E-sport: “Serve un patto sociale per la crescita psicofisica del ragazzo”
L’industria dei videogame è ormai in Italia una consolidata realtà, un indotto che genera 1,5 miliardi di euro, con i suoi 4,5 milioni di appassionati di e-sport nel nostro Paese
L’industria dei videogame è ormai in Italia una consolidata realtà, un indotto che genera 1,5 miliardi di euro, con i suoi 4,5 milioni di appassionati di e-sport nel nostro Paese. Sono questi gli spaventosi numeri di un vero e proprio mercato, quello dei videogiochi, che sta crescendo in maniera rapida ed esponenziale. Sul tema degli sport elettronici, è stato organizzato un convegno che si è svolto a Roma nel fine settimana. All’evento, denominato ‘E-sport è sport?’, promosso dall’Ufficio nazionale per la pastorale del tempo libero, turismo e sport con il patrocinio dell’Ufficio per la pastorale del tempo libero, del turismo e dello sport della diocesi di Roma, è intervenuto Marcel Vulpis, fondatore dell’Associazione italiana degli e-sport (Aiesp).
«Ci troviamo di fronte – afferma – a una realtà in grande crescita ma che necessita a livello istituzionale di regole condivise . E serve anche un patto sociale nuovo tra famiglia, scuole, aziende nella direzione dello sviluppo e della crescita psicofisica del ragazzo. Gli e-sport sono sport, basta vedere come si preparano gli atleti che li praticano».
All’incontro ha preso la parola anche mons. Melchor Sanchez de Toca, sottosegretario del Pontificio Consiglio della Cultura.
«il fenomeno – sostiene – degli e-sport e dei videogames ci porta a riflettere sull’atmosfera che tutto questo contempla e cioè la cultura digitale, che sta orientando il nostro modo di vivere, la nostra quotidianità. Al momento il Cio si sta aprendo agli e-sport. È, quindi, un dibattito aperto ma il nostro obiettivo rimane quello di mettere la persona al centro».
Condivisione e dialogo sono la base anche per questo tema.
Ne è convinto anche Don Gionatan De Marco, direttore dell’Ufficio nazionale della Cei: « Solo mantenendo – conclude – uno sguardo disarmato si potrà arrivare a un punto di vista condiviso, come compagnia educante, sulla persona nella sua integrità. Un punto di vista attivo perché di per sé la dimensione ludica non è mai passiva».