“Dialogo è il nuovo nome della pace”
MARIANGELA FALÀ, esperta di buddismo: "Se si lavora sulle quattro virtù, amorevolezza, compassione, gioia altruistica ed equanimità, i buoni domano se stessi e a quel punto non c’è più guerra, non c’è più conflitto, non c’è più vittoria, ma ci sarà un’umanità che potrà trovare quella parte migliore che, nonostante tutto quello che accade, esiste". MUSTAPHA BATZAMI, Imam di Teramo: "La mia preghiera è quella di poter effondere questa cultura del dialogo e di poter lavorare insieme con chiunque abbia a cuore la creazione di una società coesa, dove tutti si sentano accolti e dove tutti si sentano liberi di professare la loro fede, come garantito dalla Costituzione. Una società dove gli uomini e le donne si sentano veramente dei fratelli". MONS. TOMMASO VALENTINETTI, arcivescovo di Pescara-Penne: "Il dialogo non è facile e deve partire da noi, dal basso, ma ha bisogno di slanci di lavoro comune altrimenti ci areniamo e non usciamo da stereotipi che poi ci mettono in grande difficoltà gli uni con gli altri"

«Il dialogo è il nuovo nome della pace. Vogliamo promuovere la pace? Allora dobbiamo dialogare sulla terra». Lo ha affermato don Achille Villanucci, direttore dell’Ufficio per il dialogo interreligioso dell’arcidiocesi di Pescara-Penne, che lo scorso mercoledì 4 dicembre ha dato vita all’incontro dal tema “Religioni per la Pace”, il quale si è svolto nella sala convegni della Fondazione Pescarabruzzo del capoluogo adriatico: «Qualcuno pensa – premette il presbitero – che le religioni siano divisive, che possano creare problemi. Nel passato è anche successo, ma vedremo che non è accaduto perché le religioni manchino di bei valori che ci aiutino a promuovere la pace, a curare bene la tutela dell’ambiente di cui si parla tanto. Qualunque esponente di qualunque religione vi dirà che l’ambiente va tutelato e che la cura è un valore intrinseco. Si parla della fame nel mondo, da parte delle religioni il senso di giustizia sociale lo troveremo abbondantemente. Gli uomini di tutte le fedi possono perciò insieme tendere a promuovere un mondo migliore. Questo non significa che non ci siano differenze dottrinali, però il percorso umano si può e si deve fare insieme, cristiani, musulmani, buddisti e non credenti. Quando miriamo a dei bei valori, vediamo che sono condivisi. Invece quando avviene la strumentalizzazione della religione, allora i pasticci arrivano dagli uomini religiosi o pseudoreligiosi. Nel momento in cui la religione dev’essere un collante per contrapporsi ad altri, è evidente che ci saranno dei problemi».
A confrontarsi su questo tema è stata per prima la professoressa Mariangela Falà, esperta di buddismo e già docente dell’Università La Sapienza di Roma, seguita dall’Imam di Teramo e delegato al dialogo interreligioso dell’Unione comunità islamiche italiane (Ucoi) Mustapha Batzami.
Il primo punto di vista ad essere espresso è stato quello della religione buddista: «La fede – esordisce la professoressa Falà – porta a riconoscerci nel comune cammino della fede che ci unisce, come ha affermato il Concilio Vaticano II, alla ricerca di quell’assoluto che ognuno segue, sente, percepisce e nel quale ha fede. Ecco perché ho cercato di lavorare sull’idea che la pace è una ricerca continua, un cammino continuo. Non si arriva alla pace, ma si continua ad andare perché la pace è una realtà dinamica verso cui tendiamo e che, spesso, sembra porsi sempre più in là perché nuove forme di contrasto, di violenza e difficoltà nascono continuamente. Pensiamo a quanto accade in tutto il mondo, c’è chi parla di una terza guerra mondiale senza che sia stata dichiarata. In questo momento ci sono guerre in tanti luoghi nel mondo che toccano persone, bambini. Ci sono situazioni drammatiche di cui sappiamo, ma che in qualche modo cerchiamo di nascondere ai nostri stessi occhi. La pace è una ricerca, è un divenire, un cercare di rompere un meccanismo di conflitto e di violenza».
La riflessione dell’esperta di buddismo è quindi entrata nel vivo, prendendo spunto dall’anniversario dei 150 anni dalla nascita del Mahatma Gandhi: «Che – ricorda Mariangela Falà – ha cercato di promuovere la pace con la lotta della non violenza. Infatti la parola centrale non è la pace, ma la non violenza che significa non nuocere. Pace è innocenza, cioè non nuocere, portare all’innocenza. Questo è il cammino di ricerca che il buddismo ha cercato di offrire come spunto. Uno spunto dottrinale. Ci sono tante scuole nel buddismo, ma tutte si riconoscono e toccano il tema della pace e della riconciliazione. È chiaro che nelle terre buddiste non c’è la pace, ci sono situazioni molto drammatiche. Guerre in Sri Lanka, situazioni drammatiche in Birmania, situazioni distruttive in Cambogia. Non possiamo dire che le terre buddiste siano terre di pace, ma il buddismo è una religione di innocenza, di non violenza. Poi, come diceva don Achille, gli uomini con il loro agire fanno diventare una religione di pace uno strumento che allontana dalla pace. Ma quello che dobbiamo fare nostro è la bontà di questo strumento ed essere capaci di utilizzarlo non per separare, ma per unire come l’ago del sarto. Questa è la definizione che viene data di Budda in un antico testo “Egli riconcilia chi è in conflitto e incoraggia chi è già in armonia. Egli gioisce in pace, ama la pace, si delizia nella pace e parla in lode della pace. È abbandonato all’uccidere, il monaco Gautama (l’ultimo di sei Budda nella tradizione buddista) vive trattenendosi dall’uccidere, è privo di bastone e di spada, vive nella premura nella compassione e la partecipa agli altri”. La premura, la compassione, non è egoistica ma partecipativa con gli altri. L’uomo, il monaco Gautama (Budda), non ha bastone né spada, perché non ha paura neanche di confrontarsi con la violenza».
Quindi l’esperta si è chiesta da dove nasca, secondo la tradizione buddista, la violenza ovvero la dinamica di ciò che è contrario alla pace: «La dinamica della violenza – osserva -, secondo la tradizione buddista, è insita nella nostra grande confusione che ci porta a sviluppare il desiderio e l’avidità nei confronti di ciò che per noi è importante, positivo e interessante, nonché il rifiuto di tutto ciò che non lo è. Prendo ciò che mi piace e rifiuto ciò che non mi piace, pensando che questo meccanismo funzioni. In realtà non fa che dare continuamente origine a movimenti di contrasto, di lotta, di confusione e di violenza. Questo porta a vivere lo stato di difficoltà in cui le varie società si sono sempre trovate a dover coesistere».
Un modo di comportarci comune che la tradizione buddista rappresenta un gallo, un serpente e un maiale: «Il gallo rappresenta il sentirsi importante, l’avidità, il considerarsi il centro di tutto, mentre il serpente rappresenta l’avversione (tutto ciò che non piace e dev’essere cacciato). Il maiale, infine, rappresenta l’ignoranza, la non conoscenza, il non riuscire a capire che gallo e serpente (i meccanismi che rappresentano) non funzionano. Ognuno prende la coda dell’altro e girano continuamente. Da qui la necessità di sviluppare la conoscenza o, come dice la tradizione buddista, vedere le cose così come sono e sviluppare le parti migliori, eticamente parlando, che stanno dentro di noi».
Un altro atteggiamento fondamentale da incarnare per respingere la violenza, secondo la fede buddista, è quello della compassione: «È fondamentale – sottolinea la Falà – per ogni uomo che cerca di trovare la pace. Il Budda dice “Quando è brandito il bastone della violenza, si genera paura e pericolo”. La tradizione buddista dice che “Siamo noi a fare il male, siamo noi a diventare impuri, siamo noi ad evitare il male, siamo noi ad essere puri. La purezza è nelle nostre mani, nessun altro è responsabile”. Questo è un punto centrale in tutte le confessioni religiose, vale a dire la responsabilità di ciò che noi facciamo e siamo. Siamo noi ad essere capaci di evitare il male. Siamo noi, come diceva il Budda, come dei pesci in uno stagno che si sbranano l’uno con l’altro. E quindi noi siamo capaci di fare il male, ma siamo capaci anche di evitare il male. La purezza è nelle nostre mani, noi siamo responsabili dei nostri atti. E se la nostra mente è pacificata, i nostri atti di conseguenza lo saranno. Quindi noi possiamo essere capaci di trasformarci e di diventare uomini e donne migliori».
Infatti la tradizione buddista parla di dover sviluppare quattro qualità già in possesso degli uomini e delle donne, ovvero l’amorevolezza, la compassione, la gioia altruistica e l’equanimità: «Sono qualità superiori – riconosce Mariangela Falà -, le qualità migliori che ognuno di noi può andare a sviluppare e significano aprire un mondo, aprire il nostro cuore perché liberi dalle tre radici dell’avidità, dell’odio e dell’illusione. La prima qualità da sviluppare è dunque l’amorevolezza, l’amore, tradotta anche come benevolenza e spinta verso gli altri. È come l’amore di una madre nei confronti del figlio. È la mancanza di avversione, è un cuore ampio, è uno spazio di serenità. È un calmare la mente e porre l’attenzione a come ci si pone nel momento in cui faccio una cosa. L’importante è chiedersi “Come faccio quella cosa?”. Come mi metto in relazione con l’altro? Bisogna chiedersi “come”, non solo “perché”. La seconda qualità è la compassione, ovvero la constatazione della nostra difficoltà di fondo, che dobbiamo cercare di sviluppare nei confronti di tutti. Significa astenersi dal disprezzo, dalla freddezza, dall’esclusione, dalla rottura, dall’allontanamento, dalla crudeltà. La compassione è una qualità attiva in diminuire, che cerca di superare qualsiasi difficoltà e che, in qualche modo, è capace non di pietismo, ma al contrario di essere attiva. Vale a dire essere in ascolto di se stessi e degli altri. Io ho compassione dell’altro, perché riesco ad entrare nella difficoltà dell’altro. Un’altra qualità da sviluppare è quella molto difficile di sperimentare e mettersi in relazione con la gioia ed il benessere degli altri. Il fatto di essere capaci di gioire quando l’altro gioisce, senza gelosie, cinismi, scontrosità e umiliazioni. L’ultima qualità è l’equanimità ed è fondamentale, essendo un sostegno alle altre qualità, perché ci fa uscire dall’illusione, dall’egoismo. Se si è equanimi la compassione non diventa un buonismo stucchevole. Quando un amico sbaglia, gli si può dire che ha sbagliato. Questa è la compassione equanime. Quando una cosa non va la compassione è quella che dice “non va”, ma lo dice con equanimità affinché la cosa non degeneri nel buonismo, nel pietismo o nella gioia superficiale. Significa avere una particolare attenzione a ciò che siamo e a come facciamo le cose».
Da tutto questo, in base alla tradizione buddista, si possono trarre quelli che sono i valori fondamentale da incarnare e trasmettere: «La vittoria porta all’odio – afferma l’esperta di buddismo -, perché gli sconfitti soffrono. Chi vive in pace vive lieto, al di là di vittoria e sconfitta. L’odio non può sconfiggere l’odio, solo l’essere pronti all’amore può farlo. Questa è la legge eterna, non solo fare del bene, ma essere pronti all’amore. Questo è fondamentale, essere vigili e pronti all’amore. È possibile governare insieme, senza che ci siano un vincitore e un vinto. Si possono conquistare milioni di uomini nelle battaglie, ma chi conquista se stesso è il più grande dei conquistatori. I buoni lavorano profondamente su se stessi attraverso una purificazione, che nella tradizione buddista è l’etica, la contemplazione, la comprensione profonda, il far sì che i nostri comportamenti si basino su di una comprensione profonda della realtà della cose. Che questa comprensione sia alla base di un lavoro su noi stessi, attraverso la meditazione, la contemplazione, la comprensione dei meccanismi che ci portano a rendere più difficile la nostra vita. Se si lavora sulle quattro virtù indicate, amorevolezza, compassione, gioia altruistica ed equanimità, i buoni domano se stessi e a quel punto non c’è più guerra, non c’è più conflitto, non c’è più vittoria, ma ci sarà un’umanità che potrà trovare quella parte migliore che, nonostante tutto quello che accade, esiste e nella quale penso che crediamo tutti».
L’imam di Teramo Mustapha Batzami ha invece introdotto il suo intervento, compiendo un’analisi sul contesto sociale, economico e spirituale che viviamo attualmente: «In un mondo sopraffatto dal materialismo e dalla corsa al guadagno facile, dall’attaccamento esagerato a tante cose che stanno mettendo in serio rischio la vita dell’uomo stesso, lo sviluppo incontrollato che minaccia la natura e l’ambiente, il ridicolo desiderio dell’uomo di sostituirsi a Dio e fare a meno di lui e la corsa a chi produrrà l’arma più distruttiva e letale. Tutto questo, sommato ad altri fattori, è il risultato di un allontanamento dell’uomo da Dio e dalla retta via, quella che il Signore indicava ogni volta che inviava un messaggero o un profeta, con la missione di rimettere gli uomini sulla giusta carreggiata. Appesantisce ancora di più questa drammatica situazione la perdita di valori vitali dell’uomo, il vuoto spirituale che affligge molti, specialmente quelli che sono nei posti di comando. Se poi a tutto questo si aggiunge il fanatismo, il fondamentalismo di qualsiasi matrice, appare chiaro che abbiamo il bisogno vitale di una pace globale. Senza pace siamo spacciati, senza pace l’umanità va verso la sua rovina».
A questo punto l’imam si è chiesto come poter realizzare questa pace e salvare il salvabile: «Ed ecco – si risponde l’imam di Teramo – che sono chiamati in causa coloro che ancora credono nel bene, quelli che ancora credono in Dio altissimo, fonte di ogni vita e di ogni bene. Donne e uomini di fede pieni di vita, di speranza, ottimisti, che vedano sempre il bicchiere mezzo pieno, il lato positivo della vita, e capiscano che questa vita terrena è un passaggio, è una sosta temporanea tra la nascita e la morte e che morire, lasciando un’eredità costruttiva, è sempre meglio della distruzione e delle rovine che si lasciano quando si fanno le guerre. Costruire la pace, vuol dire avere a cuore le sorti dell’intera umanità, avere a cuore la continuità della specie umana, ma questo richiede un vero e durevole impegno di tutti. Quello che, nel nostro piccolo, possiamo fare ogni volta che ci incontriamo dialogando, conoscendoci a vicenda e collaborando per il bene comune, adoperandoci per essere dei veri costruttori di pace. Un cammino che potremmo raggiungere solo intraprendendo insieme un percorso sulla via del dialogo».

Un esempio, da questo punto di vista, è il documento sulla fratellanza universale, firmato l’anno scorso dal Papa e dal Grande Imam ad Abu Dhabi: «Il quale – approfondisce Batzami – ci ricorda che il dialogo, la comprensione, la diffusione della cultura della tolleranza, dell’accettazione dell’altro e la convivenza degli esseri umani, contribuirebbero notevolmente a ridurre molti problemi sociali, politici, economici ed ambientali che assediano gran parte del genere umano. E aggiunge il documento “Il dialogo tra credenti significa incontrarsi nell’enorme spazio dei valori spirituali, umani e sociali comuni e investire ciò nella diffusione delle più alte virtù morali, sollecitati dalle religioni”. Significa anche evitare le inutili discussioni. Partendo dalle nostre rispettive fedi e dagli insegnamenti che ognuno impartisce, scopriremo che Dio non ha mai messo un popolo contro l’altro, Dio non ha mai invitato gli uomini ad odiarsi e a coltivare inimicizia. Anzi nel Sacro Corano, al versetto 208 del capitolo 2, Dio ci dice “O voi che credete, entrate tutti nella pace, non seguite le tracce di satana. In verità egli è il vostro dichiarato nemico”. L’intento del Corano, di Dio, è quello di farci conoscere i nostri simili, di tessere rapporti ricordandoci del nostro essere figli di Adamo ed Eva. Dice infatti il Corano, al versetto 13 del capitolo 49, “O uomini, vi abbiamo creato da un maschio e da una femmina e abbiamo fatto di voi popoli e tribù, affinché possiate conoscervi a vicenda”. L’essere stati creati da una sola coppia, fa degli uomini e delle donne dei fratelli e delle sorelle. Ma purtroppo, nel corso dei secoli, abbiamo smarrito il senso di questa verità. A mio avviso la responsabilità di ciò, come ho già detto, sarebbe da attribuire all’allontanamento dal vero senso della fede in Dio. La fede, come spiegava continuamente il nostro profeta amatissimo Mohammed (Maometto), non è un sentimento muto, ma è ciò che si sente nel cuore e si rispecchia sui comportamenti. Spesso i nostri comportamenti sono il diretto indicatore dello stato della nostra fede. Perfino un semplice gesto, come togliere da in mezzo alla strada ciò che reca fastidio ai passanti, è considerato facente parte della fede. L’amatissimo profeta dice ancora “Per Dio non ha fede, per Dio non ha fede, per Dio non ha fede”. Gli chiesero “Chi è costui che non ha fede?”. Il profeta rispose “Chi va a dormire la sera sazio, pur sapendo che il suo vicino di casa non ha nulla da mangiare”. Non può pretendere di essere un vero credente costui. In un’altra occasione il profeta disse “Colui che crede veramente in Dio e nell’ultimo giorno, non faccia alcun male al suo vicino. Colui che crede in Dio e nell’ultimo giorno, tratti il suo ospite con riguardo. Colui che crede in Dio e nell’ultimo giorno, dica esclusivamente il bene o taccia”. Questi sono i comportamenti di colui che pensa di avere una fede, di chi pensa di credere veramente in Dio, e dovranno rispecchiarsi nella sua vita».
Partendo da questo presupposto il delegato al dialogo interreligioso dell’Ucoi ha rivolto un monito: «Non ha alcun senso credere in Dio-pace e poi fare le guerre, non ha senso credere in Dio fonte della vita e uccidere, non ha senso credere in Dio amorevole, misericordioso e generoso e poi diffondere odio, intolleranza, menefreghismo e convinzioni di ogni genere. La fede in Dio, che è fonte di ogni bene, deve portarci a gareggiare per compiere il bene, ad evitare che si faccia del male, che si facciano cose riprovevoli. Dice ancora il profeta Mohammed “Non entrerete nel paradiso finché non avrete fede e non avrete fede finché non vi amerete gli uni gli altri. Volete che vi spieghi una cosa, che quando la farete vi amerete gli uni gli altri? (Tutti hanno risposto sì) Diffondete tra di voi la pace per poter accedere al paradiso”. Sono convinto che la nostra salvezza sia il ritorno alla fede in Dio, lontano da ogni forma di integralismo, di uso improprio del nome di Dio o della religione stessa a fini fuorvianti. Se riscoprissimo la dolcezza della fede, raggiungeremmo la felicità terrena e potremmo vivere come farebbero fratelli e sorelle, che poi è quello che siamo realmente».
Un auspicio, quest’ultimo, che richiede e richiederà una grande testimonianza per potersi realizzare: «Oggi, vista la situazione non piacevole in cui sta versando il nostro mondo – osserva Mustapha Batzami -, per ricordare all’umanità che siamo fratelli e sorelle e che dovremmo essere uniti nella fede in Dio clemente e misericordioso, ci volevano due uomini di fede. Due uomini saggi che si sono incontrati, richiamando la coscienza malandata degli uomini che pensano solo al profitto materiale, i quali sono diventati incuranti perfino della loro casa provvisoria della terra. Si tratta del Santo Papa e del Grande Imam di al-Azhar che, firmando il documento di Abu Dhabi sulla fratellanza umana, hanno richiamato la nostra attenzione sui diversi aspetti della fede in Dio e su cosa ci si aspetta dal nostro essere credenti. I due grandi uomini hanno dichiarato “In nome di Dio i musulmani d’Oriente e d’Occidente insieme ai cattolici d’Oriente e d’Occidente, dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via, la collaborazione comune come condotta, la conoscenza reciproca come metodo e criterio”. Un bell’invito del Santo Papa e del Grande Imam a realizzare un dialogo maggiore, a collaborare e a conoscersi vicendevolmente. Gli appelli del Papa e del Grande Imam sono stati rivolti ai credenti, e ovviamente anche ai non credenti, che possono farne tesoro. Il dialogo, in effetti, porta ottimi frutti a tutti gli esseri viventi del nostro pianeta. Degli insegnamenti e della fede possano giovare anche coloro che credono di non avere fede. Il Corano, per esempio, dice “Non sono certo uguali la cattiva e la buona azione. Respingiamo quella cattiva con qualcosa che sia migliore, cosicché colui dal quale ti divideva l’inimicizia, diventerà un tuo amico affettuoso” ».
Al termine della sua relazione, l’Imam di Teramo ha anche raccontato la sua esperienza nel nostro Paese: «Come musulmano vivo in Italia da 30 anni – racconta – e da oltre 25 anni sono impegnato nel dialogo interreligioso, forte anche di un’esperienza molto profonda e ricca con i fratelli e le sorelle del Movimento dei focolari, che considero dei veri maestri del dialogo ispirati dalla fondatrice Chiara Lubich, universalmente riconosciuta come dono del dialogo e dell’unità. Abbiamo lavorato insieme, a livello locale e nazionale, per portare il nostro contributo alla costruzione di ponti che uniscono, a lavorare sui temi d’interesse come quello della famiglia e della diffusione della cultura del dialogo, che vede nell’altro una possibilità di arricchimento, anche interiore, di rafforzamento della propria fede. Ora che ho anche un incarico di delegato al dialogo interreligioso a livello nazionale, spero e prego il Signore affinché mi aiuti ad estendere la cultura del dialogo alla nostra comunità, laddove esiste ancora diffidenza e paura nell’aprirsi al prossimo, anche perché nella nostra religione i versetti e i detti del profeta, i testi che invitano al dialogo sono innumerevoli e non lasciano spazio ad errate e fuorvianti interpretazioni. Quest’esperienza, che va avanti da diversi anni, ha permesso di conoscerci meglio, ha permesso di valorizzare quella che è la fede di ognuno e ogni volta che ci incontriamo, anche nell’intervento dell’esperta di buddismo, troviamo cose condivisibili e le troviamo anche noi nella nostra cultura, nei nostri testi, magari dette con altre parole anche se il concetto è lo stesso. È il caso della regola d’oro “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. Abbiamo trovato tantissime sintonie tra le nostre fedi, i nostri credi. Io personalmente non ho fatto fatica a sintonizzarmi all’interno di questo momento, per lavorare insieme e cercare di dare il meglio alla società la quale attende uomini che vadano controcorrente, che vedano positivo, che credono nell’unità dei popoli, che Dio veramente esiste e non ha mai messo gli uomini gli uni contro gli altri. Per i cristiani siamo figli di Dio, per i musulmani abbiamo bisogno di Dio più di quanto i figli hanno bisogno del loro padre, perché senza di Lui non possiamo vivere e se non ci fosse la misericordia di Dio, Dio solo sa dove saremmo arrivati. La mia preghiera è quella di poter effondere questa cultura del dialogo e di poter lavorare insieme con chiunque abbia a cuore la creazione di una società coesa, dove tutti si sentano accolti e dove tutti si sentano liberi di professare la loro fede, come garantito dalla Costituzione. Una società dove gli uomini e le donne si sentano veramente dei fratelli, perché discendenti della stessa coppia. Dio vi benedica e grazie».
Ma per dialogare occorre umiltà: «Se pensiamo di aver capito tutto e vogliamo semplificare – riprende don Achille Villanucci -, andiamo avanti sempre per stereotipi. Il dialogo richiede il disarmo del cuore. Non diamo per scontato il dialogo, ci dev’essere un’educazione al dialogo e praticare l’umiltà è una buona predisposizione ad esso».
Le conclusioni dell’incontro interreligioso sono quindi state affidate dall’arcivescovo di Pescara-Penne, monsignor Tommaso Valentinetti: «È tanto più importante questo discorso dialogico che stiamo portando avanti – sottolinea il presule –, perché ultimamente ho sentito un sacerdote che ci ha aiutato a riflettere su alcune tematiche, consegnandoci lo slogan “È tempo di pensare il tempo”. È tempo di pensare il tempo in cui siamo. Ora, dagli interventi fatti, emergono elementi importanti che ci devono far riflettere sul tempo. Un elemento importante è sicuramente quello che Papa Francesco ha chiamato “una guerra a pezzetti”, alla quale collaboriamo “molto volentieri” anche noi vendendo armi legalmente o di contrabbando. L’altro dato che emerge è che si stanno alzano muri fisici e ideologici dappertutto. Si stanno alzano i muri del pregiudizio, dell’incomprensione e la cosa peggiore è che si stanno alzando i muri dell’odio. Quando una persona viene presa a sassate perché il suo colore della pelle è diverso dall’altro, vuol dire che c’è una cultura dell’odio che viene seminata. L’altro dato che emerge nel pensare questo tempo è che il dialogo interreligioso nuovo, può aiutarci a capire come stiamo trattando il nostro pianeta. Lì non ci sono differenze di fede, ma una sola realtà che è la madre terra che è tale e quale per il cattolico, per l’ebreo, per il protestante, per il musulmano, per l’induista e per il buddista. Per tutti c’è la madre terra, che dà vita e sostentamento non negando niente a nessuno. La nostra madre terra non ci domanda di che religione siamo, eppure la stiamo distruggendo. Grandi Paesi miopi che per il bene esclusivo di una piccola parte, continuano a portare avanti politiche che non contribuiscono ad un’equa distribuzione dei beni della terra e, soprattutto, all’equa distribuzione di una natura e di un clima che possa essere rispettosa degli esseri umani. Certo, il dialogo non è facile e deve partire da noi, dal basso, ma ha bisogno di slanci di lavoro comune altrimenti ci areniamo e non usciamo da stereotipi che poi ci mettono in grande difficoltà gli uni con gli altri. Io mi rammarico, perché tempo fa una persona si è venuta a lamentare con me del fatto che, in una conferenza pubblica, una docente che insegna teologia in alcune realtà ha affermato che “L’Islam è una religione che odia”. Questo è un peccato mortale che grida vendetta al cospetto di Dio, eppure è stato detto da una persona cattolica. Io non ho paura di dire queste cose, perché ciò che va stigmatizzato va stigmatizzato. Purtroppo ci sono queste realtà, c’è questa difficoltà. Sicuramente poi c’è la scelta di dimensioni di vita che devono fare i conti con una realtà planetaria a livello politico. Allora l’importante è avere vigilanza e avere un cuore, una mente, uno spirito aperto a pensare questo tempo. Se non lo pensiamo, se ci facciamo dominare da esso, non andiamo da nessuna parte. Il tempo va pensato donando per questo le nostre energie migliori, perché realmente si possa essere sul serio non dico una cosa sola – quello lo farà il Padre eterno quando tornerà nella gloria -, ma per essere rispettosi e fratelli dentro la famiglia dell’umanità».