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“Dio è pace e conduce sempre alla pace, mai alla guerra!”

"Andiamo avanti insieme – raccomanda il Pontefice -, perché il cammino delle religioni sia sempre più amichevole. L’Altissimo ci liberi dalle ombre del sospetto e della falsità; ci conceda di coltivare amicizie solari e fraterne, attraverso il dialogo frequente e la luminosa sincerità delle intenzioni. Non cerchiamo finti sincretismi concilianti, ma custodiamo le nostre identità aperti al coraggio dell’alterità, all’incontro fraterno. Solo così, nei tempi bui che viviamo, potremo irradiare la luce del nostro Creatore"

Lo ha affermato oggi Papa Francesco al Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali, in Kazakhstan

Papa Francesco al Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali

Stamani anche Papa Francesco, nell’ambito del suo viaggio apostolico in Kazakhstan, ha partecipato al Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali, in corso nel Palazzo dell’indipendenza di Nur-Sultan, tenendo pronunciando un intervento intenso. dopo l’intervento del presidente kazako: «Possa il Kazakhstan – esordisce il Papa – essere ancora una volta terra d’incontro tra chi è distante. Possa aprire una nuova via di incontro, incentrata sui rapporti umani: sul rispetto, sull’onestà del dialogo, sul valore imprescindibile di ciascuno, sulla collaborazione; una via fraterna per camminare insieme verso la pace». Citanto poi il poeta più celebre del Paese, Abau, Francesco ha ricordato che la nota caratteristica del Kazakhstan è «una saggezza armoniosa, che desidera la pace e la ricerca interrogandosi con umiltà, anelando a una sapienza degna dell’uomo, mai chiusa in visioni ristrette e anguste, ma disposta a lasciarsi ispirare da molteplici esperienze. Un altro poeta si chiedeva il senso dell’esistenza, mettendo sulle labbra di un pastore di queste sconfinate terre d’Asia una domanda altrettanto essenziale: ‘Ove tende questo vagar mio breve?” – la citazione di Giacomo Leopardi -. Sono interrogativi come questi a suscitare il bisogno della religione, a ricordarci che noi esseri umani non esistiamo tanto per soddisfare interessi terreni e per tessere relazioni di sola natura economica, quanto per camminare insieme, come viandanti con lo sguardo rivolto al cielo».

Da qui l’invito del Pontefice: «Abbiamo bisogno di trovare un senso alle domande ultime – osserva -, di coltivare la spiritualità. È venuta l’ora di destarsi da quel fondamentalismo che inquina e corrode ogni credo, l’ora di rendere limpido e compassionevole il cuore. Ma è anche l’ora di lasciare solo ai libri di storia i discorsi che per troppo tempo, qui e altrove, hanno inculcato sospetto e disprezzo nei riguardi della religione, quasi fosse un fattore di destabilizzazione della società moderna. In questi luoghi è ben nota l’eredità dell’ateismo di Stato, imposto per decenni, quella mentalità opprimente e soffocante per la quale il solo uso della parola ‘religione’ creava imbarazzo. In realtà, le religioni non sono problemi, ma parte della soluzione per una convivenza più armoniosa. La ricerca della trascendenza e il sacro valore della fraternità possono ispirare e illuminare le scelte da prendere nel contesto delle crisi geopolitiche, sociali, economiche, ecologiche ma, alla radice, spirituali che attraversano molte istituzioni odierne, anche le democrazie, mettendo a repentaglio la sicurezza e la concordia tra i popoli». Per questo, Papa Bergoglio ha espresso un forte convincimento: «Abbiamo bisogno di religione – rilancia – per rispondere alla sete di pace del mondo e alla sete di infinito che abita il cuore di ogni uomo. La libertà religiosa è condizione essenziale per uno sviluppo davvero umano e integrale ed è un diritto fondamentale, primario e inalienabile, che occorre promuovere ovunque e che non può limitarsi alla sola libertà di culto. È infatti diritto di ogni persona rendere pubblica testimonianza al proprio credo: proporlo senza mai imporlo. È la buona pratica dell’annuncio, differente dal proselitismo e dall’indottrinamento, da cui tutti sono chiamati a tenersi distanti». Un credo che non va nascosto: «Relegare alla sfera del privato il credo più importante della vita – la tesi del Santo Padre – priverebbe la società di una ricchezza immensa. Favorire, al contrario, contesti dove si respira una rispettosa convivenza delle diversità religiose, etniche e culturali è il modo migliore per valorizzare i tratti specifici di ciascuno, di unire gli esseri umani senza uniformarli, di promuoverne le aspirazioni più alte senza tarparne lo slancio».

I leader religiosi mondiali ascoltano Papa Francesco

In seguito, il Papa ha fatto un riferimento anche alla recente pandemia di Covid-19: «Riflettere – esorta – sul nostro ruolo nello sviluppo spirituale e sociale dell’umanità durante il periodo post-pandemico. Il Covid-19 ci ha messo tutti sullo stesso piano. Tutti ci siamo sentiti fragili, tutti bisognosi di assistenza; nessuno pienamente autonomo, nessuno completamente autosufficiente». Quindi il Pontefice ha rivolto un nuovo appello: «Ora, però – precisa -, non possiamo dilapidare il bisogno di solidarietà che abbiamo avvertito andando avanti come se nulla fosse successo, senza lasciarci interpellare dall’esigenza di affrontare insieme le urgenze che riguardano tutti. A ciò le religioni non devono essere indifferenti. Sono chiamate a stare in prima linea, ad essere promotrici di unità di fronte a prove che rischiano di dividere ancora di più la famiglia umana. Sta a noi, che crediamo nel Divino, aiutare i fratelli e le sorelle della nostra epoca a non dimenticare la vulnerabilità che ci caratterizza: a non cadere in false presunzioni di onnipotenza suscitate da progressi tecnici ed economici, che da soli non bastano; a non farsi imbrigliare nei lacci del profitto e del guadagno, quasi fossero i rimedi a tutti i mali; a non assecondare uno sviluppo insostenibile che non rispetti i limiti imposti dal creato; a non lasciarsi anestetizzare dal consumismo che stordisce, perché i beni sono per l’uomo e non l’uomo per i beni. Insomma, la nostra comune vulnerabilità, emersa durante la pandemia, dovrebbe stimolarci a non andare avanti come prima, ma con più umiltà e lungimiranza».

Successivamente, il Santo Padre ha ricordato che al mondo persevera qualcosa di peggio del Covid-19: «Fino a quando continueranno a imperversare disparità e ingiustizie – ammonisce -, non potranno cessare virus peggiori del Covid: quelli dell’odio, della violenza, del terrorismo». È questa la sfida di cui, secondo il Papa, i credenti sono chiamati a farsi carico: «Prendersi cura dell’umanità in tutte le sue dimensioni – esorta -, diventando artigiani di comunione, testimoni di una collaborazione che superi gli steccati delle proprie appartenenze comunitarie, etniche, nazionali e religiose, partendo dall’ascolto dei più deboli, dal dare voce ai più fragili, dal farsi eco di una solidarietà globale che in primo luogo riguardi loro, i poveri, i bisognosi che più hanno sofferto la pandemia, la quale ha fatto prepotentemente emergere l’iniquità delle disuguaglianze planetarie». A riguardo Papa Bergoglio ha fatto un esempio specifico: «Quanti, oggi ancora – ricorda -, non hanno facile accesso ai vaccini! Stiamo dalla loro parte, non dalla parte di chi ha di più e dà di meno; diventiamo coscienze profetiche e coraggiose, facciamoci prossimi a tutti ma specialmente ai troppi dimenticati di oggi, agli emarginati, alle fasce più deboli e povere della società, a coloro che soffrono di nascosto e in silenzio, lontano dai riflettori». Papa Francesco ha definito la sua proposta “un percorso di guarigione per le nostre società”: «Sì, perché è proprio l’indigenza – ribadisce – a permettere il dilagare di epidemie e di altri grandi mali che prosperano sui terreni del disagio e delle disuguaglianze. Il maggior fattore di rischio dei nostri tempi permane la povertà».

E ancora il Papa ha riparlato della necessità di costruire la pace: «Vediamo i nostri giorni ancora segnati dalla piaga della guerra – constata -, da un clima di esasperati confronti, dall’incapacità di fare un passo indietro e tendere la mano all’altro. Occorre un sussulto e occorre, fratelli e sorelle, che venga da noi. Se il Creatore, a cui dedichiamo l’esistenza, ha dato origine alla vita umana, come possiamo noi, che ci professiamo credenti, acconsentire che essa venga distrutta? E come possiamo pensare che gli uomini del nostro tempo, molti dei quali vivono come se Dio non esistesse, siano motivati a impegnarsi in un dialogo rispettoso e responsabile se le grandi religioni, che costituiscono l’anima di tante culture e tradizioni, non si impegnano attivamente per la pace? Memori degli orrori e degli errori del passato, uniamo gli sforzi, affinché mai più l’Onnipotente diventi ostaggio della volontà di potenza umana». È dunque fondamentale compiere un passo decisivo: «È necessaria, per tutti e per ciascuno – rilancia il Santo Padre -, una purificazione dal male. Purifichiamoci, dunque, dalla presunzione di sentirci giusti e di non avere nulla da imparare dagli altri; liberiamoci da quelle concezioni riduttive e rovinose che offendono il nome di Dio attraverso rigidità, estremismi e fondamentalismi, e lo profanano mediante l’odio, il fanatismo e il terrorismo, sfigurando anche l’immagine dell’uomo. Non giustifichiamo mai la violenza. Non permettiamo che il sacro venga strumentalizzato da ciò che è profano. Il sacro non sia puntello del potere e il potere non si puntelli di sacralità! Dio è pace e conduce sempre alla pace, mai alla guerra. Impegniamoci dunque, ancora di più, a promuovere e rafforzare la necessità che i conflitti si risolvano non con le inconcludenti ragioni della forza, con le armi e le minacce, ma con gli unici mezzi benedetti dal cielo e degni dell’uomo: l’incontro, il dialogo, le trattative pazienti, che si portano avanti pensando in particolare ai bambini e alle giovani generazioni. Esse incarnano la speranza che la pace non sia il fragile risultato di affannosi negoziati, ma il frutto di un impegno educativo costante, che promuova i loro sogni di sviluppo e di futuro. Investiamo, vi prego, in questo: non negli armamenti, ma nell’istruzione!».

Nella parte finale del suo discorso al Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali di Nur-Sultan, Papa Bergoglio è quindi tornato a rivolgere il suo pensiero agli ultimi: «Ogni giorno – denuncia – nascituri e bambini, migranti e anziani vengono scartati. Tanti fratelli e sorelle muoiono sacrificati sull’altare del profitto, avvolti dall’incenso sacrilego dell’indifferenza. Eppure ogni essere umano è sacro – aggiunge citando Seneca -. È compito anzitutto nostro, delle religioni, ricordarlo al mondo! Mai come ora assistiamo a grandi spostamenti di popolazioni, causati da guerre, povertà, cambiamenti climatici, dalla ricerca di un benessere che il mondo globalizzato permette di conoscere, ma a cui è spesso difficile accedere. Un grande esodo è in corso: dalle aree più disagiate si cerca di raggiungere quelle più benestanti. Non è un dato di cronaca, è un fatto storico che richiede soluzioni condivise e lungimiranti. Certo, viene istintivo difendere le proprie sicurezze acquisite e chiudere le porte per paura; è più facile sospettare dello straniero, accusarlo e condannarlo piuttosto che conoscerlo e capirlo. Ma è nostro dovere ricordare che il Creatore, il quale veglia sui passi di ogni creatura, ci esorta ad avere uno sguardo simile al suo, uno sguardo che riconosca il volto del fratello». Da qui l’esortazione di Papa Francesco: «Riscopriamo – invita – l’arte dell’ospitalità, dell’accoglienza, della compassione. E impariamo pure a vergognarci: sì, a provare quella sana vergogna che nasce dalla pietà per l’uomo che soffre, dalla commozione e dallo stupore per la sua condizione, per il suo destino di cui sentirsi partecipi. È la via della compassione, che rende più umani e più credenti. Sta a noi, oltre che affermare la dignità inviolabile di ogni uomo, insegnare a piangere per gli altri, perché solo se avvertiremo come nostre le fatiche dell’umanità saremo veramente umani».

Immancabile, in chiusura del suo intervento, un riferimento alla tutela del creato: «Proteggere la nostra casa comune – richiama il Papa – di fronte agli stravolgimenti climatici, perché non sia assoggettata alle logiche del guadagno, ma preservata per le generazioni future. Con cura amorevole l’Altissimo ha disposto una casa comune per la vita: e noi, che ci professiamo suoi, come possiamo permettere che venga inquinata, maltrattata e distrutta? Uniamo gli sforzi anche in questa sfida. Virus come il Covid-19, che, pur microscopici, sono in grado di sgretolare le grandi ambizioni del progresso, spesso sono legati a un equilibrio deteriorato, in gran parte per causa nostra, con la natura che ci circonda. Pensiamo ad esempio alla deforestazione, al commercio illegale di animali vivi, agli allevamenti intensivi… È la mentalità dello sfruttamento a devastare la casa che abitiamo. Non solo: essa porta a eclissare quella visione rispettosa e religiosa del mondo voluta dal Creatore. Perciò è imprescindibile favorire e promuovere la custodia della vita in ogni sua forma». Infine un ultimo invito: «Andiamo avanti insieme – raccomanda il Pontefice -, perché il cammino delle religioni sia sempre più amichevole. L’Altissimo ci liberi dalle ombre del sospetto e della falsità; ci conceda di coltivare amicizie solari e fraterne, attraverso il dialogo frequente e la luminosa sincerità delle intenzioni. Non cerchiamo finti sincretismi concilianti, ma custodiamo le nostre identità aperti al coraggio dell’alterità, all’incontro fraterno. Solo così, nei tempi bui che viviamo, potremo irradiare la luce del nostro Creatore».

About Davide De Amicis (4615 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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