“Non serve criminalizzare chi salva vite, ma solidarietà per le politiche sui migranti”
"Ogni porto europeo sottolinea la Comunità Papa Giovanni XXIII - dovrebbe essere considerato porto sicuro! In sede di conversione del decreto sicurezza bis si ripensino queste norme inutili e dannose, mettendosi in ascolto delle tante voci della società civile che si stanno alzando, insieme, in questi giorni e rinunciando a normative che costituiscono ad una inutile prova di forza, dimostrando un sussulto di umanità che renderebbe orgogliosi gli italiani"
Ieri anche la Comunità Papa Giovanni XXIII si espressa sul Decreto sicurezza bis, essendo stata ricevuta in un’udienza informale presso le Commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia della Camera dei deputati: «Riteniamo un’anomalia giuridica – spiega l’associazione nel suo documento di posizione – che sul tema del trasporto dei migranti il governo ricorra a un decreto legge, cioè a un provvedimento basato su necessità e urgenza, a fronte di un’oggettiva diminuzione degli sbarchi».
Le altre organizzazioni convocate non sono intervenute a seguito dell’esclusione dal dibattito dell’Ong Sea-Watch. Secondo l’articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani, si ricorda nel testo, “tutti hanno il diritto di chiedere asilo e di usufruire di tale diritto” e lo status di rifugiati prevede “il principio di non respingimento”: «L’Italia – si appella la Comunità Papa Giovanni XXIII – non può non assolvere al proprio obbligo di rispettare e proteggere il diritto alla vita e neppure esacerbare e aggravare tale inadempienza, impedendo ad altri di intraprendere attività volte ad adempiere a tale obbligo fondamentale. Un diritto che va garantito a tutti gli esseri umani, senza distinzione di alcun tipo, comprese anche le persone sospettate o condannate per i crimini più gravi. Anche in mare, dunque, il diritto alla vita deve prevalere sulla legislazione nazionale ed europea, sugli accordi bilaterali, sui protocolli d’intesa e su ogni altra decisione politica o amministrativa».
Da questo presupposto, l’associazione ha evidenziato la propria tesi di fondo: «Non abbiamo bisogno – si legge ancora nel documento di posizione – di criminalizzare chi salva vite in mare, ma abbiamo bisogno di solidarietà esigente per affrontare le politiche su migranti e rifugiati ma in modo serio. Se è necessario sostenere controlli di frontiera efficaci, umani e ordinati, occorre favorire l’integrazione nelle comunità ospitanti per cogliere i contributi positivi che vengono dati. Occorre sempre più facilitare la mobilità dei popoli e degli individui come espressione dell’interdipendenza globale e della fratellanza umana. Le vere soluzioni passano attraverso vie di diplomazia e nonviolenza, con una presenza costante e credibile in Europa dove è necessario ed urgente ricostruire relazioni di amicizia, comprensione e costruttivo confronto. È urgente avere una visione ampia strutturale e non emergenziale».
Tra le proposte concrete, oltre a quella di salvare la vita delle persone in pericolo in mare o in altri luoghi dove siano nel bisogno di soccorso: «Quella – continua l’organizzazione fondata da don Oreste Benzi – di un’equa e solidale ripartizione nella redistribuzione dei migranti, prevedendo sanzioni efficaci per gli stati che non ottemperano a loro obblighi. Ogni porto europeo dovrebbe essere considerato porto sicuro! In sede di conversione del decreto sicurezza bis si ripensino queste norme inutili e dannose, mettendosi in ascolto delle tante voci della società civile che si stanno alzando, insieme, in questi giorni e rinunciando a normative che costituiscono ad una inutile prova di forza, dimostrando un sussulto di umanità che renderebbe orgogliosi gli italiani».