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Epicuro: la felicità, la mamma e il mare calmo

I filosofi sempre indaffarati a speculare sulla felicità, riuscirono a essere felici nella loro vita? Epicuro sembrerebbe aver razzolato bene rispetto a quanto predicò in vita. Da una lettera alla madre emerge l'immagine di un uomo sereno, impegnato a realizzare con coerenza e successo la felicità così come andava teorizzando per l'uomo in genere.

Che cos’è la felicità? È una domanda che ricorre spesso nella storia del pensiero filosofico. Le risposte sono le fonti alle quali da secoli si abbeverano gli uomini, che trasportano la catena delle piccole e grandi sofferenze della vita. Eppure si sa quanto sia più facile dar consigli agli altri che a sé stessi. I filosofi indaffarati a speculare sulla felicità, riuscirono a essere felici nella propria vita?

In poche righe di una lettera conservataci da Diogene di Enoanda, Epicuro è il primo filosofo antico che ci sveli i propri sentimenti verso la madre, rincuorandola sulle sue preoccupazioni per un brutto sogno: «[…] e perciò, mamma, abbi fiducia, poiché codeste tue immaginazioni non ti svelano nessun male mio; anzi, io acquisto ogni giorno maggiore incentivo a progredire sulla via della felicità. Pensa che sono felicissimo per la gioia di tali beni e sii orgogliosa di quello che faccio qui. E poi, in nome di Zeus, risparmia per te queste cose che tu continuamente mi invii: non vorrei mancassero a te per averne io di troppo, mentre preferisco mancarne io perché le abbia tu».

Dalle poche righe della lettera, è facile scorgere un’immagine serena di Epicuro; egli è impegnato a realizzare con coerenza e successo la stessa serenità che va teorizzando per l’uomo in genere. Infatti, già in un precedente scritto, l’Epistola a Meneceo, Epicuro aveva speculato sulla vera serenità umana (galénismos) paragonandola alla bella immagine della «bonaccia» (galéne), ossia un mare calmo, in cui le onde del corpo si sono calmate e le tempeste dell’anima si sono placate. Un mare calmo da non confondere, raccomanda Epicuro, con un mare piatto. Per essere felici nella vita, infatti, non basta la sola serenità: bisogna anche trovarsi in una condizione piacevole (hedoné).

Eppure non tutti i piaceri sono da perseguire, per essere felici. Bisogna saper scegliere quelli giusti: calcolare bene gli utili e i danni reali che possono recare i piaceri e in più valutare il limite entro cui essi cessano di essere tali. Calcolo che del resto il filosofo stesso testimonia di fare concretamente in vita, quando nella lettera alla madre si mette a giudicare sull’utilità di accettare o meno i suoi doni, ossia «queste cose che tu continuamente mi invii». I piaceri che vanno sempre evitati, secondo Epicuro, sono quelli che conducono inevitabilmente alla sofferenza fisica e al travaglio morale. Al contrario, un piacere positivo misurato, che accresca la qualità della nostra vita senza turbare la tranquillità del corpo e dell’anima, non solo non è da rifiutare ma è una delle condizioni per raggiungere il vero piacere. Esempio: se un’abbuffata di cibo è sempre da evitare perchè danneggia il fisico, e un pasto frugale è necessario perché ci dà il giusto sostentamento, non è detto che un cibo sfizioso sia da escludere se accresce il mio benessere e non conduce a nessun eccesso.

La vita felice è dunque simile a un mare calmo, non piatto. L’uomo felice non si lasci sorprendere dalla tempesta e dalla marea, ma sappia godere anche della bellezza del panorama che gli si offre. Del resto il mare calmo, senza la luce della luna o del sole che lo indora, e senza la schiuma che lo solletica, sarebbe manchevole. Per quanto il mare sia calmo, per «progredire sulla via della felicità» ogni uomo dovrà remare e faticare. Scegliere con la ragione i piaceri giusti nella vita è possibile, ma difficile: toccherà infatti dire inevitabilmente qualche “no”, perfino ai doni disinteressati della mamma premurosa.

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Le citazioni, in, Epicuro. Opere, Frammenti, Testimonianze, a cura di Gabriele Giannantoni, Ed. Laterza, 2003, pp. 15; 31-35.