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Autismo: “Con diagnosi precoce e accompagnamento si vive bene”

"Ci rendiamo conto - afferma don Massimo Angelelli - che intorno all'autismo c'è ancora poca conoscenza. C'è bisogno di fare cultura, c'è bisogno di superare lo stigma che, a volte, colpisce le persone stesse disturbi dello spettro autistico, ma anche le famiglie e consapevolezza. Cioè consapevolezza del fatto che la comunità cristiana è chiamata ad accompagnare e sostenere le famiglie che vivono questa esperienza, perché uno dei grandi rischi è che la famiglia si ritrovi da sola a non avere il sostegno necessari per portare avanti i percorsi di riabilitazione e di accompagnamento"

Lo ha assicurato il professor Renato Cerbo, direttore dell’unità operativa di Neuropsichiatria infantile dell’ospedale di Pescara, al convegno della Fondazione Paolo VI per la Giornata mondiale di consapevolezza sull’autismo

Relatori e staff della giornata di consapevolezza sull'autismo della Fondazione Paolo VI

Oggi ricorre la Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo e ieri, alla sua vigilia, la Fondazione Papa Paolo VI di Pescara ha dato vita alla manifestazione dal tema “Uniti per l’autismo e l’inclusione”. Una giornata vissuta all’insegna dell’approfondimento di questa particolare condizione, unita all’animazione dedicata ai più piccini, con laboratori creativi, gonfiabili, truccabimbi, il villaggio di Pompieropoli – con i Vigili del fuoco che hanno distribuito le uova di Pasqua ai bambini – e per chiudere in bellezza lo spettacolo di magia del Mago Frack, impersonato dal bravo Franco Di Biase. A fare il punto della situazione sulla diagnosi, il trattamento e l’accompagnamento delle persone autistiche, dopo i saluti del sindaco Carlo Masci, dell’assessore regionale alla Salute Nicoletta Verì e dell’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti – è stato il professor Renato Cerbo, direttore dell’Unità operativa di Neuropsichiatria infantile dell’ospedale civile di Pescara (che segue 350 pazienti, tra bambini e adolescenti, autistici), nonché direttore del Dipartimento di Salute mentale della Asl di Pescara: «L’autismo – ricorda l’esperto – è una condizione di funzionamento che parte dalla primissima infanzia – ricorda l’esperto -, con una tendenza a preferire stimoli fisici piuttosto che sociali. Una tendenza alla ripetitività, ma quando viene riconosciuta precocemente e accompagnata sia dal punto di vista abilitativo, con interventi specifici e ben dosati, sia dal punto di vista sociale, direi un po’ per tutta la vita con tutto quello che può essere fatto nella scuola e nella società per includere la persona, può dare una qualità della vita perfettamente adeguata e anche una condizione di benessere e di soddisfazione per la persona stessa e per i propri familiari».

Renato Cerbo, direttore Neuropsichiatria infantile dell’ospedale di Pescara

A favorire l’insorgenza e la progressione di questa condizione, per la quale è fondamentale la diagnosi precoce da parte del pediatra, sono anche gli stimoli ricevuti: «Esistono anche dei fattori di rischio – ammonisce il professor Cerbo -, come per esempio l’eccessivo uso dei video dei cellulari o anche della televisione nel primo, secondo e terzo anno di vita. È qualcosa che va a rinforzare quella tendenza a preferire gli stimoli fisici piuttosto che gli stimoli sociali, i giochi sociali, che purtroppo nella nostra società attuale sta creando diversi problemi, non solo sviluppando di più e precocemente le condizioni autistiche, che tendevano all’autismo, ma anche in adolescenza con quei fenomeni sociali (Hikikomori) e tutte le manifestazioni che riguardano anche chi non ha una condizione autistica e che nell’adolescenza sta venendo fuori non solo in Giappone».

Nonostante i progressi compiuti l’autismo, specie nelle forme leggere, è ancora difficile da diagnosticare: «Ha un’incidenza in tutti i Paesi del mondo di circa l’1% ancora oggi – precisa il direttore dell’Unità operativa complessa di Neuropsichiatria infantile dell’ospedale civile -, a dimostrazione è una condizione la quale, soprattutto quando non è grave e anche poco visibile, è difficile da riconoscere. Noi oggi identifichiamo circa la metà delle persone con condizione autistica e quindi, soprattutto nel sesso femminile, abbiamo una grossa difficoltà anche di test e di capacità tecniche nel riconoscimento, perché nella condizione femminile è molto mascherata proprio dalle capacità maggiori che hanno le donne e le bambine nel linguaggio e nella socialità. C’è ancora una necessità di riconoscere questa condizione, prima che determini poi tutta una serie di conseguenze che a volte si vedono precocemente; altre volte si vedono adolescenza, se non addirittura in età adulta, quindi nei servizi. Oggi a Pescara, per esempio, come Neuropsichiatria infantile abbiamo circa 350 bambini e adolescenti con condizioni autistica».

Comunque la parola d’ordine, per affrontare e gestire meglio l’autismo, è prevenzione: «Deve partire proprio dalle coppie – raccomanda Cerbo -, dal momento in cui le coppie decidono di avere un figlio. Devono conoscere bene soprattutto il primo anno di vita, cioè le necessità e bisogni dei bambini nel primo anno di vita, i quali non sono solo alimentari oppure igienici come quello del sonno o quelli che riguardano l’attenzione al corpo, ma che sono bisogni anche di tipo relazionale ed emotivi. Questa conoscenza, purtroppo, nei giovani di adesso è molto scarsa e non è compensata da quella che invece avevano e hanno i nonni i quali, purtroppo, oggi non possono sempre mettere in atto perché per motivi lavorativi, per motivi anche di autonomia delle famiglie, esse spesso decidono anche di vivere da sole, facendo a meno dell’esperienza che i nonni prima esercitavano proprio nell’accudimento, interagendo socialmente con il bambino compensando l’assenza con i giochi, giocattoli. Ma la prevenzione non è solo quella primaria, ma anche e soprattutto secondaria e terziaria. Questo significa diagnosi precoce, identificazione, possibilmente non come succedeva una volta dopo i tre anni, ma al primo anno di vita, 12/18/24mesi, perché quando è riconosciuto così precocemente l’intervento precoce, ovvero la prevenzione terziaria, consente dei risultati molto avanzati. Ma qui c’è bisogno anche di una competenza tecnica. E qui subentrano le strutture che si sono dedicate all’autismo, perché oggi abbiamo delle linee guida dove sappiamo quali sono gli interventi che sono efficaci dal punto di vista abilitativo e terapeutico, cosa che una volta mancava e si faceva un po’ a caso».

I trattamenti a disposizione sono pochi, ma efficaci: «L’approccio è prettamente psicoeducativo – sottolinea l’esperto -, nel senso che poi non dobbiamo immaginare chissà che cosa. Dobbiamo immaginare che questi bambini, che hanno una difficoltà di partenza, poi dopo devono seguire lo sviluppo naturale, cioè quello di qualsiasi altro bambino. Quindi è un’educazione speciale che si fa sia nelle strutture riabilitative, sia nelle strutture scolastiche, dove si punta al raggiungimento delle tappe che qualsiasi bambino deve raggiungere. Quindi prima il linguaggio, poi la competenza scolastica, le autonomie di tipo personale, le autonomie integrative. Saper stare con gli altri, saper prendere l’autobus, saper usare i soldi quando si è più grandi. Non dobbiamo immaginare cose strane, è una psico-educazione che utilizza chiaramente delle tecniche che però sono molto studiate e anche molto complesse. E qui subentra la necessità di una formazione specifica per gli insegnanti e per gli operatori sanitari proprio dedicata all’autismo. Bisogna essere specialisti in questo settore per poterlo mettere in atto il protocollo in maniera efficace».

Da qui l’auspicio del professor Cerbo: «È inutile – rilancia il primario di Neuropsichiatria infantile a Pescara – che la sanità sviluppi sempre più strutture, sempre maggiore competenza, se non è accompagnata da una diffusa e generalizzata consapevolezza di quello che si può fare nel mondo sociale. Mi riferisco alla necessità di strutture di tipo anche ludico-ricreative, di strutture sportive, nelle quali sviluppare una competenza del problema, sviluppando delle modalità come abbiamo fatto noi nella sanità, per accogliere questi ragazzi che oltre alla riabilitazione hanno bisogno di vivere, di giocare, stare insieme agli altri imparando a relazionarsi nella vita reale. Perché, altrimenti, gli interventi diventano semplicemente “di laboratorio”, spesso e volentieri non traducibili nella vita reale. Quindi si crea un ulteriore fallimento, facendo acquisire ai ragazzi delle competenze che poi non possono essere spese nella vita reale. Questo determina poi una grave, ulteriore sofferenza che colpisce, paradossalmente, più i ragazzi che sono ad alto funzionamento – quelli che raggiungono il linguaggio e una buona capacità intellettiva – piuttosto che chi rimane nel ritardo mentale. Quindi, siccome oggi andiamo nella direzione di avere ragazzi abili, seppure con spettro autistico, se poi dopo non riusciamo a includerli – con la possibilità di lavorare o di fare attività di tipo occupazionale – direi che come società abbiamo fallito».

Danilo Montinaro, psichiatra e psicoterapeuta

E le persone autistiche, se non trattate nel modo opportuno, possono anche degenerare sviluppando patologie psichiatriche: «Visitando i pazienti psichiatrici – testimonia Danilo Montinaro, psichiatra e psicoterapeuta – ho incontrato anche gente autistica. Ragazzi che a 15 anni avevano il disturbo dell’autismo e che a 19 anni, a 20 anni, a 30 anni erano diventati schizofrenici. Cioè questo passaggio in cui sparisce il discorso dell’autismo e avviene il discorso psichiatrico. Questo è un discorso gravissimo, perché poi andiamo a curare persone affette da autismo con farmaci che non hanno nulla a che fare con la patologia. Io ultimamente ho avuto un contatto con una famiglia che aveva un ragazzo autistico, con il genitore che ha detto “Strano che ho questo ragazzo autistico. Ho dato a mia moglie degli integratori, della vitamina C”. Allora ecco che il mio auspicio è quello di dare anche una giusta conoscenza scientifica su quello che è l’autismo e su quello che sono, in un certo senso, anche i farmaci o gli interventi farmacologici che si possono fare davanti a una sintomatologia che rientra nel disturbo. Infine, effettivamente sono molto preoccupato per quello che avviene. Abbiamo dei ragazzi molto fragili, abbiamo dei ragazzi che in età ancora adolescenziale preferiscono rivolgersi verso persone che non hanno nessuna competenza e che non possono aiutare a superare i loro momenti di crisi, anzi li vanno a peggiorare e devo dire che, proprio qualche giorno fa parlavo con un collega toscano che mi diceva come fossero passati da 5-7 casi di autolesionismo a 12-13. È una situazione che riguarda la nostra società che, nonostante parli di integrazione e inclusione, davanti a giovani in difficoltà non tende una mano».

Don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio Cei di Pastorale della salute

Anche la Chiesa italiana, per agevolare la maturazione della giusta consapevolezza sull’autismo, ha fatto la sua parte pubblicando il “Glossario di alcuni termini in uso nell’accompagnamento del Disturbo della spettro autistico (Asd)”, elaborato dal Tavolo di lavoro sull’Autismo presso l’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei ed edito da “Editoriale Romani”: «È un piccolo libretto – spiega don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale Cei – che ha esattamente questo obiettivo. In termini semplici, comprensibili anche ai non addetti ai lavori, cercare di spiegare il fenomeno e spiegare i contorni dell’esperienza. Speriamo che abbia un’ampia diffusione, soprattutto tra gli addetti ai lavori e a tutti coloro che, in qualche modo, hanno interagiscono con queste persone perché permette loro, in termini ripeto molto semplici e accessibili, di capire meglio di che cosa stiamo parlando. Ci rendiamo conto che intorno all’autismo c’è ancora poca conoscenza. C’è bisogno di fare cultura, c’è bisogno di superare lo stigma che, a volte, colpisce le persone stesse disturbi dello spettro autistico, ma anche le famiglie e consapevolezza. Cioè consapevolezza del fatto che la comunità cristiana è chiamata ad accompagnare e sostenere le famiglie che vivono questa esperienza, perché uno dei grandi rischi è che la famiglia si ritrovi da sola a non avere il sostegno necessari per portare avanti i percorsi di riabilitazione e di accompagnamento».

Il Glossario

D’altra parte, anche la Chiesa si sta organizzando per accogliere sempre meglio le persone autistiche: «Siamo in un cammino di integrazione – osserva il presbitero -, ci rendiamo conto che non tutto è fatto. C’è moltissimo da fare anche per preparare le comunità cristiane ad accogliere le persone con il disturbo dello spettro autistico. In questo crediamo che abbiano un ruolo fondamentale i catechisti, gli insegnanti di religione e gli operatori pastorali perché, in virtù della nostra fede, siamo chiamati a prenderci cura gli uni degli altri, in particolare delle persone più vulnerabili. E quindi, in questo momento, siamo convinti che la Chiesa si debba concentrare molto su questa capacità di accoglienza e inclusione di queste persone».

Da qui l’auspicio di don Angelelli: «Che anche il nostro cammino sinodale – confida don Massimo Angelelli – tenga il passo dei più vulnerabili, che non ci siano accelerazioni in avanti, ma ci sia la capacità delle comunità cristiane di farsi carico delle maggiori vulnerabilità sul territorio. Questo non solo qualificherà le nostre comunità cristiane, ma ci distinguerà da tutti quei modelli che sembrano vincenti, ma alla fine sono soltanto escludenti. E invece noi vogliamo essere più inclusivi e quindi, in questo cammino, teniamo il passo di tutti».

Peppino Polidori, presidente della Fondazione Paolo VI

Soddisfatto dell’iniziativa, a fine giornata, il presidente della Fondazione Papa Paolo VI Peppino Polidori: «È stata una bella festa per i bambini – commenta il manager -, soprattutto con dei momenti di riflessione con persone molto competenti. Un’occasione, nell’ambito della Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo e che vede sempre presente la Fondazione. Quest’ultima è stata una delle prime realtà regionali a prestare attenzione al fenomeno autistico. Sappiamo anche che la precocità dell’intervento, da parte delle nostre strutture, dei nostri tecnici, dei nostri psichiatri, consente anche il recupero dei ragazzi. E questo è il nostro scopo, perché questi ragazzi – che hanno bisogno di tanta assistenza e quindi c’è anche un’attenzione e un impegno economico non solo da parte del pubblico delle strutture, ma soprattutto delle famiglie per l’impegno che i genitori devono dedicare ai ragazzi – ci vede in prima linea proprio per recuperare questi ragazzi che da persone bisognose di assistenza, diventano persone protagoniste. Ecco il tema dell’inclusione, li dobbiamo accogliere nella nostra società perché anch’essi diventino protagonisti della nostra società e aiutino gli altri. Quindi confidiamo di crescere e di aumentare i servizi, stando sempre più vicini ai genitori e ai ragazzi che hanno questo spettro».

About Davide De Amicis (4616 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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