“Avere un background migratorio avvicina maggiormente alla fede”
«È interessante notare – spiega Introini – come trasversalmente la fede sia ancora una dimensione della vita che importa sia i giovani che gli adulti. Dalla ricerca emerge infatti come “avere un background migratorio avvicina maggiormente alla fede. Essa è uno strumento fondamentale per far fronte alle difficoltà che si incontrano nella migrazione, ma è anche una risorsa identitaria cara a cui non si vuole rinunciare e per cui si decide di spendersi».

Avere un background migratorio, ossia avere una storia di migrazione alle spalle avvicina maggiormente alla fede. È questo ciò che è emerso nell’ambito della presentazione del volume “Di generazione in generazione. La trasmissione della fede nella famiglie con background migratorio”. Il libro, presentato giovedì scorso nella sede dell’arcidiocesi di Milano, è a cura di Rita Bichi, Fabio Introini, Cristina Pasqualini (edita da Vita e Pensiero).
L’opera è già stata consegnata a Papa Francesco nell’udienza generale del 12 settembre. Questa ‘fatica letteraria’, ha preso vita grazie ad una ricerca realizzata dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo di Milano con la collaborazione della Fondazione Migrantes e degli Uffici Migranti delle diocesi lombarde.

Fabio Intorini, ricercatore presso la Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
« La ricerca è nata – afferma Fabio Intorini – con l’intento di guardare al rapporto dei giovani migranti o figli di migranti con la loro fede, indagando il processo di trasmissione dell’appartenenza religiosa tra generazioni».
L’indagine è stata condotta attraverso interviste a 149 persone in Lombardia in prevalenza giovani – tra i 18 e i 29 anni – ma anche leader religiosi appartenenti alle confessioni cattolica, ortodossa, evangelica, buddista, induista, musulmana e sikh.
«È interessante notare – spiega Introini – come trasversalmente la fede sia ancora una dimensione della vita che importa sia i giovani che gli adulti. Dalla ricerca emerge infatti come “avere un background migratorio avvicina maggiormente alla fede. Essa è uno strumento fondamentale per far fronte alle difficoltà che si incontrano nella migrazione, ma è anche una risorsa identitaria cara a cui non si vuole rinunciare e per cui si decide di spendersi».
Cambia però tra giovani e adulti il modo di avvicinarsi e di vivere l’appartenenza religiosa: «Se per i genitori – prosegue il ricercatore – resta fondamentale la dimensione della comunità linguistica, vissute quasi fossero delle enclaves, per i giovani il rapporto è più debole e pur riconoscendo il valore della sfera religiosa, anche a seguito del contesto secolarizzato e cosmopolita in cui sono inseriti, tendono ad andare verso forme di individualizzazione che presentano aspetti positivi e rischi: da una parte la ricerca personale e la maturazione della fede, dall’altro il rischio di tendere al sincretismo».
Per quanto riguarda i cattolici: «i giovani cattolici – conclude – che si trovano di fronte alla “duplice offerta” comunitaria della parrocchia residenziale o della propria comunità linguistica tendono ad orientarsi maggiormente verso la prima, a differenza della generazione adulta, più interessata al mantenimento delle proprie tradizioni».
All’evento è intervenuto anche Antonello Martinenghi, coordinatore regionale dei direttori Migrantes della Lombardia, che ha introdotto l’opera con le seguenti parole: «Questo libro – sostiene – vuole essere un punto di partenza, uno strumento che offriamo ai nostri vescovi, a cui l’abbiamo presentato ieri durante i lavori Conferenza episcopale lombarda, come punto di partenza per una pastorale che non riguardi solo i migranti ma l’intera comunità».