Gaudete et Exsultate: “Non abbiate paura della santità della porta accanto”
L’identikit della santità: "Saper piangere con gli altri - afferma il Pontefice -. Cercare la giustizia con fame e sete. Guardare e agire con misericordia. Mantenere il cuore pulito da tutto ciò che sporca l’amore. Seminare pace intorno a noi. Accettare ogni giorno la via del Vangelo, nonostante ci procuri i problemi»"

«Non aver paura della santità della porta accanto». È l’imperativo che fa da sfondo alla terza esortazione apostolica di Papa Francesco – dopo l’Evangelii Gaudium e l’Amoris Laetitia – “Gaudete et Exsultate”, presentata oggi presso la sala stampa vaticana: «Per un cristiano non è possibile pensare alla propria missione sulla terra senza concepirla come un cammino di santità – scrive il Papa, spiegando che i santi non sono solo “quelli già beatificati e canonizzati, ma il popolo di Dio, cioè ognuno di noi, che può vivere la santità come un itinerario fatto di piccoli gesti quotidiani -. La santità è il volto più bello della Chiesa – afferma il Papa -, ma – sulla scorta di san Giovanni Paolo II – anche fuori della Chiesa cattolica e in ambiti molto differenti lo Spirito suscita segni della sua presenza, come dimostra la testimonianza dei martiri, divenuta patrimonio comune di cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti».
Bergoglio scrive ancora quanto gli piaccia vedere la santità nel popolo di Dio paziente: «Nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli – elenca -, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante». È questa la santità della porta accanto per il Pontefice, che elogia anche il genio femminile: «Che si manifesta – precisa – in stili femminili di santità, indispensabili per riflettere la santità di Dio in questo mondo».
A tal proposito, Francesco cita Ildegarda di Bingen, Brigida, Caterina da Siena, Teresa d’Avila e Teresa di Lisieux, Edith Stein, per sottolineare che: «Anche in epoche nelle quali le donne furono maggiormente escluse – ricorda il Papa -, lo Spirito Santo ha suscitato sante il cui fascino ha provocato nuovi dinamismi spirituali e importanti riforme nella Chiesa. Ma la storia della Chiesa, la fanno anche tante donne sconosciute o dimenticate le quali, ciascuna a modo suo, hanno sostenuto e trasformato famiglie e comunità con la forza della loro testimonianza».
Successivamente, Papa Francesco ha riflettuto anche sul valore della contemplazione: «Non è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro – osserva -, desiderare il riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio». Papa Francesco, quindi, esorta a vivere la contemplazione anche in mezzo all’azione: «E a fuggire la tentazione – continua – di relegare la dedizione pastorale e l’impegno nel mondo ad un posto secondario, come se fossero “distrazioni” nel camino della santificazione e della pace interiore. No, quindi, all’ansietà, all’orgoglio, alla necessità di apparire e di dominare. In un mondo in cui tutto si riempie di parole, di piaceri epidermici e di rumori ad una velocità sempre crescente, bisogna fermare questa corsa febbrile per recuperare, attraverso il silenzio, uno spazio personale e guardare in faccia la verità di noi stessi, per lasciarla invadere dal Signore». L’altra tendenza stigmatizzata dal Papa è quella ad assolutizzare il tempo libero: «Nel quale – constata – possiamo utilizzare senza limiti quei dispositivi che ci offrono divertimento e piaceri effimeri».
Successivamente, Papa Francesco ha messo in guardia da un’altra antica eresia che, oltre allo gnosticismo, minaccia la vita della Chiesa ovvero il pelagianesimo: «Non siamo giustificati dalle nostre opere o dai nostri sforzi – ammonisce -, ma dalla grazia del Signore che prende l’iniziativa. I nuovi pelagiani, sono coloro che credono nella giustificazione mediante le proprie forze, dando luogo ad un autocompiacimento egocentrico ed elitario e si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente diversi tra loro. L’ossessione per la legge, il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l’ostentazione nella cura della liturgia, della dottrina e il prestigio della Chiesa, la vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, l’attrazione per le dinamiche di auto-aiuto e di realizzazione autoreferenziale».
Da qui la denuncia: «Molte volte, contro l’impulso dello Spirito – accusa il Santo Padre – la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in possesso di pochi. Questo accade quando alcuni gruppi cristiani danno eccessiva importanza all’osservanza di determinate norme proprie, di costumi o stili. In questo modo, gruppi, movimenti e comunità, che tante volte iniziano con un’intensa vita nello Spirito, poi finiscono fossilizzati o corrotti». Per questo, il Pontefice invita ad inquadrare tutto nell’ottica della pienezza della vita cristiana: «Esiste una gerarchia delle virtù, che ci invita a cercare l’essenziale – sottolinea – che si può riassumere in un solo precetto “Amerai il prossimo come te stesso”. In mezzo alla fitta selva di precetti e prescrizioni – l’immagine scelta da Francesco – Gesù apre una breccia che permette di distinguere due volti, quello del Padre e quello del fratello. Perché in ogni fratello, specialmente nel più piccolo, fragile, indifeso e bisognoso, è presente l’immagine stessa di Dio. Con gli scarti di questa umanità vulnerabile, alla fine del tempo, il Signore plasmerà la sua ultima opera d’arte».
E, per l’appunto, dopo il pelagianesimo Bergoglio ha definito anche il suo opposto, lo gnosticismo: «Un immanentismo antropocentrico travestito da verità cattolica – scrive -. Un elitarismo narcisista e autoritario dove, invece di evangelizzare, si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare». Un’eresia, lo gnosticismo, caratterizzata dal fascino ingannevole intriso di vanitosa superficialità: «Non mi riferisco ai razionalisti nemici della fede cristiana – precisa Papa Francesco -. Questo può accadere dentro la Chiesa, tanto tra i laici delle parrocchie quanto tra coloro che insegnano filosofia o teologia in centri di formazione, che assolutizzano le proprie teorie e obbligano gli altri a sottomettersi ai propri ragionamenti e pretendono di ridurre l’insegnamento di Gesù a una logica fredda e dura che cerca di dominare tutto. Anche qualora l’esistenza di qualcuno sia stata un disastro, anche quando lo vediamo distrutto dai vizi o dalle dipendenze, Dio è presente nella sua vita. Se ci lasciamo guidare dallo Spirito più che dai nostri ragionamenti, possiamo e dobbiamo cercare il Signore in ogni vita umana. Non possiamo pretendere che il nostro modo di intendere la verità, ci autorizzi a esercitare un controllo stretto sulla vita degli altri. Nella Chiesa convivono legittimamente modi diversi di interpretare molti aspetti della dottrina e della vita cristiana che, nella loro verità, aiutano ad esplicitare meglio il ricchissimo tesoro della Parola». Per questo, il Papa dice no ad una “pericolosa confusione”: «Che consiste – puntualizza – nel credere che, poiché sappiamo qualcosa o possiamo spiegarlo con una certa logica, già siamo santi, perfetti, migliori della “massa ignorante”». Su questo, tra l’altro, ammoniva già Giovanni Paolo II, mettendo in guardia dalla tentazione di sviluppare un certo sentimento di superiorità rispetto agli altri fedeli.
Nel terzo capitolo della Gaudete et Exsultate, Papa Bergoglio si è poi soffermato ancora una volta sullo spirito delle beatitudini, indicandole come la “Magna Charta” del cristiano: «Quando incontro una persona che dorme alle intemperie – riflette -, in una notte fredda, posso sentire che questo fagotto è un imprevisto che mi intralcia, un delinquente ozioso, un ostacolo sul mio cammino, un pungiglione molesto per la mia coscienza, un problema che devono risolvere i politici, e forse anche un’immondizia che sporca lo spazio pubblico. Oppure posso reagire a partire dalla fede e dalla carità e riconoscere in lui un essere umano con la mia stessa dignità. Questo è essere cristiani!».
Da qui l’identikit della santità: «Saper piangere con gli altri – afferma il Pontefice -. Cercare la giustizia con fame e sete. Guardare e agire con misericordia. Mantenere il cuore pulito da tutto ciò che sporca l’amore. Seminare pace intorno a noi. Accettare ogni giorno la via del Vangelo, nonostante ci procuri i problemi». Del resto, la grande regola di comportamento del cristiano, in base alla quale saremo giudicati, è quella racchiusa nel Vangelo di Matteo “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Altra situazione attuale trattata dall’esortazione apostolica Gaudete et Exsultate è quella dei migranti: «Una situazione – commenta – non marginale, o secondario rispetto ai temi “seri” della bioetica». Da questo punto di vista ha messo in guardia da due errori nocivi: «Da una parte – denuncia Francesco – ci sono quei cristiani che riducono il cristianesimo ad una “sorta di Ong”, separando le esigenze del Vangelo dalla propria relazione personale con il Signore. Nocivo e ideologico è anche l’errore di quanti vivono diffidando dell’impegno sociale degli altri, considerandolo qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato, immanentista, comunista, populista. O lo relativizzano come se ci fossero altre cose più importanti o come se interessasse solo una determinata etica o una ragione che essi difendono». Poi Francesco scende nei dettagli con un esempio concreto: «La difesa dell’innocente che non è nato deve essere chiara, ferma e appassionata – osserva -, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto».
Quindi un’altra denuncia: «Spesso si sente dire che, di fronte al relativismo e ai limiti del mondo attuale, sarebbe un tema marginale, per esempio, la situazione dei migranti. Alcuni cattolici affermano che è un tema secondario rispetto ai temi ‘seri’ della bioetica. Che dica cose simili un politico preoccupato per i suoi successi si può comprendere, ma non un cristiano a cui si addice solo l’atteggiamento di mettersi nei panni di quel fratello che rischia la vita per dare un futuro ai suoi figli». Una considerazione, quest’ultima, rafforzata dal brano del forestiero tratto dall’Esodo: «Non si tratta dell’invenzione di un Papa o di un delirio passeggero – precisa Francesco -. Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi. “Tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto”. L’invito da raccogliere è inoltre quello del profeta Isaia, che spiega come ciò che è gradito a Dio consiste nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti».
Sotto accusa anche il consumismo edonista che: «Può giocarci un brutto tiro – avverte Papa Bergoglio -, perché nell’ossessione di divertirsi finiamo con l’essere eccessivamente concentrati su noi stessi, sui nostri diritti e sull’esasperazione di avere tempo libero per godersi la vita». Da qui l’esortazione a coltivare una certa austerità: «E a lottare – invita il Papa – contro questa febbre che ci impone la società dei consumi per venderci cose, e che alla fine ci trasforma in poveri insoddisfatti che vogliono avere tutto e provare tutto. Anche il consumismo di informazione superficiale e le forme di comunicazione rapida e virtuale possono essere un fattore di stordimento che si porta via tutto il nostro tempo e ci allontana dalla carne sofferente dei fratelli. In mezzo a questa voragine attuale, il Vangelo risuona nuovamente per offrirci una vita diversa, più sana e più felice».
Una vita diversa che di dovrebbe condurre anche nel mondo virtuale: «Anche i cristiani – riconosce il Pontefice – possono partecipare a reti di violenza verbale tramite internet e i diversi ambiti o spazi di interscambio digitale. Persino nei media cattolici si possono eccedere i limiti, si tollerano la diffamazione e la calunnia e sembrano esclusi ogni etica e ogni rispetto per il buon nome altrui. Così si verifica un pericoloso dualismo, perché in queste reti si dicono cose che non sarebbero tollerabili nella vita pubblica, e si cerca di compensare le proprie insoddisfazioni scaricando con rabbia i desideri di vendetta. È significativo che a volte, pretendendo di difendere altri comandamenti, si passi sopra completamente all’ottavo “Non dire falsa testimonianza”, e così si distrugga l’immagine altrui senza pietà. Lì si manifesta senza alcun controllo che la lingua è “il mondo del male”». Ma anche contro questo male, esiste l’antidoto: «La fermezza interiore, che è opera della grazia – la ricetta del Papa – ci preserva dal lasciarci trascinare dalla violenza che invade la vita sociale, perché la grazia smorza la vanità e rende possibile la mitezza del cuore. Il santo non spreca le sue energie lamentandosi degli errori altrui, è capace di fare silenzio davanti ai difetti dei fratelli ed evita la violenza verbale che distrugge e maltratta. Non ci fa bene guardare dall’alto in basso, assumere il ruolo di giudici spietati, considerare gli altri come indegni e pretendere continuamente di dare lezioni. Questa è una sottile forma di violenza».
In definitiva, la ricetta per vivere una vita da santi è tutta interiore: «Il santo – sottolinea Papa Francesco – è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza. Il malumore non è segno di santità – aggiunge citando l’esempio di san Tommaso Moro, san Vincenzo de Paoli o san Filippo Neri -. Quella del cristiano è una sicurezza interiore, una serenità piena di speranza, che offre una soddisfazione spirituale incomprensibile secondo i criteri mondani. Non sto parlando della gioia consumista e individualista così presente in alcune esperienze culturali di oggi. Il consumismo non fa che appesantire il cuore; può offrire piaceri occasionali e passeggeri, ma non gioia. Mi riferisco piuttosto a quella gioia che si vive in comunione, che si condivide e si partecipa».
Ma Papa Francesco non ha mancato di rivolgere un pensiero anche alla Chiesa, vista come istituzione: «La Chiesa – avverte – non ha bisogno di tanti burocrati e funzionari, ma di missionari appassionati, divorati dall’entusiasmo di comunicare la vera vita. I santi sorprendono, spiazzano, perché la loro vita ci chiama a uscire dalla mediocrità tranquilla e anestetizzante. Dio è sempre novità, ci conduce là dove si trova l’umanità più ferita e dove gli esseri umani, al di sotto dell’apparenza e della superficialità e del conformismo, continuano a cercare la risposta alla domanda sul senso della vita. Dio non ha paura! Va sempre al di là dei nostri schemi e non teme le periferie. Egli stesso si è fatto periferia. Gesù ci precede nel cuore di quel fratello, nella sua carne ferita, nella sua vita oppressa, nella sua anima ottenebrata. Lui è già lì». No, quindi, al torpore e all’inerzia: «Sfidiamo l’abitudinarietà – l’invito –, apriamo bene gli occhi e gli orecchi e soprattutto il cuore, per lasciarci smuovere da ciò che succede intorno a noi e dal grido della parola viva ed efficace del Risorto».
La vita cristiana è definita dal Papa come una lotta costante contro il diavolo, il principe del male. Per provarlo il Papa, nella Gaudete et Exsultate, cita il Padre nostro, la preghiera in cui Gesù chiede al padre che “ci liberi dal Maligno”: «Espressione – chiarisce il Santo Padre – che non si riferisce al male in astratto, ma indica un essere personale. Il diavolo, dunque, non è un mito, una rappresentazione, un simbolo, una figura, un’idea. Quando la Parola di Dio ci invita esplicitamente a resistere alle insidie del diavolo, ci ricorda che il nostro cammino verso la santità è una lotta costante. Chi non voglia riconoscerlo si vedrà esposto al fallimento o alla mediocrità».
Nella sua terza esortazione apostolica, Francesco stigmatizza inoltre la corruzione spirituale: «Che è peggiore della caduta di un peccatore – puntualizza -, perché si tratta di una cecità comoda e autosufficiente dove alla fine tutto sembra lecito. L’inganno, la calunnia, l’egoismo e tante sottili forme di autoreferenzialità. Per sapere se una cosa viene dallo Spirito Santo o se deriva dallo spirito del mondo o dallo spirito del diavolo, l’unico modo è il discernimento, che non richiede solo una buona capacità di ragionare e di senso comune, è un dono che bisogna chiedere».
Infine, un pensiero rivolto ai giovani: «Tutti, ma specialmente i giovani – evidenzia il Pontefice – sono esposti a uno zapping costante. Oggi è possibile navigare su due o tre schermi simultaneamente e interagire nello steso tempo in diversi scenari virtuali. Senza la sapienza del discernimento, possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento». Il discernimento, per il Papa, serve, ad esempio, quando compare una “novità” nella nostra vita: «O quando – aggiunge – le forze del male ci inducono a non cambiare, a lasciare le cose come stanno, a scegliere l’immobilismo e la rigidità, e allora impediamo che agisca il soffio dello Spirito. Ma è necessario non solo in momenti straordinari, o quando bisogna risolvere problemi gravi, oppure quando si deve prendere una decisione cruciale». Da qui l’invito a non tralasciare di fare, ogni giorno in dialogo con il Signore che ci ama, un sincero esame di coscienza: «Il discernimento – conclude Francesco – non è un’autoanalisi presuntuosa, una introspezione egoista, ma una vera uscita da noi stessi verso il mistero di Dio, che ci aiuta a vivere la missione alla quale ci ha chiamato per il bene dei fratelli. Ci libera dalla rigidità e dalla tentazione di ripetere il passato».