Sinodo: “Necessitiamo di una Chiesa rinnovata dal contributo di tutti”
"Sappiamo molto bene che pensare insieme non è facile e non significa rinunciare alla propria idea - precisa monsignor Tommaso Valentinetti -, ma significa avere la capacità di saper trovare le logiche integrative, i pensieri diversi che però si possono unire. Ma non per nostra capacità o per buona volontà, ma perché se ci mettiamo dentro questa logica di ascolto di un lev shomea, sarà il Signore a fare tutto questo, non saremo noi"

È l’ascolto, come raccomandato da Papa Francesco, il fondamento su cui è posto il Sinodo della Chiesa universale 2021-2023 dal tema “Per una Chiesa sinodale: Comunione, partecipazione e missione”. Lo ha ribadito l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti, lo scorso 30 aprile, presentando nella Cattedrale di San Cetteo a Pescara il documento finale della fase diocesana del Sinodo (scaricabile in fondo all’articolo), che ha messo in campo il lavoro di 7 componenti dell’equipe diocesana più l’arcivescovo, 24 coordinatori foraniali, circa 170 coordinatori parrocchiali e 45 coordinatori diocesani che hanno seguito il lavoro dei gruppi di riflessione tematici: «E l’ascolto – esordisce il presule – non è una cosa facile. “Quando il Signore gli ha proposto di fargli un dono, ha chiesto un cuore capace di ascolto, un lev shomea”. Noi abbiamo sempre pensato che questa figura potesse essere relativa all’ascolto della Parola di Dio, ed è fondamentale che lo sia. Che questo cuore capace di ascolto sia soprattutto capace di recepire ciò che il Signore dice, vuole esprimere al nostro cuore, alla nostra vita. Il secondo elemento è il Signore che parla non solo a ciascuno di noi, ma che parla alle Chiese. Ma credo che un cuore capace di ascolto dovremmo averlo anche in confronto dei fratelli, della società che ci circonda. Un cuore capace di ascolto nei confronti di, forse, ha perso il gusto nell’incontro con il Signore. Un cuore capace di ascolto a chi vive una situazione difficile, drammatica. Un cuore capace di ascolto di una storia, di una vicenda. Eccome se c’è bisogno di ascoltare, soprattutto in questo tempo, come c’è bisogno di un ascolto che sappia interpretare gli eventi. La pandemia non ci ha detto niente o forse ci ha detto qualcosa su cui dovremmo pensare e riflettere? Dobbiamo solo pensare a tornare alla vita normale di prima o forse dobbiamo ripensare la nostra vita? Gli eventi a cui stiamo assistendo in questi giorni, non ci chiedono forse un cuore capace di ascoltare il grande desiderio di pace che c’è nel cuore di tanti? Che sembra in qualche modo smarrito, che sembra soffocato da desideri sempre più perversi che ci vorrebbero far capire che l’unica parola possibile è quella delle armi».

Il secondo ambito di riflessione suggerito dal Pontefice è poi avere un cuore capace di contemplare: «Contemplare il Signore nella storia – approfondisce l’arcivescovo Valentinetti -, perché il Signore c’è. Non abbiamo forse coperto il volto del Signore? “Il Tuo volto Signore io cerco, mostrami il Tuo volto”. Ma non stiamo forse coprendo il volto del Signore o forse non stiamo dicendo “Signore, girati dall’altra parte che io voglio fare diversamente”. Io credo che su questa dimensione dell’ascolto ci sia molto da riflettere ancora e da metterci in atteggiamento di disponibilità, perché queste due dimensioni dell’ascolto verticale e dell’ascolto orizzontale si coniugano sempre di più senza barriere interiori ed interiori… “Specialmente – sto citando alcune righe del testo del Papa – verso i poveri, i lontani e quanti vivono situazioni difficili, famiglie in difficoltà, omosessuali, vittime di dipendenza, malati, persone sole e con fragilità psicologiche”. Ma la meraviglia di questo tempo, e anche la finalità del percorso sinodale, è di ricostruire incontri, ricostruire rapporti. Penso soprattutto al lavoro che hanno fatto i gruppi di interesse, quello sulla politica, dei medici, dei giuristi cattolici e quanti altri ancora. Ricucire i rapporti con una serie di persone che, probabilmente, a causa di situazioni personali o di lavoro, sono ai margini della vita ecclesiale, o solo a guardare la vita ecclesiale. Forse dobbiamo essere attenti anche a questa filigrana, con un tessuto di Chiesa che si scrolla di dosso le vecchie abitudini. È stato detto, sempre nella riflessione del Papa, di “scrollarsi di tutti ciò che può essere antico o del ‘si è sempre fatto così’”. Sia il tempo di dare capacità di relazioni nuove, di aperture nuove, di relazioni nuove, di accoglienze nuove».
Questo, per l’arcivescovo di Pescara-Penne, è il primo tassello per poter continuare il cammino: «Abbiamo bisogno di una Chiesa ringiovanita – aggiunge -, rinnovata dal contributo di tutti. Il Papa ci ha detto molte volte “Ascoltate i non credenti, ascoltate anche quelli di altre religioni”. Ma perché? Prima di tutto perché lo Spirito soffia dappertutto. Ma poi perché anche da altri fratelli possono venire cammini di partecipazione, sia pure solo direi simpatica, ma di partecipazione stimolante al percorso di Chiesa che sia adeguato al tempo che stiamo vivendo. È la meraviglia, lo dico veramente con gioia, a cui ho potuto assistere anche personalmente, è che finalmente sta entrando nel vivo un percorso sinodale. Non un confronto di democrazia tra maggioranza e minoranza, non la ricerca di discussioni sterili che non possono portare da nessuna parte. Non la ricerca di decisioni che possono prevaricare minoranze, ma quella capacità del percorso del pensare insieme. Sì, pensare insieme. Sappiamo molto bene che pensare insieme non è facile e non significa rinunciare alla propria idea, ma significa avere la capacità di saper trovare le logiche integrative, i pensieri diversi che però si possono unire. Ma non per nostra capacità o per buona volontà, ma perché se ci mettiamo dentro questa logica di ascolto di un lev shomea, sarà il Signore a fare tutto questo, non saremo noi».
Fatte queste premesse, il presule ha ripercorso le tre motivazioni fondamentali che hanno spinto Papa Francesco a indire il Sinodo 2023 e il motivo per il quale ha chiesto a tutti di contribuire: «“Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Da qui siamo partiti – ricorda monsignor Valentinetti -. Allora se è vero che dobbiamo metterci nella logica di pensare insieme, dobbiamo metterci nella logica di pensare insieme questi tre aspetti. Per la comunione. Ma che significa vivere la comunione? Che significa ricercare la comunione? Significa rinunciare alle proprie identità? Significa rinunciare ai propri carismi o alle proprie idee? O significa trovare i nuclei essenziali, della fede e della vita, che come Chiesa ci conducono nel tempo perché questa comunione sia riconosciuta sempre di più come una comunione plurale e non una comunione da pensiero unico? Perché ciò che conta è l’essenziale della verità. Ma quando la verità non viene intaccata, non viene scalfita, dentro di essa c’è una capacità di comunione plurale, che sicuramente è il cammino che le Chiese devono fare. Vi invito a pensare a cosa sta accadendo nelle varie parti del mondo riguardo alla presenza della Chiesa. Provate a pensare al Sinodo della Chiesa di Germania, al Sinodo della Chiesa dell’Amazzonia, alle regalità ecclesiali di altre Chiese di altri continenti e di altre nazioni. Proviamo a pensare alle diversità delle parrocchie della città di Pescara, con le parrocchie della città di Montesilvano, con quelle della città di Penne e dei paesi dell’entroterra. Io, che sono vescovo, mi accorgo di una diversità enorme di situazioni, circostanze. Ma questo ci deve aiutare a vivere sì la comunione, ma anche la capacità di una comunione plurale, dove cerchiamo le strade dell’unità. Dove l’unità della Chiesa si fa intorno al vescovo e al presbiterio, ma dove l’unità della Chiesa è riconosciuta dalla possibilità di intraprendere itinerari e cammini che possono percorrere anche strade diverse, che ci sia il rispetto di una verità fondamentale. Ma fare comunione plurale non è facile, così come non è facile pensare insieme. Vivere la comunione plurale significa, molte volte, avere il coraggio di stare dentro le contraddizioni di non escludersi, non demonizzarsi, non creare conflitti e barriere, perché creandoli noi facciamo percorsi di discomunione. E non esagerando carismi e idee, perché non è un solo carisma che vivifica la Chiesa, ma è l’unità dei carismi che vivifica la Chiesa, è il riconoscimento della possibilità di questi carismi».
Il secondo ambito di riflessione del Sinodo è poi la partecipazione: «Si partecipa con la propria soggettività – osserva monsignor Tommaso Valentinetti -, si partecipa non delegando, non facendo finta di niente, non disconoscendo l’invito del vescovo a venire alla conclusione del percorso sinodale. Dobbiamo camminare sulla partecipazione, che dev’essere comunitaria e preparata. Bisogna dire la verità, come laici impegnati una partecipazione che sia soggettivamente valida – molte volte – viene meno perché non abbiamo una capacità di interloquire e parlare. Spesso, durante le conversazioni spirituali, mi sono accorto che qualcuno non sapeva cosa dire. Non lo dico per condannare o giudicare, lo dico unicamente perché questa partecipazione sia da riscoprire dentro la nostra storia personale, soprattutto dentro la storia di coloro che sono chiamati a vivere come operatori all’interno della nostra comunità. Mi riferisco soprattutto alla preparazione dei catechisti, che non è una preparazione solo tecnica, ma anche teologica. Alla portata di tutti, ma che faccia rinfrescare, ringiovanire la capacità di ascolto. Che sia ben chiaro, anche da un’informazione soggettivamente valida, che possa dare contributo e significato alla vita della Chiesa diocesana».
Infine l’ultimo ambito di riflessione di questa consultazione sinodale è la missione: «Quale missione? – s’interroga il presule – Sicuramente non quella di cominciare a percorrere le strade della città sbandierando la propria fede o facendo iniziative anche valide, ma che alla fine non incidono sulla storia della persone. La missione, l’ho detto molte volte, è la comunicazione della fede. Ma per quest’ultima, intendo una comunicazione della fede di coloro che vogliono evangelizzare, ma che devono essere prima di tutti gli evangelizzati. Il Vangelo passa di mano in mano. Non buttiamolo facendo grandi iniziative, possono servire anche quelle in alcune circostanze. Noi portiamo il Vangelo. Se riusciamo a prendere per mano un fratello, una sorella, e davanti a costoro non ci mettiamo in atteggiamento di proselitismo (“Ti devi convertire, ti devo cambiare la vita, ti devo dire che fino ad esse hai fatto tutto sbagliato e io ho fatto tutto bene”), né tantomeno un atteggiamento di militanza (Prepariamoci e partiamo tutti insieme. Adesso usciamo da questa Chiesa e andiamo in giro a dire “Gesù è risorto”). Molto bello, potremmo catturare l’attenzione. Ma, lo sapete, molte volte, quando faccio le omelie, mi rendo conto che la gente non riesce neanche a capire, perché il linguaggio – questo lo raccomando anche ai nostri fratelli presbiteri nelle omelie – deve arrivare al cuore, giungendo a toccare l’intimo. Non c’è bisogno di fare grandi discorsi, ma di vivere un’affettività santa, che porti i fratelli a capire che gli vogliamo bene, che li vogliamo dentro una storia d’amore credenti e credibili nel servizio d’amore che noi possiamo fare alla società. Questo l’ho detto anche nell’omelia del mercoledì santo “Chiesa santa di Dio cammina nel tempo, sii consapevole che devi essere sempre più credibile. Ci sono tantissime parole nelle frasi sinodali. Che cosa ci chiede oggi questa riflessione? Essere una Chiesa credibile, io vescovo credibile, voi sacerdoti credibili, voi diaconi e operatori pastorali credibili e accoglienti, credibili e amanti, credibili e pieni di misericordia, bontà, vera pace e vero amore. La strada non è facile. Il cammino della Chiesa che stiamo percorrendo, sicuramente, in questo tempo così difficile (tra la fine della pandemia e l’incertezza di una guerra che bussa alle porte delle nostre nazioni, ci mette in fatica se non in difficoltà), ma noi non vogliamo indietreggiare, non vogliamo scoraggiarci. Non militanti, ma credenti. Noi sempre più credenti nell’amore del Signore, vogliamo donare la nostra vita e tutto noi stessi, perché quando il Signore arriverà tutti, anche quelli che lo trafissero, possiamo trovare misericordia e gioia eterna in paradiso”. Ecco che cosa significa la missione, non grandiosità di gesti, ma capacità di vivere dentro questa storia».
Nella parte finale delle conclusioni sinodali, rileggendo la riflessione su di alcune parole chiave scaturite dall’analisi del lavoro dei gruppi tematici sinodali, l’arcivescovo Valentinetti ha quindi dedicato una riflessione specifica al coinvolgimento delle donne nella Chiesa, ancora marginale: «Quant’è vero – ammette l’arcivescovo di Pescara-Penne -. Vi abbiamo fatto fare le sguattere nelle nostre parrocchie, tutto vi abbiamo chiesto tranne di darvi responsabilità e possibilità decisionali. Cercate di rendere più veritiera questa vostra presenza, è un dono che farete a tutta la vita della Chiesa perché purtroppo la presenza della donna è ancora marginale. Ci sono anche richieste che vanno molto al di là di quello che potrebbe essere il vero ruolo della presenza (penso a quanto richiesto dal Sinodo tedesco in riferimento al diaconato per le donne). Ma senza arrivare a gesti così coinvolgenti, a situazioni così complesse, una maggiore responsabilità all’interno dei Consigli pastorali parrocchiali nei quali ci dev’essere la possibilità di avere capacità decisionale».

Quindi un’ultima riflessione sulla liturgia, in riferimento alla traccia sinodale: «Dalle nostre liturgie – sottolinea monsignor Valentinetti – si evince la nostra identità cristiana. Il nostro essere popolo di Dio si evince dal nostro essere nell’Eucaristia domenicale. E se quest’ultima viene disattesa, la colpa può essere di chi si interessa della liturgia, ma può essere anche nostra che viviamo la liturgia e non la rendiamo capace di essere coinvolgente e significativamente espressiva per il popolo di Dio. Ma senza popolo di Dio, è vero che l’Eucaristia fa la Chiesa e la Chiesa fa l’Eucaristia e se c’è un solo sacerdote che celebra c’è la Chiesa, il futuro dell’Eucaristia è compromesso. E allora dobbiamo riscoprire realmente la capacità di celebrare, di ritrovare il senso della propria identità di cristiani e il fondamento dell’impegno apostolico nel nostro celebrare l’Eucaristia».
Come passi successivi del cammino sinodale dell’Arcidiocesi di Pescara-Penne, nei mesi di maggio e giugno sono stati realizzati dei laboratori tematici – su liturgia, evangelizzazione, catechesi e carità – organizzati presso le parrocchie e le foranie: «Mentre a settembre – annuncia il presule – incontrerò i presbiteri a gruppi, proponendo loro di continuare questo lavoro alla luce di queste conclusioni del percorso sinodale. E sempre a settembre, faremo degli incontri con i Consigli pastorali parrocchiali – forania per forania – riprendendo il cammino iniziato l’anno scorso, perché questa sinodalità va esercitata».
Quindi l’arcivescovo Valentinetti ha rivolto un’ultima proposta alla comunità diocesana: «Dieci anni fa – ricorda – chiesi alla nostra diocesi di strutturare un Sinodo diocesano permanente. Non erano maturi i tempi, ma ora ci voglio pensare bene. Voglio fare una riflessione con tutti, mi piacerebbe creare una struttura di percorso sinodale permanente col contributo di tutti, nel quale ci si possa confrontare serenamente sul percorso delle nostre comunità parrocchiali. Vi affido questa preghiera perché, se lo Spirito Santo vuole, si possa realizzare. E preghiamo per la pace. I potenti di questa terra vogliono fare la guerra, ma gli uomini, le donne e i bambini non vogliono fare la guerra. C’è molta propaganda in tutto questo. Mandare armi, uomini, rinfocolare attriti. Da queste non si esce con le armi, non si esce con la guerra. I potenti di questo mondo, che probabilmente vogliono cambiare gli assetti geopolitici della storia che stiamo vivendo, stanno imboccando quella strada. Preghiamo lo Spirito Santo perché il momento non è facile».