“In Venezuela nella povertà abbiamo ritrovato la fede”
"La sinodalità, il camminare insieme, da noi è da tempo realtà che portiamo avanti con semplicità - testimonia il cardinale Porras -. La vita quotidiana della Chiesa non può andare avanti solo con i preti e i vescovi che “comandano”, ma sono importanti tutte le persone: i catechisti, i giovani, gli anziani. Da qui nasce la gioia di camminare insieme senza privilegi"
Sono stati 34 i sacerdoti venezuelani che, a partire dal 2004, hanno prestato servizio nell’Arcidiocesi di Pescara-Penne grazie ad un gemellaggio stipulato, all’epoca, con l’Arcidiocesi di Merida (attualmente sono 9 i presbiteri venezuelani attivi nella Chiesa di Pescara-Penne), che fino alla scorso gennaio è stata guidata dal cardinale Baltazar Porras attuale arcivescovo metropolita di Caracas, il quale lo scorso sabato 26 agosto si è recato in visita pastorale nella parrocchia di San Luigi Gonzaga, retta dal parroco don Amadeo José Rossi che di questi sacerdoti venezuelani è stato l’apripista, dove ha presieduto una santa messa concelebrata dal vicario foraneo di Pescara Porta Nuova don Massimiliano De Luca e dallo stesso parroco di San Luigi Gonzaga. A margine della messa, il cardinale Porras si è raccontato a Radio Speranza e La Porzione.it.
Eminenza già nel 2010, in occasione di un’altra sua visita nella nostra diocesi quando era arcivescovo di Merida, è stato intervistato dal nostro notiziario online. Oggi, a distanza di 13 anni, siamo tornati ad incontrarla. Nel frattempo molte cose, nella Chiesa e nel mondo, sono cambiate…
«Sono venuto a Pescara di ritorno dal Meeting di Rimini per il nostro beato venezuelano, il medico dei poveri José Gregorio Hernandez – che possiamo paragonare al vostro San Giuseppe Moscati – nominato dal Papa co-patrono della Cattedra della Pace del Laterano. Una vita molto bella, molto importante soprattutto molto attuale non solo per i venezuelani, ma anche per la Chiesa. Quello che ha fatto è ancora di grandissima attualità. Quando il Venezuela era un piccolo Paese senza importanza, ha donato la sua vita per la pace nel mondo al tempo della Prima guerra mondiale».
E il beato Hernandez è stato ricordato pochi mesi fa qui a Pescara, nella Cattedrale di San Cetteo, in una messa presieduta proprio da lei, concelebrata dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti con la partecipazione della comunità venezuelana residente in città. D’altra parte, sono tanti anche gli abruzzesi e i pescaresi che sono emigrati in Venezuela…
«La comunità italiana in Venezuela è importante. Dopo la Seconda guerra mondiale si sono trasferiti lì tanti italiani, portoghesi e spagnoli – circa un milione di persone per ciascun Paese -. Con noi si è creato un bel rapporto e ha significato un arricchimento culturale e religioso per tutti noi, così come è una grande gioia trovare qui in Italia, e in Abruzzo, tanti italiani e figli di italiani che ricordano il Venezuela e inviano aiuti, cibo e medicinali soprattutto, per aiutare i venezuelani. Si pensa che il nostro sia un Paese ricco, mentre invece è solo il governo ad essere ricco, non la gente. In questo momento attraversiamo un grave crisi, con povertà e miseria che sono grandi in tutto il Venezuela, e anche noi preti e vescovi dobbiamo aiutare la popolazione a non perdere la speranza. Ma, a differenza di quello che accade in Europa, in Venezuela avviene una rinascita della fede perché nella crisi e nella sofferenza abbiamo bisogno di Dio, per cercare il bene comune e la dignità delle persone. Questo fa sì che noi abbiamo una vita ecclesiale ricca e gioiosa».
Non a caso la Chiesa venezuelana riesce a “prestare” numerosi sacerdoti alla Chiesa di Pescara-Penne. Come procede questo gemellaggio?
«I sacerdoti presenti qui a Pescara provengono non solo dall’ Arcidiocesi di Merida, dove prima prestavo servizio, ma arrivano anche da altre diocesi venezuelane. Il rapporto con monsignor Tommaso Valentinetti è molto amichevole e fraterno. Così, anche stavolta, sono tornato a Pescara per venire a trovare i miei amici».
Eminenza, da pochi mesi lei non è più arcivescovo di Merida in quanto Papa Francesco l’ha trasferita alla guida dell’Arcidiocesi della capitale venezuelana Caracas. Un bella sfida, considerando anche i tumulti che vive questa metropoli…
«Sì, è stata una grande sfida per me, perché negli ultimi 5 anni sono stato arcivescovo di Merida e amministratore apostolico di Caracas. Le due città distano 800 chilometri e voi sapete qual è la situazione per la benzina, per i trasporti e per altre criticità presenti. Ciononostante è stata un’esperienza che mi ha arricchito, tornando nella mia città natale di Caracas. Ma in 40 anni che ho vissuto fuori il mondo è cambiato. Il cambiamento d’epoca rappresentato dalla globalizzazione ha toccato anche noi. Se in Europa, con il conflitto tra Russia e Ucraina, la guerra è vicina lo è anche in America latina a causa dei governi vicini alla Russia, alla Cina e alla Turchia. Purtroppo anche noi non siamo da meno da questo punto di vista».
È la famosa “terza guerra mondiale a pezzi” che il Papa stigmatizza e affronta per cercare di realizzare una pace che, purtroppo, appare ancora lontana…
«Per questo Papa Francesco ha inviato il cardinale Matteo Zuppi, con cui ho parlato in questi giorni, in Ucraina, Russia e Stati Uniti, ma non è facile perché quando il primo scopo è il potere e non sono le persone accadono queste cose. La pace non si trova con la guerra».
E lei, come pastore, cosa direbbe a queste persone che si fanno la guerra?
«In primo luogo dire loro di rispettare gli altri. Le differenze non devono essere terreno di scontro, ma una ricchezza che dobbiamo trovare. Così come, ad esempio, anche parlando di poveri e migranti non possiamo girarci dall’altra parte, ma bisogna assicurare loro non solo mezzi di sussistenza, ma anche l’affetto, la vicinanza, la fratellanza, l’amore e l’affetto vero. L’egoismo, la violenza e l’odio, invece, allontanano la pace e non consentono di vivere insieme».
Eminenza, lei è vescovo da 40 anni. È nato nel 1944 ed è alla vigilia del suo ottantesimo compleanno. La sua è stata una vita vissuta da pastore, culminata con la nomina a cardinale voluta da Papa Francesco nel 2016. Cosa ha imparato e cosa spera ancora di fare in questa vita passata a guidare comunità?
«Ho imparato che la misericordia di Dio è sopra di noi e ci dona la grazia di fare quello che va fatto. Per questo peso, anche come vescovo, che la spiritualità dei sacerdoti, questo toccare le sofferenze della gente sia la lezione più importante per crescere e non lasciare nessuno indietro. La creatività, la gioia e la speranza sono virtù umane, ma sono anche virtù religiose virtù cristiane».
A proposito di creatività, tra quest’anno e il prossimo anno il Sinodo entrerà nel vivo con la riunione della XVI Assemblea generale ordinaria dei vescovi in Vaticano, chiamata a dirimere le tante istanze emerse nella fase di ascolto. “Comunione, partecipazione, missione”. Una bella sfida. Qualcuno dice che, alla fine, non andrà così bene; altri sono più ottimisti. A suo parere, come stanno andando le cose e quali sono i suoi auspici per questi lavori che si terranno a cavallo tra quest’anno e il prossimo?
«Penso all’esempio della Chiesa in America latina. Nel post Concilio abbiamo da tempo sviluppato un rapporto più approfondito tra tutte le conferenze episcopali. E questa è una ricchezza, perché le differenze che ci sono tra tanti Paesi e tante situazioni diverse, rappresenta una sfida che conferisce forza nel comprendere cosa fare. La sinodalità, il camminare insieme, da noi è da tempo realtà che portiamo avanti con semplicità. La vita quotidiana della Chiesa non può andare avanti solo con i preti e i vescovi che “comandano”, ma sono importanti tutte le persone: i catechisti, i giovani, gli anziani. Da qui nasce la gioia di camminare insieme senza privilegi. Papa Francesco ha ricordato che non serve cercare privilegi, ma servire il prossimo. Questo porteremo quando moriremo, ci verrà chiesto cosa abbiamo fatto per il prossimo».
La Chiesa venezuelana ha qualcosa da insegnare alla Chiesa europea un po’ stanca e secolarizzata?
«Soprattutto la semplicità, l’amicizia, la vicinanza, non perdere tempo a capire se siamo ricchi, poveri o intellettuali. Come ha detto il Pontefice, il centro si trova nella periferia. Il centro della vita non va cercato nel potere, ma tra gli esclusi che vivono in strada e si convertono. È questo il primo passo per realizzare qualcosa».
Infine, eminenza, il suo saluto e i suoi auspici per la Chiesa amica di Pescara-Penne?
«Mando a tutti un grande saluto e l’invito a non perdere la fiducia e la gioia, perché se pensiamo che non si può far nulla crolla tutto. Invece bisogna essere creativi. La vita quotidiana non è mai stata facile e mai lo sarà, ma la debolezza, la fragilità e la mancanza di tutto, in realtà, rappresentano la forza che troviamo nell’esempio di Gesù che si è incarnato, diventando un piccolo bambini che ha bisogno degli altri per vivere».