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“Adorare Dio, non se stessi, per non asfissiare nel nostro piccolo io”

"Sogniamo una Chiesa così: eucaristica - rilancia Papa Francesco -. Fatta di donne e uomini che si spezzano come pane per tutti coloro che masticano la solitudine e la povertà, per coloro che sono affamati di tenerezza e di compassione, per coloro la cui vita si sta sbriciolando perché è venuto a mancare il lievito buono della speranza"

È la sfida che l’Eucaristia lancia alla nostra vita, ricordata oggi da Papa Francesco nella messa di chiusura del 27° Congresso eucaristico nazionale di Matera

Papa Francesco pronuncia l'omelia

Nella messa che stamani, nello stadio “XXI Settembre – Franco Salerno” gremito da 12.300 fedeli, ha concluso il 27° Congresso eucaristico nazionale di Matera dal tema “Torniamo al gusto del pane. Per una Chiesa eucaristica e sinodale”Papa Francesco, concelebrandola insieme ad 80 vescovi, ha tratto spunto dal Vangelo odierno per collegarsi al tema dell’appuntamento: «Non sempre sulla tavola del mondo il pane è condiviso – constata il Papa, in un appello alla condivisione ispirato dalla “scena drammatica” della parabola biblica odierna del ricco epulone -; non sempre emana il profumo della comunione; non sempre è spezzato nella giustizia. Da una parte un ricco vestito di porpora e di bisso, che sfoggia la sua opulenza e banchetta lautamente; dall’altra parte, un povero, coperto di piaghe, che giace sulla porta sperando che da quella mensa cada qualche mollica di cui sfamarsi».

Da qui il paragone con l’attualità: «E davanti a questa contraddizione – aggiunge il Santo Padre -, che vediamo tutti i giorni, ci chiediamo: a che cosa ci invita il sacramento dell’Eucaristia, fonte e culmine della vita del cristiano? Anzitutto, l’Eucaristia ci ricorda il primato di Dio. Il ricco della parabola non è aperto alla relazione con Dio. Pensa solo al proprio benessere, a soddisfare i suoi bisogni, a godersi la vita. Egli compiace sé stesso, adora la ricchezza mondana, è chiuso nel suo piccolo mondo festaiolo. Soddisfatto di sé, ubriacato dal denaro, stordito dalla fiera delle vanità, nella sua vita non c’è posto per Dio perché egli adora solo sé stesso. Non a caso, di lui non si dice il nome: lo chiamiamo “ricco”, lo definiamo solo con un aggettivo perché ormai ha perduto il suo nome, la sua identità è data solo dai beni che possiede».

Un atteggiamento, quello del ricco epulone, molto presente anche oggi: «Com’è triste anche oggi questa realtà – commenta Papa Bergoglio -, quando confondiamo quello che siamo con quello che abbiamo, quando giudichiamo le persone dalla ricchezza che hanno, dai titoli che esibiscono, dai ruoli che ricoprono o dalla marca del vestito che indossano. È la religione dell’avere e dell’apparire, che spesso domina la scena di questo mondo, ma alla fine ci lascia a mani vuote, sempre. A questo ricco del Vangelo, infatti, non è rimasto neanche il nome. Non è più nessuno. Al contrario, il povero ha un nome, Lazzaro, che significa “Dio aiuta”. Pur nella sua condizione di povertà e di emarginazione, egli può conservare integra la sua dignità perché vive nella relazione con Dio. Nel suo stesso nome c’è qualcosa di Dio e Dio è la speranza incrollabile della sua vita».

Partendo da questa premessa, Papa Francesco ha tratto l’obiettivo da inseguire e realizzare nel nostro tempo: «Adorare Dio e non se stessi – annuncia il Papa -. È questa la sfida permanente che l’Eucaristia offre alla nostra vita. Mettere Lui al centro e non la vanità del proprio io. Ricordarci che solo il Signore è Dio e tutto il resto è dono del suo amore. Perché se adoriamo noi stessi, moriamo nell’asfissia del nostro piccolo io; se adoriamo le ricchezze di questo mondo, esse si impossessano di noi e ci rendono schiavi; se adoriamo il dio dell’apparenza e ci inebriamo nello spreco, prima o dopo la vita stessa ci chiederà il conto. Sempre la vita ci chiede il conto». Quando si adora il Signore, dunque, l’atteggiamento cambia: «Io non sono le cose che possiedo e i successi che riesco a ottenere – spiega il Pontefice -; il valore della mia vita non dipende da quanto riesco a esibire né diminuisce quando vado incontro ai fallimenti e agli insuccessi. Riceviamo uno sguardo nuovo anche sulla nostra vita. Il valore della mia vita non dipende da quanto riesco a esibire, né diminuisce quando vado incontro ai fallimenti e agli insuccessi. Io sono un figlio amato; sono benedetto da Dio; lui mi ha voluto rivestire di bellezza e mi vuole libero da ogni schiavitù. Ricordiamoci questo, chi adora Dio non diventa schiavo di nessuno. Riscopriamo la preghiera di adorazione. Essa ci libera e ci restituisce alla nostra dignità di figli, una preghiera che si dimentica di frequente».

Le delegazioni diocesane nello stadio di Matera

Questo l’invito del Santo Padre nella liturgia eucaristica odierna per un motivo fondamentale: «Il nostro futuro eterno dipende da questa vita presente – ricorda -. Se scaviamo adesso un abisso con i fratelli, ci scaviamo la fossa per il dopo; se alziamo adesso dei muri contro i fratelli, restiamo imprigionati nella solitudine e nella morte anche dopo. Oltre al primato di Dio, l’Eucaristia ci chiama all’amore dei fratelli. Questo Pane è per eccellenza il Sacramento dell’amore. È Cristo che si offre e si spezza per noi e ci chiede di fare altrettanto, perché la nostra vita sia frumento macinato e diventi pane che sfama i fratelli. Il ricco del Vangelo viene meno a questo compito; vive nell’opulenza e banchetta abbondantemente senza neanche accorgersi del grido silenzioso del povero Lazzaro, che giace stremato alla sua porta. Solo alla fine della vita, quando il Signore rovescia le sorti, finalmente si accorge di Lazzaro, ma Abramo gli dice: “Tra noi e voi è stato fissato un grande abisso”. Era stato il ricco a scavare un abisso tra lui e Lazzaro durante la vita terrena e adesso, nella vita eterna, quell’abisso rimane. Siamo noi quando col nostro egoismo fissiamo degli abissi».

Per questo il Papa ha rivolto un appello a tutti i credenti: «Le ingiustizie, le disparità, le risorse della terra distribuite in modo iniquo – ribadisce -, i soprusi dei potenti nei confronti dei deboli, l’indifferenza verso il grido dei poveri, l’abisso che ogni giorno scaviamo generando emarginazione, non possono lasciarci indifferenti. L’Eucaristia è profezia di un mondo nuovo, è la presenza di Gesù che ci chiede di impegnarci perché accada un’effettiva conversione. Dall’indifferenza alla compassione, dallo spreco alla condivisione, dall’egoismo all’amore, dall’individualismo alla fraternità. Sogniamo una Chiesa così: eucaristica. Fatta di donne e uomini che si spezzano come pane per tutti coloro che masticano la solitudine e la povertà, per coloro che sono affamati di tenerezza e di compassione, per coloro la cui vita si sta sbriciolando perché è venuto a mancare il lievito buono della speranza. Una Chiesa che si inginocchia davanti all’Eucaristia e adora con stupore il Signore presente nel pane; ma che sa anche piegarsi con compassione dinanzi alle ferite di chi soffre, sollevando i poveri, asciugando le lacrime di chi soffre, facendosi pane di speranza e di gioia per tutti. Perché non c’è un vero culto eucaristico senza compassione per i tanti Lazzaro che anche oggi ci camminano accanto».

Da qui l’esortazione di Papa Bergoglio: «Ritorniamo a Gesù, ritorniamo all’Eucaristia – rilancia -. Torniamo al gusto del pane, perché mentre siamo affamati di amore e di speranza, o siamo spezzati dai travagli e dalle sofferenze della vita, Gesù si fa cibo che ci sfama e ci guarisce. Torniamo al gusto del pane, perché mentre nel mondo continuano a consumarsi ingiustizie e discriminazioni verso i poveri, Gesù ci dona il Pane della condivisione e ci manda ogni giorno come apostoli di fraternità, di giustizia e di pace. Torniamo al gusto del pane per essere Chiesa eucaristica, che mette Gesù al centro e si fa pane di tenerezza e di misericordia per tutti. Torniamo al gusto del pane per ricordare che, mentre questa nostra esistenza terrena va consumandosi, l’Eucaristia ci anticipa la promessa della risurrezione e ci guida verso la vita nuova che vince la morte. E quando la speranza si spegne e sentiamo in noi la solitudine del cuore, la stanchezza interiore, il tormento del peccato, la paura di non farcela, torniamo ancora al gusto del pane. Pensiamo oggi sul serio sul ricco e su Lazzaro. Succede ogni giorno e tante volte anche a noi. Vergogniamoci! Succede in noi, questa lotta, e fra noi, nella comunità. Torniamo a Gesù, adoriamo Gesù, accogliamo Gesù, ognuno di noi è peccatore. Perché lui vince la morte e sempre rinnova la nostra vita».

CARDINALE ZUPPI: “ABBIAMO RISCOPERTO IL GUSTO DEL PANE CHE CI RENDE FAMIGLIA DI DIO”

Il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei

Al termine della santa messa, è salito sul palco il cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana Matteo Zuppi per esprimere i ringraziamenti al termine del Congresso eucaristico nazionale: «Oggi a Matera ci sono tutte le Chiese d’Italia – afferma il porporato, rivolgendosi al Papa -. È una grazia iniziare il secondo anno del nostro Cammino sinodale con questa tappa. Grazie di essere venuto, Grazie di questa fatica che volentieri, e sempre con il sorriso, ha intrapreso per stare con noi. Lei è un esempio per tutti. Nel Congresso Eucaristico di Matera, città del pane – ed è anche molto buono – e di tanta laboriosa accoglienza, abbiamo messo al centro Gesù, la sua presenza di amore che ci rende una cosa sola con lui e tra di noi. Abbiamo riscoperto il gusto del pane che ci rende famiglia di Dio. “Ringrazio la Chiesa di Matera, il suo pastore, don Pino – altrimenti qui se lo chiamo monsignor Antonio Giuseppe (Caiazzo) pensano che parlo di un altro! – il Comitato organizzatore, tutti i tantissimi volontari, il coro – che ho capito che è anche un super coro! – e quanti si sono prodigati per la buona riuscita di questo appuntamento, tutte le autorità civili e militari he saluto e ringrazio tanto. Grazie: ci siamo sentiti a casa, una bellissima e antichissima casa che guarda al futuro».

Quindi il presidente della Cei ha accostato il pane a quanti ne vengono privati a causa delle armi: «La guerra brucia i campi di grano – ammonisce, facendo il bilancio dell’evento -, toglie il pane e fa morire di fame, trasforma i fratelli in nemici. In un mondo così abbiamo trovato il gusto del pane che ci dona sempre l’Eucaristia, frutto dell’amore pieno di Cristo che diventa amore per i suoi fratelli più piccoli e per il prossimo. Abbiamo ritrovato il gusto di spezzare il suo pane con i tanti, troppi, Lazzaro esclusi dalle mense dei ricchi, tabernacolo del corpo di Cristo. Il gusto del pane è amabilità, empatia, passione di ricostruire la comunità lacerata, di difendere la casa comune, gioia, voglia di relazioni con tutti. Quando si perde il gusto non si sentono i sapori, le cose si fanno senza voglia, impersonali, senza trovarvi quello che piace». A tal proposito, il cardinale Zuppi ha fatto riferimento alla recente pandemia: «Molti che hanno preso il Covid – denota – sono rimasti un tempo privati del gusto. Perdiamo il gusto del pane per colpa di un altro insidioso virus, l’individualismo, che ci illude di trovare il gusto solo moltiplicando le opportunità tanto da sprecarle e togliere il pane a tanti che hanno fame e di fame muoiono. Chi trasforma tutto nel consumo finisce per non sentire più il gusto della vita. Tornare al gusto del pane ha significato nutrirci dell’amore concreto e infinito di Cristo, ritrovare la gioia di amore semplice e gratuito, povero e vero, personale e per tutti. L’individualismo porta a dividersi dagli altri, tanto che il mondo arriva alla guerra che poi toglie valore all’individuo e genera solo il gusto della morte».

L’ANGELUS, MIGRANTI: “IL REGNO DI DIO SI REALIZZA CON LORO, SENZA ESCLUSI”

Nell’Angelus che ha seguito la santa messa, Papa Francesco ha poi ricordato come oggi ricorra la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato dal tema “Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati”: «Rinnoviamo l’impegno per edificare il futuro secondo il disegno di Dio – esorta il Papa -. Un futuro in cui ogni persona trovi il suo posto e sia rispettata; in cui i migranti, i rifugiati, gli sfollati e le vittime della tratta possano vivere in pace e con dignità. Perché il Regno di Dio si realizza con loro, senza esclusi. È anche grazie a questi fratelli e sorelle che le comunità possono crescere a livello sociale, economico, culturale e spirituale e la condivisione di diverse tradizioni arricchisce il Popolo di Dio. Impegniamoci tutti a costruire un futuro più inclusivo e fraterno! I migranti vanno accolti, accompagnati, promossi e integrati».

About Davide De Amicis (4616 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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