«Il protagonismo delle donne per il futuro della Chiesa»
«Il protagonismo delle donne per il futuro della Chiesa» è il titolo del dibattito tenutosi questa mattina, 8 marzo, presso la Pontificia Università della Santa Croce in Roma. Una occasione per riflettere sulla responsabilità laicale che nasce dal Battesimo. Sono intervenute: Barbara Jatta, Direttrice dei Musei Vaticani; Natas Govekar, Direttore della Direzione Teologico-Pastorale, Dicastero per la Comunicazione; Pilar Río, professoressa stabile della Facoltà di Teologia dell’Università della Santa Croce.
Uomini e donne condividono la comune responsabilità laicale che nasce dal Battesimo e dalla Confermazione. È stato questo pensiero a guidare i relatori intervenuti questa mattina, 8 marzo, nella sessione del IX Corso di specializzazione in informazione religiosa in programma dal 5 marzo al 14 maggio presso la Pontificia Università della Santa Croce in Roma.
Il tema della sessione odierna è stato: Il protagonismo delle donne per il futuro della Chiesa. Se non stupisce che nella giornata dell’8 marzo ben tre relatori fossero donne, un certo interesse l’ha suscitato constatare che tutte ricoprissero dei ruoli di gran responsabilità nella Chiesa. Barbara Jatta ha un lungo curriculum che termina con il suo ultimo incarico: dal 1° gennaio 2017 è Direttore dei Musei Vaticani su nomina di Papa Francesco; Natas Govekar è dal 2016 il Direttore della Direzione Teologico-Pastorale, Dicastero per la Comunicazione, e sempre su nomina di Francesco; la cilena Pilar Río è teologa, giornalista e prima professoressa stabile della Facoltà di Teologia dell’Università della Santa Croce dove attualmente insegna Ecclesiologia e Sacramenti.
Che dire di così tante donne chiamate a ricoprire ruoli di prestigio dentro la Chiesa? Sono forse arrivate anche qui le “quote rosa”, magari a dimostrazione che siamo sotto un pontificato moderno? La risposta è: no, due volte! Sarebbero state interpretazioni semplicistiche; e le semplificazioni non appartengono alla Chiesa, per tradizione.
È stata la prima relatrice, la prof. Jatta, a chiarire subito perché non sia rilevante parlare di “quote” per i cristiani; neppure di “ruoli”, a dirla tutta. Nell’antropologia cristiana, uomini e donne sono infatti uguali in quanto figli di Dio: l’uguaglianza delle donne procede con quella degli uomini, e viceversa, perché sono uniti nella medesima direzione. Gli uni e le altre, perché uguali, non sono chiamati a ricoprire “ruoli”, tantomeno “quote”, piuttosto invitati a realizzare la vocazione dell’uguale condizione di figli di Dio. Tra questi, i laici sono l’immensa maggioranza del popolo di Dio; mentre i ministri ordinati sono una minoranza a servizio dei primi. La questione dell’uguaglianza tra uomini e donne non è una cosa che riguardi il genere, maschile o femminile, perché le donne e gli uomini condividono comunque la comune responsabilità laicale che nasce dal Battesimo e dalla Confermazione, tema, questo, sviluppato nella relazione della prof. Govekar.
E, allora, quale vocazione è chiamato a realizzare un laico, donna o uomo che sia? Per rispondere alla domanda, la Prof. Pilar Río ha scelto un passaggio dell’Evangelii Gaudium (102) nel quale si legge così:
Disponiamo di un numeroso laicato, benché non sufficiente, con un radicato senso comunitario e una grande fedeltà all’impegno della carità, della catechesi, della celebrazione della fede. Ma la presa di coscienza di questa responsabilità laicale che nasce dal Battesimo e dalla Confermazione non si manifesta nello stesso modo da tutte le parti. In alcuni casi perché non si sono formati per assumere responsabilità importanti, in altri casi per non aver trovato spazio nelle loro Chiese particolari per poter esprimersi ed agire, a causa di un eccessivo clericalismo che li mantiene al margine delle decisioni. Anche se si nota una maggiore partecipazione di molti ai ministeri laicali, questo impegno non si riflette nella penetrazione dei valori cristiani nel mondo sociale, politico ed economico. Si limita molte volte a compiti intraecclesiali senza un reale impegno per l’applicazione del Vangelo alla trasformazione della società. La formazione dei laici e l’evangelizzazione delle categorie professionali e intellettuali rappresentano un’importante sfida pastorale.
Dunque, un ostacolo alla piena realizzazione della vocazione laicale può essere tanto il clericalismo quanto la “auto-clerizzazione” del laico stesso. La chiesa non ha bisogno del solo “laico-diacono” – ha esemplificato la prof. Pilar Río, pur riconoscendo il merito di quanti sostengano i sacerdoti sempre meno numerosi –, se non progredisce anche il numero dei laici preparati a «testimoniare il Vangelo nel mondo e attraverso il mondo». I laici, uomini o donne che siano, devono lavorare in questa direzione. La meta da perseguire, insieme, è un bilanciamento tra lo status del clero e quello di laici, correggendo il clericalismo, da una parte, e rendendo i laici più consapevoli della propria vocazione, dall’altra parte.
Dunque, la metà da perseguire è comune per i laici, uomini e donne: «impegnarsi nel mondo e attraverso il mondo». Proprio come hanno saputo testimoniare, oggi, 8 marzo 2021, le tre relatrici, protagoniste del futuro della Chiesa così come si augura Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium (n.103):
Vedo con piacere come molte donne condividono responsabilità pastorali insieme con i sacerdoti, danno il loro contributo per l’accompagnamento di persone, di famiglie o di gruppi ed offrono nuovi apporti alla riflessione teologica. Ma c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. Perché «il genio femminile è necessario in tutte le espressioni della vita sociale; per tale motivo si deve garantire la presenza delle donne anche nell’ambito lavorativo» e nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali.