“Riscopriamo una Chiesa che ha il sapore di famiglia”
"Non c'è soltanto una collaborazione – approfondisce don Michele Gianola, direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale vocazionale Cei -, ma un riconoscere la preziosità di entrambe le vocazioni, il matrimonio e il ministero ordinato, ma anche la vita consacrata, al laicato vissuto come un battesimo nel mondo. Perché la Chiesa cresce imparando gli uni dagli altri, ricorda Papa Francesco nella “Christus vivit”, al modo del poliedro e non di un’unità monolitica. Per cui, tessere collaborazione a creare reti, riconoscere le preziosità, le vocazioni le une dalle altre, certamente farà emergere quella comunione che già ci lega perché facciamo parte del corpo di Cristo"
È stato un interessante parallelo sulle figure delle coppie e dei sacerdoti, visti come alleati nella missione evangelizzatrice della Chiesa, quello compiuto dalla 24ª Settimana nazionale di studi sulla spiritualità coniugale e familiare, organizzata dall’Ufficio nazionale per la Pastorale della famiglia Cei per la prima volta non nella tradizionale location di Assisi, ma al Grand Hotel Adriatico di Montesilvano (Pescara) da sabato 22 a martedì 25 aprile scorso.
Un appuntamento nazionale, che ha visto la partecipazione di oltre 300 persone, per riflettere sul tema “Di fronte all’altro: sposi e presbiteri, insieme discepoli missionari”: «Questo tema – spiega Padre Marco Vianelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale familiare Cei – è già stato affrontato altre volte anche dall’Ufficio. Però quello che è cambiato è il contesto in cui questo avviene, è un tempo sinodale, è un tempo in cui ci sono crisi vocazionali sia per quanto riguarda il matrimonio sia per quanto riguarda i sacerdoti. Però quello che diventa interessante è come riscoprire un dialogo e il tema della missione. Come cooperare, come cogliere questo momento di disorientamento come opportunità e non come solamente una criticità. Forse il Signore ci vuole rimettere l’uno di fronte all’altro per servire meglio la Chiesa».
D’altra parte, nell’omelia della santa messa finale di martedì 25 aprile, il cardinale arcivescovo dell’Aquila e presidente della Conferenza episcopale abruzzese e molisana Giuseppe Petrocchi ha affermato – attraverso una metafora – che “le onde possono anche rilanciare la navigazione se vengono prese nel modo giusto”: «Questo tempo – osserva Padre Marco – penso ci stia insegnando che non dobbiamo aver paura della realtà che ci sta intorno e che dobbiamo, in qualche modo, provare proprio ad accoglierla e affrontarla ed è interessante che la si può affrontare insieme. Penso che sia significativo non affrontarla alla maniera di Ulisse, che si fece legare sul palo della della nave e tappò le orecchie alla sua ciurma per oltrepassare il canto delle sirene; invece Orfeo si mise a cantare un canto alternativo a quello delle sirene. E allora penso che sia interessante poter provare insieme a fare un canto diverso, in un tempo che è burrascoso, perché è oggettivamente più complicato e quindi sfidante».
Un impegno, quest’ultimo, da sviluppare attraverso tre verbi sviscerati durante i lavori, “ascoltare, raccontare e rispondere”. Tre verbi da sviluppare a applicare insieme: «Noi – spiega il direttore dell’Ufficio nazionale di Pastorale familiare Cei – abbiamo provato in questi giorni a rimetterli al centro dell’azione pastorale. Il “come” non deve arrivare dall’alto o dall’esterno, ma devono essere questi verbi stessi a generarsi nel territorio, a partire e a provocare le famiglie e i presbiteri in un’alleanza concreta. Penso che, nella complessità di questo tempo, le semplificazioni non ci aiutino a stare in questa complessità e quindi la sfida, oggi, è declinare i tre i verbi contemporaneamente, senza fare confusione».
D’altra parte, nonostante le difficoltà che vivono le famiglie nel tempo attuale, c’è margine migliorare le cose: «Io vedo molti spazi di ripresa – sottolinea il religioso -. Cioè, dopo l’esperienza del Covid che ha visto la famiglia sottoposta ad un carico grosso e anche disorientante, tra il tema della gestione della patologia piuttosto che il rapporto con gli anziani, con i figli, col lavoro e la scuola, è stata data per scontata e caricata di una serie di responsabilità con troppa leggerezza. Questo l’ha disorientata abbastanza. Io vedo che adesso, dopo il disorientamento iniziale, c’è un desiderio di ripartire. Non è ancora chiaro verso dove andare, ma c’è un primo desiderio di rimettersi insieme, di riguardarsi intorno, di riscoprire quali sono i compagni di viaggio, perché molti si sono persi in quanto sono morti e molti si sono persi in quanto si sono stancati. E allora, ripartire non dandosi per scontati e non ripensando che finita la pandemia è finita la fatica e tutto quanto è tornato come prima. Anche i compagni di viaggio sono diversi e vanno ascoltati, vanno riconosciuti, e con loro va costruita una nuova alleanza».
Per quanto, proprio durante il Covid, la “Chiesa domestica” è stata un baluardo: «È qualcosa da non dimenticare e da non contrapporre – precisa Padre Marco -. La Chiesa domestica non è contro la Chiesa liturgica, l’Ecclesìa, la parrocchia, ma è uno spazio che è sempre stato a nostra disposizione, ma che abbiamo forse abitato con poca consapevolezza. E allora, adesso si tratterà di rimettere quello che abbiamo scoperto della Chiesa domestica in circolo, in una dimensione di ordinarietà».
Da qui l’auspicio e l’augurio del direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale familiare Cei per tutte le famiglie: «Spero che questa esperienza – rilancia Vianelli -, che vedeva anche la proposta di un metodo di lavoro, l’attenzione al coinvolgimento di tutti, possa essere una strada percorribile anche nei territori. Cioè che si possa ripartire dal basso, riscoprendo una Chiesa che ha il sapore di famiglia e delle famiglie. Quindi si riparte dal piccolo, per riscoprire poi la chiamata universale. Penso che il messaggio più bello, quello che abbiamo ascoltato da poco nella notte di Pasqua con il Signore che si rende manifesto all’interno della comunità disorientata, è “Pace a voi”. Penso che il tema della pace, in un tempo come questo, sia la presa di consapevolezza che la Sua presenza è generatrice di pace. Allora l’augurio, il dono che vorrei fare alle famiglie, ma anche alle comunità, è proprio di sperimentare la Sua presenza pacificante».
I lavori della Settimana di studi sulla spiritualità coniugale e familiare, tra l’altro, si sono soffermati anche sull’analisi del cammino vocazionale alla base del matrimonio e del sacerdozio: «Non c’è soltanto una collaborazione – approfondisce don Michele Gianola, direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale vocazionale Cei -, ma un riconoscere la preziosità di entrambe le vocazioni, il matrimonio e il ministero ordinato, ma anche la vita consacrata, al laicato vissuto come un battesimo nel mondo. Perché la Chiesa cresce imparando gli uni dagli altri, ricorda Papa Francesco nella “Christus vivit”, al modo del poliedro e non di un’unità monolitica. Per cui, tessere collaborazione a creare reti, riconoscere le preziosità, le vocazioni le une dalle altre, certamente farà emergere quella comunione che già ci lega perché facciamo parte del corpo di Cristo».
Ma è anche vero che quelle al matrimonio e al sacerdozio sono vocazioni in crisi: «Il tema della crisi delle vocazioni – ironizza il presbitero – lo declino sempre in maniera un po’ paradossale, dicendo che se ogni uomo è vocazione, ogni persona è vocazione, le vocazioni stanno crescendo con il crescita della popolazione mondiale. Possiamo preoccuparci di quelle che rimangono sopite nel cuore degli uomini e delle donne di questo tempo, per cui l’annuncio vocazionale è davvero per tutti. La scelta di vita matura dentro un territorio, una Chiesa che è capace di accogliere, di fare casa. Quindi credo che l’orizzonte verso il futuro non sia da declinare soltanto sui numeri, ma guardando con speranza e prendendosi cura della crescita nella fede di ciascuno».
I tre verbi “ascoltare, rispondere e raccontare”, accomunano sposi e sacerdoti anche dal punto di vista vocazionale: «Sono dimensioni – sottolinea il direttore dell’Ufficio nazionale della Pastorale delle vocazioni – che fanno parte della vocazione, della radice a battesimale della vocazione, per cui interessano la vita di ciascuno. La capacità di ascoltarsi gli uni gli altri, senza pregiudizi, ma lasciando emergere il vissuto del racconto della vita, la possibilità di rispondere in maniera feconda e creativa a ciò che accade, agli eventi della storia e la possibilità di raccontare il buono che cresce nella vita di tutti, credo che abbiano a che fare realmente con la vita di ciascuno».
Prospettive, queste ultime, su cui la Chiesa di Pescara-Penne si confronta già da tempo, anche mediante il cammino sinodale in corso: «La cosa fondamentale – sottolinea don Pierluigi Pistone, direttore della Pastorale familiare diocesana – è stata proprio quello di mettersi uno di fronte all’altro proprio per vivere questi verbi, ascoltare, rispondere e raccontare, per farli nostri. Io, in particolare, sono un “tifoso” del verbo ascoltare. Credo che tutto nasca dall’ascolto ed è da quest’ultimo che possiamo intercettare i bisogni, ma anche creare le relazioni. Ed è stato bello e fondamentale poter ragionare su queste due vocazioni, la vocazione matrimoniale e la vocazione all’ordine sacro, che sono sicuramente diverse nella loro specificità, ma partono da un punto comune. Sono diverse, ma uguali. Sono uguali nel battesimo, nel sacerdozio comune, nell’obiettivo che è la santità di tutti, mentre sono diverse nella loro specificità. Ma quello che è emerso da questi giorni è proprio che questa diversità non significa camminare in maniera separata, camminare diversamente, ma camminare in maniera complementare. Sono contento, perché tutto questo conferma tanti passi che stiamo compiendo nella nostra diocesi, dove ormai possiamo dire che quasi tutte le realtà diocesane di pastorale familiare vedono questa complementarietà tra ordine sacro e persone sposate».