Chiesa: “Per renderla bella guardare insieme all’avvenire, non restaurare il passato”
"Ogni ricostruzione – ricorda Papa Francesco - avviene insieme, nel segno dell’unità. Con gli altri. Ci possono essere visioni diverse, ma va sempre custodita l’unità. Perché, se custodiamo la grazia dell’insieme, il Signore costruisce anche lì dove non riusciamo. È la nostra chiamata, essere Chiesa, un Corpo solo tra di noi. È la nostra vocazione, in quanto Pastori. Radunare il gregge, non disperderlo e nemmeno preservarlo nei bei recinti chiusi. Questo è ucciderlo"
«Riflettere, ricostruire, vedere. Sono questi i tre verbi che ci interpellano come cristiani e pastori in Europa». Lo ha affermato ieri Papa Francesco nella basilica di San Pietro, presiedendo la santa messa con i partecipanti all’assemblea plenaria del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), riunita nel 50° anniversario della sua fondazione: «Anche oggi in Europa noi cristiani – constata il Papa – abbiamo la tentazione di starcene comodi nelle nostre strutture, nelle nostre case e nelle nostre chiese, nelle nostre sicurezze date dalle tradizioni, nell’appagamento di un certo consenso, mentre tutt’intorno i templi si svuotano e Gesù viene sempre più dimenticato. Quante persone non hanno più fame e sete di Dio! Non perché siano cattive, no, ma perché manca chi faccia loro venire l’appetito della fede e riaccenda quella sete che c’è nel cuore dell’uomo. Quella “concreata e perpetua sete” di cui parla il padre Dante e che la dittatura del consumismo, leggera ma soffocante, prova a estinguere. Tanti sono portati ad avvertire solo bisogni materiali, non la mancanza di Dio. E noi di certo ce ne preoccupiamo, ma quanto ce ne occupiamo davvero? È facile giudicare chi non crede, è comodo elencare i motivi della secolarizzazione, del relativismo e di tanti altri ‘ismi’, ma in fondo è sterile. La Parola di Dio ci porta a riflettere su di noi. Proviamo affetto e compassione per chi non ha avuto la gioia di incontrare Gesù oppure l’ha smarrita? Siamo tranquilli perché in fondo non ci manca nulla per vivere, oppure inquieti nel vedere tanti fratelli e sorelle lontani dalla gioia di Gesù?».
Da qui il monito del Santo Padre: «La mancanza di carità causa l’infelicità – spiega, mettendo in guardia dall’autoreferenzialità di una Chiesa che non sappia essere in uscita –, perché solo l’amore sazia il cuore. Chiusi nell’interesse per le proprie cose, gli abitanti di Gerusalemme avevano perso il sapore della gratuità – afferma in riferimento alle letture di ieri –. Può essere anche il nostro problema. Concentrarsi sulle varie posizioni nella Chiesa, su dibattiti, agende e strategie, e perdere di vista il vero programma, quello del Vangelo, Lo slancio della carità, l’ardore della gratuità. La via di uscita dai problemi e dalle chiusure è sempre quella del dono gratuito. Non ce n’è un’altra. Riflettiamoci».
Da qui l’invito del Pontefice a fare come il popolo d’Israele: «Che ricostruisce il tempio – osserva – perché smette di accontentarsi di un presente tranquillo e lavora per l’avvenire. Di ciò ha bisogno la costruzione della casa comune europea, di lasciare le convenienze dell’immediato per tornare alla visione lungimirante dei padri fondatori, visione oserei dire profetica e d’insieme, perché essi non cercavano i consensi del momento, ma sognavano il futuro di tutti. Così sono state costruite le mura della casa europea e solo così si potranno rinsaldare. Ciò vale pure per la Chiesa, casa di Dio. Per renderla bella e ospitale, occorre guardare insieme all’avvenire, non restaurare il passato. Purtroppo c’è di moda quel ‘restaurismo’ del passato che ci uccide, ci uccide tutti. Certo, dobbiamo ripartire dalle fondamenta, perché da lì si ricostruisce. Dalla tradizione vivente della Chiesa, che ci fonda sull’essenziale, sul buon annuncio, sulla vicinanza e sulla testimonianza. Da qui si ricostruisce, dalle fondamenta della Chiesa delle origini e di sempre, dall’adorazione a Dio e dall’amore al prossimo, non dai propri gusti particolari, non dai patti o negoziati che possiamo fare adesso per difendere la Chiesa e difendere la cristianità».
Quindi l’omaggio alla Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa: «Vorrei ringraziarvi per questo non facile lavoro di ricostruzione, che portate avanti con la grazia di Dio – riconosce Papa Bergoglio -. Grazie per questi primi 50 anni a servizio della Chiesa e dell’Europa. Incoraggiamoci, senza mai cedere allo scoraggiamento e alla rassegnazione. Siamo chiamati dal Signore a un’opera splendida, a lavorare perché la sua casa sia sempre più accogliente, perché ognuno possa entrarvi e abitarvi, perché la Chiesa abbia le porte aperte a tutti e nessuno abbia la tentazione di concentrarsi solo a guardare e cambiare le serrature, le piccole cose squisite. No, il cambiamento va da un’altra parte. Il popolo d’Israele ricostruì il tempio con le proprie mani. I grandi ricostruttori della fede del continente hanno fatto lo stesso. Hanno messo in gioco la loro piccolezza, fidandosi di Dio. Penso ai Santi, come Martino, Francesco, Domenico, Pio che ricordiamo oggi; ai patroni come Benedetto, Cirillo e Metodio, Brigida, Caterina da Siena, Teresa Benedetta della Croce. Hanno cominciato da sé stessi, dal cambiare la propria vita accogliendo la grazia di Dio. Non si sono preoccupati dei tempi bui, delle avversità e di qualche divisione, che c’è sempre stata. Non hanno perso tempo a criticare e colpevolizzare. Hanno vissuto il Vangelo, senza badare alla rilevanza e alla politica. Così, con la forza mite dell’amore di Dio, hanno incarnato il suo stile di vicinanza, compassione e tenerezza, e hanno costruito monasteri, bonificato terre, ridato anima a persone e Paesi: nessun programma sociale, solo il Vangelo».
Infine, è giunto da Papa Francesco un appello all’unità: «Ogni ricostruzione – ricorda – avviene insieme, nel segno dell’unità. Con gli altri. Ci possono essere visioni diverse, ma va sempre custodita l’unità. Perché, se custodiamo la grazia dell’insieme, il Signore costruisce anche lì dove non riusciamo. È la nostra chiamata, essere Chiesa, un Corpo solo tra di noi. È la nostra vocazione, in quanto Pastori. Radunare il gregge, non disperderlo e nemmeno preservarlo nei bei recinti chiusi. Questo è ucciderlo».
In seguito ancora un ammonimento del Papa: «Ricostruire – precisa – significa farsi artigiani di comunione, tessitori di unità a ogni livello, non per strategia, ma per Vangelo. Se così ricostruiamo, daremo la possibilità ai nostri fratelli e sorelle di vedere. Tanti in Europa pensano che la fede sia qualcosa di già visto, che appartiene al passato. Perché? Perché non hanno visto Gesù all’opera nelle loro vite. E spesso non lo hanno visto perché noi con le nostre vite non lo abbiamo mostrato abbastanza. Perché Dio si vede nei visi e nei gesti di uomini e donne trasformati dalla sua presenza. E se i cristiani, anziché irradiare la gioia contagiosa del Vangelo, ripropongono schemi religiosi logori, intellettualistici e moralistici, la gente non vede il Buon Pastore. Non riconosce Colui che, innamorato di ogni sua pecora, la chiama per nome e la cerca per mettersela in spalla. Non vede Colui di cui predichiamo l’incredibile Passione, proprio perché Egli ha una sola passione: l’uomo. Questo amore divino, misericordioso e sconvolgente, è la novità perenne del Vangelo. Servono scelte sagge e audaci, fatte in nome della tenerezza folle con cui Cristo ci ha salvati. Il Vangelo non ci chiede di dimostrare, ci chiede di mostrare Dio, come hanno fatto i santi, non a parole, ma con la vita. Chiede preghiera e povertà, chiede creatività e gratuità. Aiutiamo l’Europa di oggi, malata di stanchezza, a ritrovare il volto sempre giovane di Gesù e della sua sposa».