“La cura di ogni migrante, a prescindere dal suo passaporto, è sempre doverosa”
"L’Italia – spiega Pasquale Tridico, presidente dell’Istituto nazionale previdenza sociale (Inps) - beneficia oggi delle pensioni pagate dall’estero per un totale di 3,5 miliardi di euro. Invece le pensioni che l’Italia paga verso l’estero sono pari a 466 milioni di euro, un saldo a vantaggio del nostro Paese"
«Negli ultimi 15 anni gli italiani nel mondo hanno raggiunto la cifra di 5,5 milioni, con un aumento del 76,6%». È questo lo stato attuale del fenomeno migratorio registrato dal Rapporto “Italiani nel mondo” 2020, diffuso ieri dalla Fondazione Migrantes. Il rapporto è stato pubblicato per la prima volta nel 2006 e oggi traccia un bilancio di questi 15 anni in un’edizione speciale. Un incremento pari “a quello registrato nel secondo dopoguerra” si legge nel rapporto, presentato on line con la partecipazione del premier Giuseppe Conte e del cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei.
Il premier ha parlato in particolare dei giovani: «Al di là delle attuali limitazioni dovute all’emergenza sanitaria – spiega il presidente del Consiglio dei ministri – la nuova mobilità verso l’estero è una strada che vorremmo non a senso unico ma percorribile in entrambe le direzioni. Molti giovani ancora oggi scelgono di partire per l’estero. È nostro dovere costruire le condizioni per permettere a questi connazionali di tornare in Italia nel breve periodo, arricchiti dalle esperienze che hanno fatto e che contribuiscono a formare la persona. L’Italia ha bisogno di chiamare a raccolta le energie migliori, tra cui quelle dei tanti giovani all’estero, offrendo opportunità, servizi e incentivi per farli rientrare».
Per il presidente della Conferenza episcopale italiana, invece, la tutela del migrante dev’essere garantita a prescindere dalla provenienza del suo passaporto: «La cura di ogni persona migrante – sottolinea il cardinale Bassetti -, qualsiasi sia la direzione del suo andare e il passaporto in suo possesso, è sempre doverosa». Il porporato ha poi fatto riferimento alle «ultime modifiche normative, in discontinuità con il recente passato” (le modifiche ai cosiddetti “decreti sicurezza”), che contribuiscono a restituire l’immagine di migranti e richiedenti protezione come persone in carne e ossa, vittime di un sistema globale di iniquità economica e politica, di ingiustizia sociale e non come criminali o minacce all’ordine pubblico». Il presidente della Cei ha poi auspicato «la stessa cura per i migranti italiani in mobilità, per chi è già all’estero da tempo, per chi è nato all’estero, per chi è partito da poco o per chi ha intenzione di partire».
Tra le sfide che dovranno essere affrontate e risolte, il cardinale Gualtiero Bassetti ha citato «la carenza di un sistema anagrafico che tenga conto di tutti coloro che partono: le prime generazioni e le ultime, chi si è definitivamente stabilito oltre confine e chi, invece, sperimenta percorsi di mobilità transitori; un sistema di rappresentanza che va rimodulato, soprattutto a seguito dell’ultima tornata referendaria che ha decretato la riduzione del numero dei parlamentari; la cittadinanza. L’importanza di un riconoscimento (quest’ultimo) che non sia finalizzato all’uso e al consumo personale, al semplice possesso di un passaporto che apra le porte dell’Europa, ma alla definizione di una identità fortemente legata a un territorio in cui ci si riconosce, sebbene non ci si sia nati, e a cui si vorrebbe poter dare il proprio contributo concreto». Quindi è giunto il monito finale del cardinale: «Fermare la mobilità umana è un’utopia, un’illusione – afferma -. Governarla, guidarla, è invece la chiave di volta per affrontare un fenomeno che altrimenti può creare disagi e malesseri sociali. Chiunque può e deve trarre dall’esperienza migratoria un arricchimento per se stesso, deve poter tornare così come deve potersi sentire realizzato e valorizzato nel luogo in cui vive».
Tornando ai numeri del rapporto, nel 2006 gli italiani regolarmente iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) erano 3.106.251, nel 2020 hanno raggiunto quasi i 5,5 milioni. Le donne sono passate dal 46,2% sul totale degli iscritti nel 2006 al 48,0% del 2020. Una collettività che, rispetto al 2006, si sta ringiovanendo grazie alle nascite all’estero (+150,1%) e alla nuova mobilità costituita sia da nuclei familiari con minori al seguito (+84,3% della classe di età 0-18 anni) sia dai giovani e giovani adulti da inserire nel mercato del lavoro (+78,4% di aumento rispetto al 2006 nella classe 19-40 anni).
Tra l’altro, nel 2019 hanno lasciato l’Italia ufficialmente 131 mila cittadini verso 186 destinazioni del mondo, da ogni provincia italiana. E non si tratta solo di “cervelli” italiani in fuga. La maggior parte di chi si sposta è in possesso di un diploma e va alla ricerca di un lavoro “generico” all’estero. In tutto le nuove iscrizioni all’Aire, nel 2019, sono state 257.812 (di cui il 50,8% per espatrio, il 35,5% per nascita, il 3,6% per acquisizione cittadinanza). Secondo il rapporto, nel 2006 il 68,4% dei residenti ufficiali all’estero aveva solo licenza media o elementare o addirittura nessun titolo, mentre il 31,6% era in possesso di un titolo medio alto (diploma, laurea o dottorato). Dal 2006 al 2018 cambia il trend: nel 2018, infatti, il 29,4% è laureato o dottorato e il 29,5% è diplomato mentre il 41,5% è ancora in possesso di un titolo di studio basso o non ha titolo. Se, però, rispetto al 2006 la percentuale di chi si è spostato all’estero con titolo alto (laurea o dottorato) è cresciuta del +193,3%, per chi lo ha fatto con in tasca un diploma l’aumento è stato di ben 100 punti decimali in più (+292,5%): «Viene così svelato – si legge nel report – un costante errore nella narrazione della mobilità recente, raccontata come quasi esclusivamente composta da altamente qualificati occupati in nicchie di lavoro prestigiose e specialistiche quando, invece, a crescere sempre più è la componente dei diplomati alla ricerca all’estero di lavori generici».
Riguardo ai Paesi di destinazione, negli ultimi 15 anni sono state le Americhe e l’Europa le principali mete della presenza degli italiani all’estero. Anche in Paesi meno consueti, quali Malta (+632,8%), Portogallo (+399,4%), Irlanda (+332,1%), Norvegia (+277,9%) e Finlandia (+206,2%). L’area latino-americana è cresciuta grazie alle acquisizioni di cittadinanza (+123,4% dal 2006) coinvolgendo soprattutto il Brasile (+221,3%), il Cile (+123,1%), l’Argentina (+114,9%). Oltre il 70% (+793.876) delle iscrizioni totali in America dal 2006 ha riguardato l’Argentina (+464.670) e il Brasile (+329.206). L’Europa, invece, negli ultimi quindici anni, è cresciuta grazie alla nuova mobilità (+1.119.432 di presenze, per un totale, a inizio 2020, di quasi 3 milioni di residenti totali). I valori assoluti fanno risaltare i Paesi di vecchia mobilità come la Germania (oltre 252mila nuove iscrizioni, +47,2%), il Regno Unito (quasi 215mila), la Svizzera (più di 174mila, +38%), la Francia (quasi 109mila, +33,4%) e il Belgio (circa 59mila, +27,3%). Per il Regno Unito, invece, e soprattutto per la Spagna, gli aumenti sono stati molto più consistenti, rispettivamente +147,9% e +242,1%.
Le crescite più importanti, dal 2006 al 2020, caratterizzano Paesi europei definiti “nuove frontiere” della mobilità: Malta (+632,8%), Portogallo (+399,4%), Irlanda (+332,1%), Norvegia (+277,9%) e Finlandia (+206,2%). Gli italiani si sono spostati anche a Oriente, soprattutto Emirati Arabi e Cina. Nel rapporto vengono presi in esame 46 contesti provinciali. Così è emerso che l’emigrazione italiana non è solo dal Sud verso il Nord: «Il vero divario – rilevano i curatori del rapporto – è tra città e aree interne. Sono luoghi che si trovano sia al Sud che al Nord, ma che al Sud diventano doppia perdita, verso il settentrione e verso l’estero». Per questo il Rapporto Migrantes chiede di prestare attenzione ai piccoli centri, «a quei pezzi di territorio spesso abbandonati che diventano luoghi dove, invece, è possibile intervenire per ridare loro vita».
Ma anche gli italiani all’estero sono utili alla causa del loro Paese d’origine: «L’Italia – spiega Pasquale Tridico, presidente dell’Istituto nazionale previdenza sociale (Inps) – beneficia oggi delle pensioni pagate dall’estero per un totale di 3,5 miliardi di euro. Invece le pensioni che l’Italia paga verso l’estero sono pari a 466 milioni di euro, un saldo a vantaggio del nostro Paese. Sono numeri che evidenziano la traiettoria della migrazione italiana. Oggi paghiamo pensioni in 160 Paesi, pari a 330 mila posizioni, il 2,4% delle pensioni totali. In maggioranza verso Stati Uniti, Paesi del Sud America, spesso vengono pagate ai superstiti». Tridico ha quindi concluso declinando le difficoltà dei migranti a raggiungere gli anni di contributi necessari legati alla residenza e auspicato di «riuscire ad eliminare le discriminazioni, anche con il contributo della Chiesa».
Nell’intervento seguente monsignor Guerino Di Tora, presidente della Fondazione Migrantes, ha invitato a «camminare accanto agli immigrati e seguire i nostri connazionali fino ad ogni luogo in cui decidono di risiedere». La curatrice del Rapporto Delfina Licata, che ha condotto l’incontro on line, ha spiegato le ragioni per cui hanno scelto di non parlare dell’emergenza sanitaria – “la mancanza di dati certi” – ma di analizzare invece l’emigrazione in 40 province italiane: «La partita si gioca tra aree interne e metropoli al sud e al nord – conclude -. Ma al sud c’è una doppia perdita, perché le persone emigrano verso settentrione e verso l’estero».