“Nessuna Chiesa può salvarsi da sola, abbiamo bisogno di comunione”
"Il cammino ecumenico è complicato – denota il pastore valdese Luca Anziani –. Guardando alle nostre spalle vediamo risultati importanti, guardando avanti vediamo sfide ancora più importanti. È un cammino lungo, non si risolve solo nelle questioni sociali e l’amore non basta. Ha bisogno della sostanza della Bibbia, ha bisogno della fede. È un cammino che deve confrontarsi prima di tutto con Dio e oggi si confronta con la croce di Cristo che giudica la Chiesa e, insieme, la salva"
È stato il pastore valdese Luca Anziani lunedì sera, presso la chiesa dello Spirito Santo a Pescara, a pronunciare l’omelia della veglia ecumenica presieduta dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti, nel secondo giorno della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani dal tema “Ci trattarono con gentilezza” (Atti 28,2), che racconta il naufragio dell’apostolo Paolo avvenuto durante il suo viaggio da Creta verso Roma.
Un episodio biblico commentato anche dal pastore valdese, che ha compiuto un paragone esistenziale: «E cosa c’è di più pericoloso – esordisce -, nella nostra vita personale e nella nostra vita di Chiesa, se non naufragare. Naufragare nei nostri sentimenti, nei nostri rapporti. Naufragare nelle nostre convinzioni, nelle nostre scelte. Insomma, perdersi in una non consapevolezza. Cosa c’è di più pericoloso nella vita, e nella vita di fede, di non rendersi conto del pericolo che si sta correndo? Prima di partire da Creta, Paolo aveva avvisato i marinai “Non partiamo, perché siamo in autunno inoltrato ed è pericoloso”. La non consapevolezza del pericolo, del rischio. Questa non consapevolezza è più pericolosa del pericolo stesso che sta per raggiungerci».
Da questa riflessione, il pastore Anziani ha tratto un primo monito: «Se non siamo capaci di vedere i rischi, di vedere i pericoli per la per la Chiesa e per il mondo intero, allora siamo degli sprovveduti che hanno perso la speranza e la fiducia, non sapendo più condurre la nave in mare. Siamo dei naufraghi che non si rendono conto delle condizioni del mare e della propria imbarcazione. Siamo convinti di stare ancora dentro una nave solida e in un mare tranquillo. Siamo dei naufraghi convinti che la nave sia ancora in ottime condizioni, mentre invece sta imbarcando acqua in abbondanza, convinti che il mare sia propizio e calmo, che il cielo sia sereno e non ci accorgiamo delle onde altre metri e del cielo scuro, pieno di tempesta. Siamo naufraghi a nostra insaputa, che non sanno chiedere aiuto, che credono di procedere ancora speditamente verso la propria destinazione con serenità. O addirittura che preferirebbero rimanere con la nave in porto. Invece la nave rischia di affondare, s’incaglia, il rischio della vita è alto. Prima o poi apriremo gli occhi e attrezzeremo la nave per affrontare il mare in tempesta».
E il pastore valdese Luca Anziani ha paragonato proprio la Chiesa ad una nave in tempesta: «Condotta troppe volte – spiega – da marinai convinti che la tempesta non ci sia. Il racconto che fa Luca nel libro degli Atti degli apostoli, ci rivela un enorme simbolismo che aiuta la comprensione odierna della Chiesa e del nostro navigare insieme, che è il cammino ecumenico. Siamo tutti sulla stessa barca, ma essa non sta bene. La nave è in mare e affronta pericoli, ma chiunque naviga sa bene che i marinai devono essere concordi nel condurla. Troppe volte questa nave è condotta da marinai che non sono concordi. La Chiesa non può esimersi dall’affrontare, oggi, il mare enorme della nostra società, la Chiesa non può fare finta di essere maggioranza. Non c’è più una maggioranza o una minoranza, siamo una Chiesa nel mare. La Chiesa non può più pensare che le proprie tradizioni secolari siano ancora declinabili come nei secoli passati, non può più pensare di dare sempre le medesime risposte alle domande degli uomini e delle donne di oggi. Domande di spiritualità in un tempo di alte onde, in un tempo che sembra essere sempre più confuso. Inoltre abbiamo bisogno di comunione, che è qualcosa di più complicato dell’unione. Essere in comunione significa saper accogliere le differenze gli uni degli altri, arricchendosene a vicenda. Essere uno non è essere identici, ma essere in comunione. Abbiamo bisogno di unità nell’umiltà e di confronto gli uni con gli altri nelle famiglie cristiane, ma anche con le tante con le tante altre fedi e religioni che vivono il nostro Paese di oggi. Altrimenti la tempesta sarà insopportabile per tutti e potremmo naufragare».
A questo punto Anziani è tornato a riesaminare l’episodio del naufragio di Paolo: «Lui – osserva il pastore valdese -, gli altri carcerati su quella nave, i marinai e l’ufficiale romano sono tutti nelle stesse condizioni nonostante le tante, varie e serie differenze (uomini liberi, in carcere, marinai, ufficiali romani). Sono diversi gli uni dagli altri, differenze che li contraddistinguono e nessuno si potrà salvare da solo. Questa grandissima nave romana, con 200 persone a bordo, aveva una grande scialuppa e, ad un certo punto, i marinai vogliono calarsi giù dalla nave attraverso di essa. Paolo avvisa l’ufficiale romano che taglia le corde di quella scialuppa, per evitare che i marinai abbandonino la nave. Nessuno si salva da solo, nessuna Chiesa di Gesù Cristo può navigare in questo tempo e in questo mare da sola. Nessuna Chiesa, nessuna confessione, può salvarsi da sola in un mare in tempesta. Nessuno può pensare di avere la risposta, la salvezza al dilagare del naufragio. Nessuno può affrontare da solo le grandi sfide, le questioni che Dio pone agli uomini e alle donne del nostro tempo. E una di queste è “Che speranza abbiamo?”. Nonostante il naufragio, Paolo continua a sperare e dice “Perderemo il carico, ma nessuno si perderà, nessuno perderà la sua vita. Possiamo perdere le merci, ma salviamo le vite”. Nonostante i naufragi della vita, possiamo continuare a sperare. Rimaniamo saldi nella fiducia del domani, ma ad un tratto anche tra di noi si fa strada la domanda per eccellenza “Fino a quando saremo in grado di sperare? Fino a quando dovremo sopportare il naufragio?”. Il credente lo chiede esplicitamente a Dio in un salmo “Fino a quando Signore, fino a quando mi nasconderai il tuo volto? Fino a quando sarò costretto alla sofferenza e a vivere come nella tua assenza?”. Eppure il credente sa che la speranza non verrà mai meno. Non c’è nulla da temere, nulla di cui avere paura. L’apostolo e i suoi naufragano, cadono in mare però trovano un porto aperto, trovano un porto sicuro. Vengono accolti sull’isola di Malta con rara umanità».
Del resto, Malta e Lampedusa sono le isole dei naufragi: «Dov’è facile vedere morire la speranza – avverte il pastore valdese, parlando d’immigrazione – e dove s’infrange il senso stesso della Chiesa di Gesù Cristo. Un giorno ci verrà chiesto “Mentre naufragavano dov’eri?” Se la Chiesa tutta non saprà definitivamente intervenire, come con i corridoi umanitari, saremo assimilabili a dei sepolcri imbiancati, chiusi nelle nostre Chiese, nei porti sicuri per noi senza avere il coraggio di andare oltre la boa, oltre quella linea di sicurezza. Cari fratelli e care sorelle, dobbiamo mettere la barca nel mare agitato, nel mare del tempo d’autunno inoltrato. Dobbiamo far scendere l’imbarcazione della Chiesa in quei mari che nessuno vorrebbe mai navigare, i mari della Parola di Dio. Abbiamo per questo bisogno di comunione e mettere insieme questa flotta di riconciliazione, di essere in comunione gli uni con gli altri, di essere pronti – nella speranza – a reggere il peso di una fede che deve lasciarci inquieti. Deve lasciare il luogo quieto della nostra vita, quella zona di conforto nella quale vogliamo rimanere al sicuro per cercare Cristo nei tanti che ci interrogano sul perché “non ci avete accolto con rara umanità”».
Quindi le conclusioni del pastore valdese: «Il cammino ecumenico è complicato – denota Luca Anziani –. Guardando alle nostre spalle vediamo risultati importanti, guardando avanti vediamo sfide ancora più importanti. È un cammino lungo, non si risolve solo nelle questioni sociali e l’amore non basta. Ha bisogno della sostanza della Bibbia, ha bisogno della fede. È un cammino che deve confrontarsi prima di tutto con Dio e oggi si confronta con la croce di Cristo che giudica la Chiesa e, insieme, la salva. E dice “Chiesa di Gesù Cristo oggi a Pescara, Chiesa, tanti solo coloro che naufragano tra le tue acque e sulle tue coste, quelli sono i crocifissi di oggi. Non pensare che io non veda o non senta il loro dolore, quindi accogli, proteggi e condanna chi non vuole accogliere. Io sarò il naufrago con loro”».
Il prossimo appuntamento con la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani sarà il vespro ortodosso che si terrà domani, giovedì 23 gennaio alle 18.30, presso la parrocchia ortodossa rumena dei Santi Simeone il giusto e Anna profetessa, in via Caduti per servizio a Pescara.