Del perdersi e ritrovarsi …
Una breve recensione di un piccolo gioiello, il nuovo libro di Andrea Marcolongo "Spostare la luna dall'orbita"
Che cosa fa di un libro, un buon libro?
Questa domanda se la sono posta in tanti, tra questi anche Sigmund Freud, il quale risponde mettendo sullo stesso piano i libri e gli amici, perché i primi come i secondi, tra le altre cose, permettono di arricchire i propri punti di vista, la propria visione del mondo e di sé stessi.
L’ultimo libro di Andrea Marcolongo, Spostare la luna dall’orbita (Einaudi, 2023), potrebbe essere considerato appunto un “buon libro”, perché contribuisce ad approfondire la nostra visione dell’uomo e della storia dell’umanità.
Il libro nasce da un’occasione splendida, per la bravissima classicista: passare una notte in totale solitudine dentro il museo dell’Acropoli di Atene, a stretto contatto con i marmi e le opere di Fidia e della sua scuola, risalenti al secolo d’oro, il V a.C., quello di Pericle.
Andrea intreccia con sapiente abilità la narrazione di questa splendida opportunità, con la storia della spoliazione del Partenone, avvenuta tra il 1801 e il 1812, ad opera di Thomas Bruce, conte di Elgin. Ma il racconto della perdita da parte greca, di marmi, fregi e statue del Partenone sono poi legati a un’altra vicenda, più personale, che riguarda la scrittrice: la recente scomparsa del padre.
Ciò che viene fuori è una storia che si fa prezioso tessuto, i cui singoli fili si compongono di perdite e ritrovamenti, di lingua e identità: «Sono italiana perché abito la lingua italiana. La abito ma non la parlo»; Andrea, infatti, da qualche anno abita in Francia, a Parigi e ammette che il proprio legame con l’Italia: «sarebbe diverso se non fossi orfana di padre e di madre. Il mio errare non dipende dalla mancanza di un indirizzo, ma dall’assenza di una famiglia cui fare ritorno».
I marmi che da Atene sono costretti a volare verso l’Inghilterra; una terra, quella greca, soggetta a continue appropriazioni (sovente indebite), divengono metafora di un’identità personale (ma anche collettiva) che si frammenta e si fa mutila, di spaesati dintorni che divengono case abitate e (forse) abitabili.
Papa Francesco in due discorsi del 2018, ricorda come l’identità sia profondamente legata alla cittadinanza, e che proprio l’identità è un tesoro da custodire, di cui prendersi cura. Uno dei meriti principali di questo libro è proprio quello di provare a riconnettere identità e persona, identità e cultura, consci che le diversità e le assenze non sono sempre negazioni, ma differenze che posso farsi occasioni d’incontro e crescita.
Il ri-conoscersi e il ri-connettersi alla propria identità genera consapevolezza, la quale appunto nasce e si sviluppa sovente dai vuoti, dalle mancanze; come quelle che nel museo dell’Acropoli punteggiano le collezioni, vittime dell’ingordigia e dell’incomprensione del cosiddetto mondo civilizzato; e infatti: «la coscienza ellenica e il sentimento di appartenenza culturale […] rinacquero proprio dal fumo che inconsolabile si levava dalle rovine lasciate ad Atene». Da quel momento Atene e la Grecia avrebbero lottato per la loro indipendenza dall’impero ottomano, con una guerra vinta nel 1830.
Nelle métope e nei fregi del Partenone, Andrea vede le manifestazioni della sua insufficienza così come di quella dell’Occidente, ma sempre attraverso di esse anche una profonda coscienza che: «questa storia non è finita per sempre […]. Molte pagine restano ancora da scrivere, quelle della cura, del risarcimento, della soluzione». E che: «il tempo presente è il foglio bianco della storia futura della Grecia. La mano e l’anima che la scriveranno sono le nostre».
Un avvolgente e profondo racconto di un destino, che aspetta uno scatto di redenzione; un’autrice che ci dona uno spazio e un racconto in cui l’inaspettato sa di redenzione, e che sa levigare le parole, con la stessa maestria e amore con la quale Fidia raccontava la grandezza di un popolo, coi suoi marmi e i suoi fregi.