa come all’antenna della sua nave, le cui vele tu gonfi di brezza e spingi con fiducia lontano”».