L’Aquila 3.32: “Quell’ora tremenda non può arrestare il suo cuore pulsante”
"Per la comunità aquilana - scrive monsignor Petrocchi - questo è il tempo della laboriosità, della ripresa, della saggezza e della prossimità, dimensioni che debbono essere declinate al presente, ma ancora meglio in prospettiva dell’avvenire"
A L’Aquila oggi è il nono anniversario del terremoto, che alle 3.32 del 6 aprile 2009 ha distrutto il capoluogo abruzzese, e del ricordo delle sue 309 vittime celebrate attraverso la marcia a cui ha partecipato anche il sindaco di Pescara Marco Alessandrini. Una fiaccolata, organizzata dai Comitati dei familiari e dal Comune dell’Aquila, partita ieri sera alle 22.30 da via XX settembre e arrivata nella Villa comunale – dopo una sosta presso l’ex Casa dello studente – dov’è avvenuta la lettura dei 309 nomi.
Quindi la messa presieduta dall’arcivescovo dell’Aquila monsignor Giuseppe Petrocchi nella chiesa di San Giuseppe Artigiano, presso la quale ha avuto luogo anche la successiva veglia di preghiera che ha accompagnato i tanti presenti fino alle 3.32. A quell’ora i rintocchi della campana della chiesa di Santa Maria del Suffragio hanno ricordato le vittime del terremoto.
Una celebrazione intensa e commossa, anticipata ieri dal messaggio dell’arcivescovo Petrocchi: «Per la comunità aquilana – scrive – questo è il tempo della laboriosità, della ripresa, della saggezza e della prossimità, dimensioni che debbono essere declinate al presente, ma ancora meglio in prospettiva dell’avvenire».
Il presule ricorda l’orologio che batte le ore della storia dell’Aquila: «Che non è restato fermo alle 3.32 del 6 aprile 2009 – sottolinea -. Quell’ora tremenda, non estranea al misterioso disegno salvifico di Dio, sarà sempre conservata nella memoria della nostra gente, ma non può arrestare i palpiti del cuore di questa città».
Da qui le parole di incoraggiamento di monsignor Petrocchi: «Non solo riedificare le devastazioni esterne, ancora visibili – invita -, ma ricomporre le fratture interiori, provocate dal sisma. Infatti, c’è un terremoto che scuote la terra, ma c’è anche il terremoto dell’anima, che ferisce la mente, gli affetti e i rapporti interpersonali».
I verbi indicati dall’arcivescovo per la ricostruzione non sono ‘progettare’ e ‘fare’, ma ‘ascoltare’ e ‘incontrare’: «Cioè – spiega l’arcivescovo dell’Aquila -, accogliere i bisogni profondi della gente, per disporli secondo il giusto ordine di priorità, e intensificare la tessitura delle ‘relazioni convergenti’, che potenziano la coscienza fattiva di essere un’unica famiglia».
Ma il ricordo non deve scadere nella nostalgia di rimpiangere qualcosa che non potrà più essere: «L’Aquila – rilancia l’arcivescovo Petrocchi – non va ridisegnata al passato, ma pensata al futuro. Inoltre L’Aquila, che deve ‘risorgere’, non è solo quella raccolta dentro le mura, ma anche quella esterna. Cioè, allargata ai centri limitrofi che l’hanno costruita».
Il presule è comunque consapevole che alcuni dolori sono così acuti e profondi: «Che – continua – non possono essere espressi ‘parlando’. Forse la loro manifestazione più immediata e intensa è il grido. Quando è impossibile urlare, queste sofferenze restano mute. Tuttavia il grido non si azzittisce ma diventa silenzioso. Va detto, allora, che questa voce inespressa si sente lo stesso e fa stringere l’anima».
Monsignor Petrocchi ha poi ricordato tutte le vittime di questa immane tragedia: «Sia quelle stroncate dal sisma – precisa -, come anche coloro che sono decedute successivamente, a causa dei traumi del dopo-terremoto. Le grandi braccia dell’amore, cristiano ed umano, sono capaci di stringere tutti – quelli che camminano nel tempo, ma anche quelli già approdati all’eternità di Dio».
Infine, una considerazione sulla lezione fondamentale, contenuta nella dolorosa esperienza del terremoto: «Ci insegna – conclude – a puntare sull’essenziale, su ciò che conta davvero e non ci verrà mai tolto. Proprio l’amicizia, che ci lega a questi fratelli che abitano nella Casa definitiva di Dio, obbliga a rinforzare i vincoli della coesione, ecclesiale e civile, come anche a mobilitare tutte le nostre forze nella ricerca concordata del bene comune».