“Se vogliamo crescere nella santità, cresciamo nell’evangelizzazione”
"Essere santi nella nostra quotidianità è cosa molto buona - ricorda monsignor Valentinetti -, ma dobbiamo camminare verso questo sforzo di conoscenza, questo sforzo di proposizione, non tanto per fare i predicatori spocchiosi, non tanto per fare gli integralisti che si attaccano alle piccole e grandi tradizioni o devozioncelle di turno, ma a quella che è la realtà di una fede di vissuta nel quotidiano, una fede vissuta restando fedeli alla terra, cercando le cose dell'alto. Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore"

È stata una riflessione come sempre molto concreta, quella espressa ieri sera dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti nell’omelia della santa messa presieduta nella Cattedrale di San Cetteo a Pescara, in occasione della solennità di Ognissanti nonché della Giornata per la santificazione universale promossa dal Movimento Pro Sanctitate: «Stiamo contemplando la santità – esordisce il presule – innanzitutto la santità di Dio e poi, alla luce della Parola, la santità di tanti che hanno raggiunto il grembo della Trinità. Ma la Parola del Vangelo di questa sera mi fa fare un’amara considerazione, perché è una parola del Vangelo, purtroppo, molto contraddetta. I poveri sono disprezzati, sono quasi allontanati. Anzi, se si può girare il volto dall’altra parte, quando abbiamo a che fare con un problema di povertà, forse lo si fa molto volentieri. Ma anche la povertà nello spirito. C’è tanta superbia, c’è tanta vanagloria. Non c’è chi consola. La consolazione di chi vive nel pianto e ce n’è tanta di gente che vive nel pianto. Penso ai malati, penso a chi ha perso una casa, penso agli immigrati. Molto spesso disperati, piangenti, perché non hanno nulla. Non c’è mitezza, si litiga per un non nulla. Sì, ci si contraddice, il cuore non è addolcito. Sembra quasi che dopo la pandemia ci sia una corsa a prevalere gli uni sugli altri. E poi la fame e la sete della giustizia. Una giustizia umana, che è sempre più difficile da perseguire, che è sempre più complicata da ottenere, e direi quasi da ricercare. Ci si scontra molto spesso con delle macchine burocratiche che, invece di dar ragione a chi ha ragione, danno ragione a chi ha torto. Non c’è misericordia, non c’è la logica del perdono. Anzi, c’è la logica della vendetta. Non c’è la purezza del cuore. Molti giovani sono abbandonati, attraverso i mezzi di comunicazione sociale, agli spettacoli più diversi e nessuno fa niente e nessuno dice nulla. Ma ancor di meno gli operatori di pace. Stiamo assistendo a delle brutalità mai, forse, viste prima se non nella Seconda guerra mondiale. E nessuno che dica con coraggio “Non c’è una ragione né da una parte né dall’altra, ma c’è la ricerca di una pace, la ricerca di una verità di pace da trovare”. Perché i bambini sono tutti uguali. I bambini ucraini, i bambini russi, i bambini ebrei, i bambini palestinesi. Sono tutti bambini e sono tutte creature di Dio. E i perseguitati per la giustizia, non ci ritorno, e l’incapacità – molte volte – come credenti di mettersi in gioco».
Un’analisi particolarmente cruda e disincantata, quella dell’arcivescovo: «Voi direte – osserva monsignor Valentinetti – “Ma questa sera sei disperato?!”. Non sono disperato. Mi sono fatto un esame di coscienza prima di tutto su me stesso, sulla mia vita, sulla vita della nostra Chiesa, sulla vita della società dove noi viviamo. E il desiderio grande che questa Parola possa diventare una Parola che si rovescia e che diventa un percorso di santità. Perché? Perché al di là di noi, al di là della nostra vita, al di là di queste situazioni, c’è un amore più grande. Vedete carissimi, quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio? E lo siamo tutti figli di Dio. Lo sono quei 144 mila della visione apocalittica appartenenti, così come era descritto, ai figli di Israele, ma poi è quella moltitudine immensa che nessuno poteva contare di ogni razza, di ogni lingua, di ogni tribù, di ogni popolo che sta davanti al trono e davanti all’Agnello. Quel fermento, i 144 mila, sono il fermento della santità, ma devono essere il fermento della santità e come Chiesa dobbiamo essere il fermento della santità. Dobbiamo far sì che questa parola delle beatitudini, letta alla rovescia, questa sera sia letta veramente nella sua verità».
Ma, a questo punto, per l’arcivescovo di Pescara-Penne c’è un segreto da svelare: «Che lo siamo realmente figli di Dio – sottolinea -, ma il mondo non ci conosce perché non ha conosciuto Lui. Il problema dentro questa storia ancora una volta, cari fratelli, è l’evangelizzazione. Se vogliamo crescere nella santità, dobbiamo crescere nell’evangelizzazione, dobbiamo crescere nell’annuncio del Vangelo “Verbis gestisque”, così come dice la “Dei verbum”, perché la rivelazione è stata con le parole e con le azioni. Noi dobbiamo lavorare con le parole e con le azioni a portare il Vangelo, perché il mondo non lo conosce. Il mondo è ancora digiuno. Voi direte, “Ma son passati più di 2 mila anni di cristianesimo e il mondo non lo conosce?!”. Sì, anzi, il mondo molto spesso lo contraddice e aspetta che cosa non si sa! Che cosa ci siamo nascosti dentro? Corazze di storia ci siamo nascosti dentro, corazze di tradizioni, ci siamo nascosti dentro un immobilismo del “Sempre si è fatto così” e non abbiamo avuto il coraggio di riprendere in mano una nostra verità. “Andate in tutto il mondo, annunciate il Vangelo ad ogni creatura, battezzate”. Credo che questo sia il principio della santità. Essere santi a casa è cosa molto buona, altrimenti contraddiremmo i monasteri di clausura. Essere santi nella nostra quotidianità è cosa molto buona, ma dobbiamo camminare verso questo sforzo di conoscenza, questo sforzo di proposizione, non tanto per fare i predicatori spocchiosi, non tanto per fare gli integralisti che si attaccano alle piccole e grandi tradizioni o devozioncelle di turno, ma a quella che è la realtà di una fede di vissuta nel quotidiano, una fede vissuta restando fedeli alla terra, cercando le cose dell’alto. Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore».
Da qui l’auspicio finale: «Che il signore ci conceda questa coscienza – conclude monsignor Tommaso Valentinetti -, ci conceda lo Spirito Santo in abbondanza. Siamo in un crinale particolare della nostra comunità diocesana. Ci stiamo incamminando per una nuova mentalità pastorale. Che il Signore ci illumini, che il Signore ci sostenga, ci faccia santi. Lui sì, perché solo Lui è santo, tre volte santo. “Kadosh, Kadosh, Kadosh”, ovvero santo, santo, santo. A lui affidiamo questa nostra povera vita, la vita della Chiesa, la vita dell’umanità, la vita soprattutto di coloro che in questi giorni stanno soffrendo e morendo. Amen».
Collaborazione tecnica: Gisella Mariani