L’Aquila: “Intollerabile lentezza nella sua ricostruzione”
"Istituzioni - protesta monsignor Bruno Forte -, autorità politiche, forze imprenditoriali tollerano ancora tanta lentezza nella ricostruzione e nella rinascita di questa meravigliosa città, ma L’Aquila non può attendere ulteriormente"

«L’Aquila, “ferita ma non piegata” dal terremoto del 2009, non può attendere ulteriormente. Intollerabile la lentezza nella ricostruzione e nella rinascita di questa meravigliosa città!». La denuncia è di monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e presidente della Conferenza episcopale abruzzese molisana (Ceam). Lo scorso venerdì mattina si è aperta con una messa nella basilica di Collemaggio la seconda e ultima tappa della Giornata nazionale promossa a L’Aquila dall’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della Cei sul tema “Manutenzione e prevenzione. La tutela delle persone” (19 – 20 settembre).
Nella sua omelia, monsignor Forte ha sottolineato la «prova straordinaria di resilienza e di sopportazione data dagli aquilani che hanno accettato ogni genere di sacrifici, pur di veder rinascere le case, le chiese, i luoghi di lavoro e di studio, e rifiorire la vita pulsante, che ne ha percorso la storia e vuole continuare a percorrerla. Alla comunità aquilana e in particolare al popolo di Dio, va la riconoscenza di tutti gli abruzzesi, della Chiesa e dell’intera nazione italiana. L’Aquila ferita, ma non piegata, rinasce per volare alto, persino più forte e più bella di prima!».
Tuttavia, a detta del presule, questo non sta avvenendo né potrà compiersi fino in fondo senza il sostegno di altri: «L’aiuto dall’alto – precisa – e quello che lo Stato non può far mancare. Eppure istituzioni, autorità politiche, forze imprenditoriali tollerano ancora tanta lentezza nella ricostruzione e nella rinascita di questa meravigliosa città, ma L’Aquila non può attendere ulteriormente. Se molto è stato fatto, molto, anzi troppo, resta ancora da fare. Ne è simbolo eloquente la Cattedrale dei santi Massimo e Giorgio, ancora sventrata ed esposta a ogni intemperia».
Da qui la vicinanza al cardinale arcivescovo Giuseppe Petrocchi, del quale venerdì è ricorso l’anniversario di ordinazione: «Che non vuole ritornare nell’episcopio restaurato – ricorda il presidente della Ceam – fino a che il Signore Gesù non potrà ritornare sotto i segni eucaristici nel tabernacolo della Chiesa madre di tutte le Chiese della diocesi».
Infine un augurio: «Possa quanto prima la celebrazione della divina liturgia nella Chiesa cattedrale – conclude l’arcivescovo di Chieti-Vasto – essere il segno forte che L’Aquila tutta è risorta, aperta a nuovo, luminoso e fecondo futuro».
E nell’ambito della giornata aquilana, non è mancata la riflessione anche sugli aspetti più tecnici della ricostruzione: «È importante – sottolinea l’architetto Maurizio D’Antonio, della Commissione diocesana arte sacra e beni culturali dell’arcidiocesi de L’Aquila – conoscere i metodi costruttivi del passato, per poter intervenire nel processo di riparazione e restauro con maggiore cognizione, senza produrre ulteriori danni e magari evitando, quando possibile, l’inserimento di tecnologie non sufficientemente testate in tutte le loro implicazioni».
È stato “Modalità costruttive memoria di una comunità” il titolo della relazione nella quale D’ Antonio ha illustrato i presidi antisismici presenti in molti edifici quattrocenteschi che, grazie a queste tecniche costruttive, hanno superato con pochi danni, a differenza di altri, i terremoti subiti; ultimo quello del 2009: «La tecnica costruttiva antisismica più diffusa ed efficace – spiega – è quella dell’inserimento di radiciamenti lignei nelle murature, secondo particolari modalità, con funzione di rinforzo».
Un esempio per tutti, l’abside maggiore della chiesa di Santa Maria in Collemaggio: «Anche ai sei livelli di radiciamento presenti – aggiunge l’architetto -, probabilmente si deve il mancato crollo totale durante il sisma del 6 aprile 2009, mentre i maggiori crolli si sono verificati nelle costruzioni che nel corso degli anni hanno subito la rimozione, la modifica, il deterioramento dei presidi fino a renderli inefficaci e l’aggiunta di parti strutturali incongrue».
Da questa esperienza si può trarre un insegnamento: «Che dovremmo guardare con maggior attenzione e rispetto – osserva Maurizio D’Antonio – alle costruzioni del passato e che ignorare la storia significa perdere un patrimonio di conoscenze ed esperienze, bagaglio insostituibile di ogni comunità affinché non perda la propria identità».
Ma la questione fondamentale è conciliare sicurezza e conservazione. Non ha avuto dubbi l’ingegnere Dante Galeota, dell’Università de L’Aquila, soffermandosi sulla basilica di Santa Maria di Collemaggio e illustrandone gli interventi strutturali compiuti dopo il terremoto del 6 aprile 2009: «L’esperienza acquisita in Italia, a seguito dei molti eventi sismici del passato – illustra il professor Galeota – mostra chiaramente che gli edifici storici, segnatamente quelli di culto, risultano sismicamente vulnerabili per diverse ragioni. L’intrinseca fragilità delle costruzioni storiche è dovuta alla combinazione negativa di diverse cause, ovvero il diffuso degrado dei materiali e delle strutture, masse murarie rilevanti, pareti alte e snelle, collegamenti trasversali poco efficienti, assenza di manutenzione, possibili cedimenti in fondazione, eventi estremi quali il sisma. Per questo, se è assolutamente necessario trasferire il patrimonio storico e monumentale alle generazioni future, è altresì necessario ridurre il rischio di perdita di vite umane. Il problema fondamentale è quello di conciliare sicurezza e conservazione».
Un problema complesso a suggerire che «la complessità del problema – conclude l’ingegnere – suggerisce che gli interventi di consolidamento e miglioramento sismico vengano discussi e decisi da gruppi di progettazione multidisciplinari. Oggi sono disponibili sofisticati metodi di analisi teorica delle strutture, materiali e tecnologie innovative in grado di fornire risultati accettabili nei confronti della sicurezza e conservazione del bene».