Covid-19, Chiesa: “Testimonia che il distanziamento non toglie la relazione”
"La terra - sottolinea Francesco Chiavaroli, ex direttore generale dell'Arta - può essere una casa ospitale per l’uomo, solo se l’uomo s’impegna a custodire ciò che Dio gli ha affidato"
La comunità cristiana, tanto più al tempo della pandemia, è chiamata sempre più ad abitare il suo tempo vivendone le dinamiche sanitarie, socio-ambientali ed economiche ridisegnate dal Covid-19. Per questo, sabato 29 agosto al Convegno pastorale diocesano dal tema “Il banco e la sedia. Per una pastorale che si posiziona sempre nel tempo”, si è tenuta una tavola rotonda che ha visto partecipare il direttore dell’Unità operativa complessa di Malattie infettive presso l’ospedale civile di Pescara, nonché componente della task force della Regione Abruzzo sul Coronavirus, Giustino Parruti; l’ex direttore generale dell’Arta Francesco Chiavaroli e l’area manager di Unicredit Paolo Marchegiano.
I lavori, moderati dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti, sono stati aperti dalla relazione del professor Parruti dal tema “Azione pastorale della Chiesa nella pandemia”: «La situazione del 29 agosto conta 24.250.000 casi – evidenzia l’infettivologo -, che in termini assoluti stanno superando i 100 milioni mentre il numero dei morti tende ad approssimarsi ad un milione. Un numero che, con buona pace di tutti, distanzia infinitamente questa storia dall’influenza. Tra l’altro, come emerge dalla situazione mondiale, l’epidemia è ancora in plateau e non accenna a decrescere a differenza di quello che qualcuno – da un punto vista provincialistico – ha avuto il coraggio di dire nei mesi e nelle settimane passate. Che cosa abbiamo imparato? Innanzitutto abbiamo dato una risposta di un’incredibile nel riorganizzare e rimodulare quello che era la nostra offerta assistenziale nel giro di poche ore. Siamo stati uno dei pochi posti del mondo dove, nell’ambito di un reparto ordinario, è stata creata una rianimazione. Discutevamo due o tre posti disponibili e invece, nel giro di 8 giorni, ne abbiamo occupati 32 esportando anche pochi pazienti fuori regione. Nel cuore dell’emergenza di marzo e aprile abbiamo occupato sei ale di degenza coni malati Covid, disposti secondo un modello d’intensità di cure. Abbiamo messo più vicino alla Rianimazione tutti quelli che, potenzialmente, rischiavano di averne bisogno mentre abbiamo messo più lontani tutti quelli che confidavamo potessero avere un decorso benigno. Siamo riusciti ad avere in 94 giorni un’intera sezione dell’ospedale ristrutturata (l’ospedale Covid), creando nuovi spazi di assistenza per avere tutte le possibilità del distanziamento. Attualmente la capacità d’intercettazione dei nuovi casi che la Regione Abruzzo sta mostrando, è sicuramente sopra la media ed è tra le migliori al mondo. Abbiamo imparato ad usare bene farmaci, che poi hanno cambiato le prospettive di sopravvivenza di tanti nostri malati. Soprattutto, nel giro di pochi giorni, abbiamo imparato quasi miracolosamente, sentendoci su di una grande chat nazionale dove tutti gli esperti si scambiavano quanto appreso fino a quel momento, come andava utilizzato un pilastro fondamentale per bloccare la risposta eccessiva dell’organismo al virus, il Tocilizumab e il cortisone. Abbiamo capito dai primi giorni che c’era un iper attivazione della coagulazione del sangue nei vasi che dovevamo fermare, se non volevamo perdere dei pazienti».
Inoltre, collegata al Covid, è emersa un’ampia casistica di malattia psichiatrica: «Abbiamo bisogno di forza – sottolinea il dottor Parruti – per mantenere una grande prossimità non soltanto con i pazienti Covid, ma anche con quelli no Covid segnati dal lockdown. Come afferma un editoriale della seconda rivista medica americana, è stata la prima volta dalla guerra in cui le libertà individuali sono state considerate assolutamente limitabili pur di fermare l’entità di questo problema». Ma il Covid-19 non si cura solo con i farmaci: «È stato documentato – riporta il primario di Malattie infettive dell’ospedale di Pescara – che l’esito della malattia dipende dal livello di solidarietà di un territorio. Se il sistema sanitario è vissuto come bene supremo, a costo di pagare tutte le tasse che paghiamo ogni volta, se il sistema sanitario è capace di vivere questa solidarietà, se è capace di vivere esperienze di riorganizzazione e di risposta come quelle che abbiamo vissuto, dobbiamo essere molto fieri. Siamo in un mondo globale, se non facciamo il bene di tutti non c’è il bene di nessuno».
Anche la Chiesa ha avuto il suo ruolo nella lotta contro la pandemia: «La Chiesa – conferma il dottor Giustino Parruti – ci ha educato a leggere i tempi più che mai in questa vicenda e sta organizzando molto bene questa fase di post lockdown e deve andare avanti con questa esemplarità di consorzio soprattutto perché, in questa fase di ritorno dalle vacanze, sembra che ci si possa divertire solo strafacendo. Invece, la Chiesa è il punto di più grande testimonianza che il distanziamento non toglie il punto essenziale di cui il cuore dell’uomo ha bisogno, l’unico. Quella relazione umana vera, quella percezione di un infinito presente anche in un momento drammatico – durante il quale una persona ti sta vicino e non ti fa sentire quello che sta succedendo – che è il segno dell’infinito nella vita».
A delineare la questione ambientale connessa al Covid, è stato poi l’ex direttore generale dell’Agenzia regionale di tutela ambientale (Arta): «Dalla contrazione forzata delle attività per il contenimento del Covid-19 – osserva Francesco Chiavaroli – sembrerebbe si sia avuto un miglioramento delle condizioni ambientali. Se ciò fosse vero sarebbe temporaneo, provocando costi sociali altissimi». In realtà la questione ambientale rappresenta un’emergenza: «Non è ancora stato delineato esattamente – illustra l’ex direttore generale dell’Arta – il rapporto che c’è tra tutela dell’ambiente e Covid. Oggi dicono che c’è un’emergenza, io dico che l’emergenza ambientale c’era già prima. Il rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente mostra andamenti positivi solo per le aree terrestri e quelle marine, mentre va male la tutela della fauna, della flora, degli ecosistemi e del suolo. Con le sue 60 mila specie animali e 12 mila vegetali, l’Italia è uno dei Paesi europei che mette più a rischio la sua biodiversità con livelli elevatissimi di endemismo (la presenza esclusiva e caratteristica di determinate specie animali o vegetali in una regione circoscritta), specie esclusive del nostro territorio fortemente a rischio. Quanto allo stato di salute della fauna italiana, tra i vertebrati, sono i pesci d’acqua dolce i più minacciati (il 41% è estinto o quasi), seguiti dagli anfibi (oltre il 36% è estinto) ed è a rischio il 21% dei mammiferi. Sono dati estremamente importanti. Un altro problema è la produzione di rifiuti che non accenna a diminuire. Si parla tanto di recupero dell’economia circolare, ma c’è ancora un grave problema di convinzione personale. Da soli non ci salveremo mai. Nel 2019 la produzione di rifiuti era pari a quella del 2018, mentre lo scenario 2020 – in pandemia – individua un calo in linea con la diminuzione del Pil. C’è un rapporto tra Covid e diminuzione dei rifiuti, in quanto le attività economiche hanno subito una riduzione del 4,7%. In Italia la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili è un dato buono. Abbiamo una produzione di fonti rinnovabili del 18,3% rispetto al consumo finale lordo, un valore superiore all’obiettivo posto dall’Unione europea. Uno dei pochi dati positivi italiani. Nessun risultato positivo sulla qualità dell’aria. A Pescara abbiamo avuto un abbassamento dei dati relativi ai controlli che l’Arta ha fatto nel periodo del lockdown, ma finito quest’ultimo si è tornati come prima».
Da qui la domanda: «Abbiamo intenzione di riprendere come prima? – s’interroga Chiavaroli – Oggi è molto difficile far comprendere che ripartire significa qualcosa, cambiare stile di vita. Il nostro stile di vita ha contribuito sicuramente a far espandere la pandemia. Se riflettiamo sul fatto che i medici attribuiscono l’origine di questo virus dal rapporto che l’uomo ha con gli animali… C’è un’esportazione incredibile di animali da un continente all’altro e, a parte i problemi creati all’ecosistema tradizionale, noi abbiamo sistemi di allevamento di animali davvero inconcepibili con polli e maiali tenuti in maniera incredibile. Tutto quello che succede là dentro provoca la malattia. Poi c’è questa zoonosi, il termine che indica il rapporto con cui il virus salta dal livello animale al livello dell’uomo. Uno dei pochi elementi certi è che questo virus si trasmette dagli animali all’uomo, quindi ripensare in termini complessivi il rapporto tra uomo, natura e ambiente, natura, acqua, suolo e animali è imprescindibile. Quando le istituzioni, le strutture pubbliche e il rapporto di ogni singolo cittadino consentirà di avere una tipologia di vita, un modus di pensiero trasversale e pluriscientifico, io credo che la condizione dell’ambiente e dell’uomo migliorerà. Dobbiamo provare ad avere questa visione complessiva, altrimenti anche l’enciclica di Papa Francesco Laudato si’ sarebbe inattuata. Bisogna non solo leggerla, ma attuarla e, da questo punto di vista, l’impegno di ogni singola persona e di ogni singolo cittadino è assolutamente determinante».
Dunque, occorrerà modificare lo stile di vita e, per farlo, l’attivista ha suggerito delle azioni: «Proteggere e conservare la natura e la biodiversità – propone l’ex direttore generale dell’Arta -, visto anche il consumo smodato di mascherine, soprattutto dai materiali plastici; investire in servizi essenziali, dall’acqua alla sanità, passando per l’energia pulita; assicurare una rapida transizione verso fonti energetiche alternative; promuovere sistemi alimentari sani ed eco-sostenibili, con l’acquisto di prodotti di qualità trattati con meno fitofarmaci; cessare l’utilizzo di fondi pubblici per incentivare pratiche e consumi che aumentano l’inquinamento. La terra può essere una casa ospitale per l’uomo, solo se l’uomo s’impegna a custodire ciò che Dio gli ha affidato».
L’economia, dopo un 2019 difficile tra conflitti bellici, la crisi commerciale tra Usa e Cina e la Brexit, a inizio anno si era appena risollevata quando è arrivato il Covid-19 a farla risprofondare ovunque: «La pandemia – approfondisce Paolo Marchegiano, area manager del Gruppo Unicredit – agisce su tre fattori, a partire dalla mortalità. Le centinaia di migliaia di morti erano persone, consumatori, imprenditori, attori di un ciclo economico che non ci sono più e l’economia ne risente. Poi c’è la malattia che porta all’ospedalizzazione di altre persone che, si spera temporaneamente, escono dal ciclo produttivo. E poi c’è il fattore più destabilizzante di tutti, il cambio di comportamento di tutti noi. Durante il lockdown non si è viaggiato più, ora si viaggia meno, i consumi si sono ridotti al minimo e il commercio ne ha risentito. L’intrattenimento e il turismo bruscamente si sono interrotti. Tutto ciò ha generato gli effetti più dirompenti e drammatici per l’economia. Ad esempio, nell’ultimo semestre la Cina ha fatto registrare un decremento del Prodotto interno lordo (Pil) di oltre il 6%. Negli Usa le cose vanno ancora peggio, perché nell’ultimo semestre il Pil è diminuito del 31%. In Europa la Francia ha riportato un calo del Pil del 13,8%, la Germania del 10%. Mentre in Italia il primo trimestre aveva fatto registrare un calo del 5,3%, che nel trimestre appena concluso è sceso al 12%. In concreto ciò ha voluto dire la perdita di 752 mila posti di lavoro. Durante il lockdown il 45% delle piccole e medie imprese ha interrotto l’attività. Pensate che la produzione industriale, nell’ultimo semestre, è crollata del 28%. E poi i consumi delle famiglie si sono ridotti del 17% per l’acquisto dei beni e del 9% per l’acquisto di servizi. Le famiglie sono andate in difficoltà ma lo Stato ha realizzato un’ottima sinergia con il sistema bancario, mettendo la liquidità che è andata a sostenere imprese e famiglie. Queste ultime hanno beneficiato anche della sospensione dei mutui e dei prestiti in essere».
Ma la vera svolta, a detta del manager, arriverà dall’Unione europea grazie alla recente approvazione del Recovery fund: «La Commissione europea – illustra Marchegiano -, dopo 96 ore di camera di consiglio (la più lunga della storia dell’Unione europea), ha stabilito che l’Unione europea si può indebitare e sostenere i Paesi membri. È un evento epocale. L’Italia si è indebitata attraverso l’emissione di titoli di Stato, poi c’è un’autorizzazione che viene dall’Unione europea. Però questa volta l’Unione europea, per la prima volta, ha deciso di indebitarsi come unico organismo. Questo si concretizza nel mettere a disposizione di tutti gli Stati membri 1.824 miliardi di euro, ricorrendo ad un principio che si chiama “mutualizzazione del debito”. Il debito lo contrae l’Unione europea, però ogni Stato è garante di tutto il debito. Di questi soldi, una parte verrà erogata a fondo perduto e l’altra andrà restituita con interessi prossimi allo zero. In Europa ci sono dei Paesi che sono contributori netti (danno più di quello che ricevono) e tra questi c’è anche l’Italia che beneficerà del contributo più alto, 209 miliardi di cui 82 a fondo perduto. Quest’accordo dovrà essere recepito da tutti i parlamenti dei Paesi membri e quindi non diverrà operativo prima della primavera 2021, con gli effetti economici che si vedranno solo l’anno dopo. Ma è comunque un grande passo avanti, che darà liquidità alle imprese, sostegno alle famiglie le banche dovranno fare la loro parte. Credo che sulla Commissione abbia davvero agito lo Spirito Santo. D’altra parte, in questo periodo, soprattutto in economia c’è bisogno di spiritualità e per fare bene, bisogna prima fare del bene».