Giovani: “Non credete in Gesù perché ve ne hanno parlato, ma avendone fatto esperienza”
"Cercare di capire - spiega l'arcivescovo Valentinetti -, di andare in profondità, di fare spazio dentro il nostro intimo, dentro il nostro cuore, per far emergere tutte le cose più belle che ci sono. Ecco, i vescovi cercheranno di fare questo discernimento. Cercare di comprendere il buono, il bello, il vero, il santo, il magnifico, lo straordinario e tutto quanto c’è di buono c’è nel cuore di tutta la gioventù del mondo, per far sì che la Chiesa risponda a voi giovani"

Saranno 300 i giovani pescaresi che l’11 e il 12 giugno parteciperanno a “Siamo qui”, la due giorni al Circo Massimo di Roma con Papa Francesco in preparazione al Sinodo dei giovani che avverrà dal 3 al 28 ottobre prossimi. E in attesa di partire, lo scorso venerdì, la Pastorale giovanile dell’arcidiocesi di Pescara-Penne ha organizzato un incontro preparatorio dal titolo #Tiriconosco, presso la parrocchia di San Camillo de Lellis a Villa Raspa di Spoltore gremita da oltre 200 giovani.
A spiegare il senso della tematica don Pierluigi Pistone, traendo spunto dall’episodio biblico della pesca miracolosa riportata dal Vangelo di Giovanni: «In questa occasione – esordisce il sacerdote, rivolgendosi ai ragazzi – i discepoli danno esperienza di Gesù. Quanti di voi non si sono chiesti almeno una volta “Io voglio vederlo, altrimenti non ci credo? Voglio vedere per credere”. Eppure, questo brano ci fa capire che anche chi lo ha visto non ne è stato sempre così sicuro. Questo è anche il brano della risurrezione dei discepoli che riconoscono Gesù, passando dalla notte al giorno. La notte dei discepoli è stata come per la nostra notte, quando noi facciamo fatica a riconoscere Gesù. Nella nostra vita, ogni tanto, abbiamo delle delusioni, dei momenti che non vanno, delle situazioni particolari. Se ci lascia il nostro ragazzo, o la nostra ragazza, sembra che sia tutto finito. Poi nei incontri uno migliore e finisce che te lo sposi e lo incontri in un mondo che non ti aspettavi».
È stato lo stesso passaggio vissuto dai discepoli: «I discepoli Gesù lo conoscevano – sottolinea don Pistone -, lo avevano seguito, avevano mangiato con lui, avevano dormito con lui, lo avevano ascoltato, lo conoscevano di persona. Eppure quando Gesù muore sulla croce i discepoli vanno in tilt, non ci capiscono più nulla e Pietro dice “Vado a pescare”. Ma all’inizio del brano biblico, Pietro era proprio su di una barca e stava pescando, allora Gesù è andato a chiamarlo sul posto di lavoro. Non pensate che Gesù vi chiama se state in ginocchio sul banco in chiesa, dov’è importante andare, ma può chiamarvi in ogni momento della giornata, durante lo studio, il lavoro, la scuola o mentre siete con gli amici al bar. In qualunque momento, in qualunque luogo, Gesù ti può chiamare».
Ma i discepoli che avevano detto a Gesù che lo avrebbero seguito in capo al mondo, dopo la sua morte tornano alla vita di prima, con Pietro che dice “Vado a pescare”: «Quando nella nostra vita viviamo la notte, abbiamo un momento difficile – osserva don Pierluigi – più o meno tutti ce ne torniamo alle nostre sicurezze, ce ne torniamo alle cose di prima. Se un amico ti delude, che fai? Tu continui a fare le tue cose di sempre, dimenticandoti che c’è lui, lo rimetti da parte. Questi discepoli Gesù lo conoscevano, ma in quel momento avevano ancora una delusione nel cuore nonostante l’avessero già visto due volte risorto. Questo vuol dire che la fede non è mai acquisita per sempre. Ragazzi, non pensate che nella vostra vita la fede sia un punto fermo sempre. La fede ti mette in gioco e allora ci possono vivere degli alti e bassi, dei momenti che a volte va bene e a volte va male. La fede non la si acquisisce per sempre, perché ci chiede ogni giorno di metterci in gioco e fare qualcosa di nuovo».
Com’è accaduto anche venerdì sera con la scelta dei giovani di partecipare all’incontro diocesano: «Se siete qui è perché tutti conoscete Gesù. Come lo avete conosciuto? “Tramite l’Azione cattolica – risponde un ragazzo” “Con il battesimo – risponde un altro”. Gesù lo abbiamo conosciuto attraverso il catechismo, l’Azione cattolica o i nostri genitori, ma questa conoscenza non basta per dire “Ho fede”. Gesù hai bisogno di riconoscerlo, conoscerlo di nuovo. Nella nostra vita c’è bisogno di una cosa fondamentale, che ad un certo punto facciamo esperienza di Gesù, ci dobbiamo fidare di Lui ed entrare in relazione con Lui, perché quando i discepoli sono andati a pescare ed erano ancora titubanti, dubbiosi, avevano problemi e non avevano pescato nulla. Poi con la luce arriva Gesù e dice “Buttate le reti dalla parte destra” prendendo così una marea di pesci. Ragazzi, solo quando nella vostra vita farete l’esperienza di Gesù, potrete dire di avere la fede. Altrimenti, l’avrete conosciuto dai vostri catechisti, dai vostri genitori, ma questo non basta per dire di avere la fede. Non è sufficiente, perché a catechismo ti hanno insegnato i 10 comandamenti, il Padre nostro, ma poi questo nella vita dovrà tradursi in una relazione personale. Solo quando impari a fidarti di Lui lo riconosci e allora sì, quando entri in relazione con Lui, dici “Signore, finalmente adesso ti riconosco, perché ti avevo conosciuto a catechismo, mi avevano parlato di Te, ma adesso la mia conoscenza non è attraverso gli altri, ma attraverso me stesso”».
Da qui l’appello rivolto ai giovani: «Fate questo salto di qualità nella fede – esorta don Pierluigi Pistone – smettetela di credere solo perché ve ne hanno parlato di Gesù, cominciate a credere perché gettate le reti dalla parte destra, perché vi fidate di Lui, perché con Lui riuscite a fare anche l’impossibile, perché con Lui fate anche cose che non avreste fatto senza. Entrate in una relazione personale con Gesù e la vita cambierà e allora sì che i 10 comandamenti non li vivrete più perché ve li hanno insegnati, ma vi verranno spontanei perché quando hai la relazione e vivi la relazione con una persona, le regole vengono di conseguenza. Non sono le regole che fanno la relazione, ma è la relazione a dettare le regole della relazione stessa. Questo è il salto di qualità, riconoscere Gesù significa fare questo passaggio. Non più conoscerlo perché me ne hanno parlato, ma riconoscerlo perché ne ho fatto esperienza, ne faccio esperienza e allora riconosco quello che mi è stato detto di Lui. Ma soprattutto a Gesù gli potrete dire “Ti riconosco negli eventi della mia storia, negli eventi della mia vita, ti riconosco nelle persone che ho incontrato, in quelle che ho vissuto”. E allora buon riconoscimento di Gesù, provate a riconoscerlo di nuovo».
Come ha fatto la giovane Valentina, 30 anni, che ha lasciato la sua testimonianza:
«Io andavo a messa tutte le domeniche – racconta la giovane -, ma non conoscevo Dio, l’ho conosciuto solo quattro anni fa. Era un periodo che avevo tutto, ma non ero felice. Lavoravo, avevo un fidanzato, una famiglia unita, ma sentivo una voce che mi faceva sentire sempre più insoddisfatta. Allora, un giorno ho sentito il desiderio di qualcosa di più grande. E dicevo, ma se io vado a messa è perché credo in Dio, Lui esiste, Lui mi vuole felice, ma perché io non sono felice? Voglio provare a conoscerlo e per farlo ho capito che dovevo lasciare tutto ciò che mettevo al suo posto. La storia con il mio fidanzato è finita, perché io cercavo lui come colui che doveva colmare i miei vuoti, anche quelli della mia infanzia, e quindi mi sono resa conto che l’amore non era trovare una persona che poteva rendermi felice, ma rendere felice qualcuno, donarsi e non ricevere». Così è successo che mi sono ritrovata sola proprio nel momento in cui la mia famiglia si è divisa, perché mio padre ha lasciato me e mia madre da sole. Quindi mi sono ritrovata da sola con mia madre, senza nessuno accanto con cui poter condividere da figlia questa esperienza. Però ho pregato sia per il mio papà che per quello che era il mio fidanzato. Dicevo papà tornerà e anche il mio fidanzato capirà che Gesù è più importante, però non è stato così. Successivamente è successa un’altra cosa, magari uno dice “Scelgo di seguire Gesù e tutto va bene”, e invece no perché poi mi sono ammalata. Andavo all’università, ma per due anni ho dovuto smettere di studiare perché avevo una malattia che apparentemente non era grave, ma non aveva nessuna cura. Era stata diagnosticata come un’orticaria autoimmune e non c’era una cura, neanche con le flebo di cortisone. Dopo varie esperienze in ospedale, e specialisti vari, mi avevano proposto una cura con immunosoppressori, che però avrebbero compromesso i miei organi vitali e così li ho rifiutati perché, essendo una farmacista, sapevo a cosa andavo incontro e siccome non c’era alcuna evidenza scientifica ho preferito evitare e mi sono affidato totalmente alla preghiera. Un giorno tornando dall’ospedale, dove mi avevano fatto l’ennesima flebo di cortisone senza avere alcun giovamento, ero gonfia, deformata, avevo il corpo ricoperto da bolle rosse ovunque. Scottavo, non potevo sedermi, non riuscivo a dormire, non riposavo più. Esasperata dalla sofferenza, ricordo il giorno era il 15 agosto festa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, ho pregato e avevo una bottiglietta di acqua di Lourdes di mia nonna. Ho detto “Provo a mettere l’acqua benedetta sulle bolle che mi bruciano, perché non ce la faccio più”. Esattamente due minuti dopo non avevo più nulla. Allora mi sono affidata alla preghiera e sono guarita. Successivamente ho conosciuto le Suore dell’Arca di Maria, che ringrazio, ho conosciuto il cammino che si fa per la consacrazione a Gesù per mezzo di Maria. Ho frequentato il percorso e ho offerto tutta la mia vita a Gesù, perché ero delusa e non avevo niente da perdere. E nello stesso tempo ero venuta a conoscenza del percorso delle dieci parole, quindi ho iniziato questo cammino e ho capito cos’è l’amore e mi sono sentita amata. In uno di questi incontri, dove c’era un momento di preghiera con la Bibbia, la prima frase che ho letto è stata “Dio quelli che ama li educa e li castiga”. Io conoscevo un Dio che mi opprimeva, non riuscivo a osservare la legge, perché mi sentivo schiacciata, pensavo che Lui limitasse la mia libertà e mi sentivo un po’ ribelle. Però, leggendo quella frase, non ho pensato che Lui voleva limitarmi, mi sono sentita amata perché ho capito che io stavo soffrendo perché Lui mi stava aiutando. E da allora mi sono lasciata educare. Poi ho seguito il percorso di consacrazione con le suore, che è coinciso anche con la mia guarigione fisica. E poi è stato guarito anche il mio cuore dalle ferite affettive. E infatti una persona che faceva la consacrazione con me mi aveva detto “Oggi troverai marito” e lì si era autoinvitato il mio futuro marito, che ho conosciuto grazie al cammino delle dieci parole, perché una volta concluso abbiamo accolto l’invito ad accogliere quelli che negli anni seguenti avevano accettato di intraprendere questo percorso. Così ci siamo ritrovati tutti e due davanti al portone della chiesa per fare accoglienza. In poche sere ci siamo innamorati e ci siamo scelti, dopo due anni abbiamo deciso di sposarci. L’unica cosa che voglio dirvi, in sintesi, è di non aver paura di perdere quello che avete per mettere Gesù al primo posto perché, innanzitutto, Lui non ci togli niente ma ci dà e se vi toglie qualcosa è solo perché quella cosa vi fa male oppure vuole darvi qualcosa di bello. Ma soprattutto Lui non vi dà quello che volete, ma quello di cui avete bisogno. Io non ho avuto quello che volevo, ma ho avuto molto di più».
Altrettanto significativa l’esperienza di Andrea:
«Ho riconosciuto il Signore – racconta il tretatreenne – in una delle prime volte che si è presentato nella mia vita. Mi è successo quando avevo 15 anni e stavo in parrocchia, a San Giovanni Bosco a Montesilvano, frequentavo l’Azione cattolica. In quell’estate del 2000 a Roma c’era il Giubileo, ci sarebbe stata la Giornata mondiale della gioventù e la parrocchia ci aveva proposto di partecipare arrivandoci con un pellegrinaggio a piedi. Io ero abbastanza entusiasta, volevo partecipare, ma non avevo fatto i conti con i miei genitori che, un po’ per motivi economici e un po’ perché erano spaventati all’idea, non volevano farmi andare. Io pero avevo voluto fidarmi di quella proposta che i miei educatori e il mio parroco mi avevano fatto e che il Papa stesso aveva fatto a tutti i giovani. E allora avevo deciso di andare a lavorare per raccogliere qualche soldino. Ma siccome il pellegrinaggio si sarebbe svolto ad agosto ed io lavoravo in uno stabilimento balneare, era qui che la mia presenza sarebbe servita in quel mese. E se avessi detto che me ne sarei dovuto andare non mi avrebbero mai preso. Ma parlandone con gli educatori, loro mi dicevano “Non ti preoccupare, che il Signore agisce”. Io gli avevo risposto “Guardate che mi cacciano se glielo dico”. E loro “Non ti preoccupare, tu fidati e vedrai che in qualche modo il Signore sarà fedele”. Allora mi ero fidato, avevo parlato con quelli dello stabilimento che mi hanno avevano detto “Non ti preoccupare, stai fino a quando vuoi e puoi andare”. Questa è stata una cosa che per la mia storia mi ha segnato. L’episodio in sé non rappresenta niente di particolare, ma in quella occasione ho visto che il Signore è veramente fedele. Quando ti vuole far partecipare, ti vuole in qualche posto, fa in modo che tu ci sia anche contro le cose che magari non pensiamo siano impossibili, ma il Signore. Poi sono andato a quel pellegrinaggio e per me è stato fondamentale, anche se poi la mia storia è continuata con altri incidenti di percorso, però quell’esperienza mi ha segnato facendomi capire che il Signore ti ama e ti vuole con sé e Lui mi ha sempre tenuto vicino a sé con tante esperienze e proposte. Due cose mi sono rimaste impresse di quel pellegrinaggio. La prima è stata la parola del Papa, che mentre eravamo a Tor Vergata sulla spianata ci diceva “Voi siete le sentinelle del nuovo mattino”. Questa frase mi è rimasta sempre in mente e mi ha guidato negli anni successivi. Non voglio dire che sono una sentinella oggi, ma sono in cammino e ci provo. Un’altra parola della giornata che mi ha colpito, è stata poi quella di “costruire la casa sulla roccia”. Questa parola me la sono portata veramente nel cuore, perché è quello che cerco di fare oggi. Sono sposato dal 2012, da sei anni, abbiamo una bambina e un altro figlio in arrivo. Non voglio dire che quel pellegrinaggio a Roma è stato il momento in cui mi sono convertito, ma quell’esperienza mi ha detto “Ok Andrea, il Signore c’è, ti vuole bene, lo puoi seguire, fidati”. Quindi da quell’esperienza ho potuto avere quello che oggi ho. Ringrazio Dio per questo e se oggi i vostri educatori o i vostri parroci vi propongono di fare un pellegrinaggio o qualche tipo di esperienza, fidatevi, perché il Signore è fedele e anche se ci fa passare per strade che a volte non capiamo, però è fedele e vuole il nostro bene».
Al termine è stato l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti a spiegare il senso del Sinodo dei giovani: «Quando il Papa ha detto che il Sinodo è di tutti i giovani – spiega il presule – , voleva dire non solo dei giovani cattolici, ma anche degli atei, dei tiepidi, dei lontani, anche di quelli che in qualche modo non sono convinti della loro fede. Con questo ha voluto dire che dobbiamo avere il coraggio di fare questo cammino insieme, perché ogni giovane, in quanto tale, è portatore di speranza. Allora questo camminare che i vescovi delegati di tutto il mondo faranno, alla presenza di una bella rappresentanza di giovani, servirà per una prima cosa importante. Ascoltare voi, la vostra voce, i vostri desideri, le vostre ansie, i vostri pensieri più profondi, le vostre gioie, ascoltare il vostro desiderio d’amore, di ascoltare tutti i desideri più belli che voi giovani sicuramente avete nel cuore».
E dopo aver ascoltato tutte le voci raccolta dalla Segreteria del Sinodo, bisognerà compiere un’altra operazione: «Il discernimento – svela l’arcivescovo Valentinetti -. Cercare di capire, di andare in profondità, di fare spazio dentro il nostro intimo, dentro il nostro cuore, per far emergere tutte le cose più belle che ci sono. Ecco, i vescovi cercheranno di fare questo discernimento. Cercare di comprendere il buono, il bello, il vero, il santo, il magnifico, lo straordinario e tutto quanto c’è di buono c’è nel cuore di tutta la gioventù del mondo, per far sì che la Chiesa risponda a voi giovani. Ora noi, per la nostra diocesi, in questa occasione abbiamo compiuto un primo passo di avvicinamento a quella che sarà questa grande riflessione della Chiesa universale. Un secondo passo lo faremo, perché il Papa l’11 e il 12 agosto ci ha convocati a Roma per ascoltare direttamente la sua parola e poi lasceremo fare allo Spirito Santo e ai cosiddetti padri sinodali, perché facciano un cammino di discernimento e propongano delle risposte ai giovani di tutto il mondo. Sarà così? Ce lo auguriamo».