Bisogno: “Va colto interamente. Non serve solo pane, ma anche amicizia”
"Come Caritas – sottolinea monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, presidente di Caritas italiana - vogliamo essere al servizio dei poveri, farci voce verso le istituzioni e le Chiese a nome dei poveri. Importante è avere una grande attenzione non per indulgere necessariamente alla denuncia, ma per essere una realtà attiva che sappia ascoltare e farci voce verso le istituzioni. Ad esempio sul tema della revisione del reddito di cittadinanza, sulla perdita del lavoro o la fatica ad inserirsi nel mondo lavoro, sulla situazione di povertà cronicizzata che richiede un intervento complessivo, non solo legato al dare soldi ma una attenzione alla persona e alla famiglia"
Si è aperto ieri a Salerno il 43° Convegno nazionale delle Caritas diocesane, dal tema “Agli incroci delle strade. Abitare il territorio, abitare le relazioni”, i cui lavori si concluderanno giovedì 20 aprile. Partecipano ai lavori 660 delegati provenienti da 173 diocesi, tra i quali figura anche il direttore della Caritas diocesana di Pescara-Penne Corrado De Dominicis.
Dopo i saluti iniziali portati da monsignor Antonio Di Donna, vescovo di Acerra e presidente della Conferenza episcopale campana, è stato l’arcivescovo di Gorizia e presidente di Caritas italiana monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli a riflettere su quella che è la sfida cruciale del momento: «La migrazione – riflette Redaelli – non è un’emergenza, ma una realtà con cui fare i conti con lucidità, realismo e capacità innovativa. Non è un problema da risolvere, ma una realtà da governare nella sua complessità, dando attenzione ai diversi valori: alla vita fisica delle persone, ossia se uno sta morendo va salvato; alla dignità delle persone, al loro desiderio di pace, giustizia e di un cammino di vita migliore. Sul tema dell’integrazione vorremmo che i migranti fossero tutelati dalle leggi e non limitati dalle leggi. Serve poi un lungo e paziente lavoro per eliminare le cause delle migrazioni forzate».
Da qui gli obiettivi dell’organismo pastorale della Cei: «Come Caritas – sottolinea monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli – vogliamo essere al servizio dei poveri, farci voce verso le istituzioni e le Chiese a nome dei poveri. Importante è avere una grande attenzione non per indulgere necessariamente alla denuncia, ma per essere una realtà attiva che sappia ascoltare e farci voce verso le istituzioni. Ad esempio sul tema della revisione del reddito di cittadinanza, sulla perdita del lavoro o la fatica ad inserirsi nel mondo lavoro, sulla situazione di povertà cronicizzata che richiede un intervento complessivo, non solo legato al dare soldi ma una attenzione alla persona e alla famiglia». Non è mancato poi un riferimento sulla necessità di costruire la pace in Ucraina e «in tante altre parti del mondo funestate da conflitti – ricorda il presidente di Caritas italiana -. La pace implica rispetto reciproco, attenzione alle minoranze, una diplomazia un po’ creativa, con l’impegno delle nazioni più che nell’invio di armi nella giustizia».
Inoltre l’arcivescovo Redaelli ha ricordato i gemellaggi con Caritas di altre Chiese nella crescita o nelle emergenze, come la colletta a favore dei terremotati in Turchia e Siria, l’impegno per aiutare l’Africa orientale e tante situazioni di povertà nel mondo. In seguito la riflessione è stata posta sulle disparità tra Nord e Sud Italia, con la relazione del presidente della Fondazione “Con il Sud” Carlo Borgomeo: «Al Sud – rileva l’esperto – la cultura dello sviluppo che per 72 anni ha guidato gli interventi straordinari per ridurre il divario Nord-Sud si è dimostrata sbagliata. Fatto cento il Pil pro capite di un cittadino del Nord, quello di un cittadino del Sud è passato dal 52,9% al 56,3%. Un obiettivo clamorosamente fallito. Il mancato raggiungimento dell’obiettivo è da attribuire ad una causa profonda, strutturale: un’errata cultura dello sviluppo, tutta quantitativa ed economicistica; tutta basata sull’esigenza di rendere forte e potente l’offerta di risorse; e sostanzialmente disattenta alla domanda, alle energie locali, alle responsabilità locali. I meridionali, popolo ed istituzioni, destinatari e non corresponsabili delle politiche e degli interventi».
Da qui la tesi di Borgomeo: «Non può esserci sviluppo solido e duraturo – sostiene – se non vi è una sufficiente dotazione di capitale sociale, per cui è necessaria una radicale discontinuità nelle politiche di sviluppo; ossia investire sul capitale sociale. È doveroso, necessario ed anche urgente che in un’economia duale, come la nostra, bisogna prevedere trasferimenti di risorse verso la parte meno sviluppata del Paese. Questo è necessario, ma non sufficiente. Se i trasferimenti non intercettano responsabilità locali, comunità coese, istituzioni locali adeguate, i trasferimenti rischiano di accentuare la dipendenza. Quindi investimenti sul capitale sociale».
E per accumulare capitale sociale, la strada da percorrere è una sola: «Quella – esorta il presidente della Fondazione Con il Sud – di investire sul Terzo settore, di mettere al primo posto nella complessiva definizione delle politiche, gli interventi nel sociale e costruire una dimensione comunitaria. In una o più occasioni, ho potuto verificare che la Caritas costituisce la più rilevante rete di infrastrutturazione sociale nel Mezzogiorno, ma il vecchio welfare, risarcitorio e totalmente pubblico, non regge più. Il ruolo di chi come voi lavora nel sociale non è più di supplenza, di soccorso, di integrazione. Le necessarie risorse pubbliche non devono essere gestite in modo esaustivo dalla Pubblica Amministrazione, ma devono vedere in un ruolo attivo le organizzazioni del sociale capaci, ormai è dimostrato, di interventi più efficaci e più efficienti».
A concludere il primo giorno di lavori è stato l’arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, monsignor Giuseppe Baturi: «Il benessere dell’uomo – sottolinea il presule – non dipende solo dalla soluzione dei suoi problemi, ma dallo stare dentro contesti comunitari di empatia, prossimità». A tal proposito, monsignor Baturi ha invitato tutti a interrogarsi su cosa sia la carità e su come svolgerla, partendo dal principio della carità per una Chiesa solidale: «L’opera della Caritas – puntualizza l’arcivescovo di Cagliari – si mostra bella nell’accendere la carità nelle singole comunità. Sarebbe bello pensare ad una solidarietà capace di estendersi ad altre comunità nel mondo in Siria, in Libano, in Africa».
Quindi l’esortazione, rivolta a tutte le comunità ecclesiali, ad un «impegno personale di incontro con i poveri. In questo – ribadisce Baturi – la Caritas deve essere di aiuto. Il bisogno ha sempre un nome e un volto, come dice il Papa. Significa che davanti ad un uomo lo sguardo deve cogliere l’interezza del suo bisogno, non solo di pane ma anche di amicizia, di compagnia. Il rapporto con l’uomo che ha bisogno non può non aprirsi ad un impegno sociale e politico, perché il bene della persona dipende anche dal contesto in cui vive. Essere prossimo significa essere socio di una società. Per cui l’amore all’uomo non può non diventare capacità di denunciare le ingiustizie e ricostruire uno sviluppo nuovo, un nuovo modello. Ma dopo tre anni dalla pandemia, nella quale abbiamo sperato in un cambiamento, possiamo dire che questo proposito è abbastanza fallito».