“Iniziamo la Quaresima con la gioia nel cuore, il Signore ci vuole così”
"A Gesù - spiega monsignor Valentinetti - non interessa quante volte noi digiuniamo, preghiamo o facciamo l’elemosina. A Gesù interessa il cuore e sia che preghiamo, digiuniamo o facciamo l’elemosina, tutto ciò dev’essere il riverbero di una scelta di vita"
Con il rito dell’imposizione delle ceneri, presieduto ieri sera dall’arcivescovo monsignor Tommaso Valentinetti nella Cattedrale di San Cetteo, anche l’arcidiocesi di Pescara-Penne è entrata nel tempo di Quaresima. Quaranta giorni da vivere al meglio, nella trazione della Chiesa Cattolica: «Un esercizio di grande combattimento nella vita interiore – esordisce il presule -, della profondità del nostro essere. Di solito, durante questo tempo, molti fanno gli esercizi spirituali. Ma perché si chiamano esercizi? Perché si ripetono alcuni gesti, alcuni passaggi importanti della vita, per avere la possibilità di ascoltare più attentamente la nostra vita interiore».
Ascoltarla praticando i gesti della preghiera, del digiuno e dell’elemosina, come scritto nel passo biblico riportato al capitolo 6 del Vangelo di Matteo: «Ma il Vangelo dice – cita l’arcivescovo – “Tutto questo non deve essere frutto di esteriorità, perché non porta alcun frutto alla vostra vita e alla vostra esistenza farlo per vanagloria”. Una polemica forte contro gli scribi, i farisei, i dottori della legge e i sacerdoti del Tempio di Gerusalemme che facevano sì un’osservanza della legge mosaica – dov’era prevista la preghiera, il digiuno e l’elemosina, ma tutto questo solo per farsi vedere dagli uomini, solo per dimostrare che avevano osservato la legge».
Ma a Gesù non interessa l’osservanza della legge: «Nel senso – precisa monsignor Valentinetti – che a Gesù non interessa quante volte noi digiuniamo, preghiamo o facciamo l’elemosina. A Gesù interessa il cuore e sia che preghiamo, digiuniamo o facciamo l’elemosina, tutto ciò dev’essere il riverbero di una scelta di vita. Quello che i teologi chiamano “opzione fondamentale”, cioè il nostro cuore è di Gesù Cristo o è di qualcun altro? È di Gesù Cristo o è delle ricchezze? È di Gesù Cristo o è di un piacere esteriore a tutto campo? È di Gesù Cristo o è, fondamentalmente, di un trascurare l’unione con lui nella profondità e nella solitudine delle preghiera? Certo, la preghiera si alimenta con dall’eucaristia domenicale, si alimenta da una dimensione partecipativa a momenti comunitari, ma guai a noi se tutto questo si riducesse a un’apparenza, a una sceneggiata, ad un metterci in mostra, perché tutto questo non ci salverebbe il cuore e se non ci salva il cuore non ci salva la vita».
Da qui il riferimento alla seconda lettura di ieri, dove San Paolo – rivolgendosi ai corinzi – afferma “Fratelli, lasciatevi riconciliare con Dio”: «Perché – precisa monsignor Tommaso Valentinetti – non siete voi gli artefici della vostra riconciliazione in quanto, mentre si trova chi è disposto a morire per un uomo dabbene, colui che era senza peccato – mentre eravamo peccatori – è morto per noi. Non dopo che ci eravamo convertiti, ma mentre eravamo peccatori. Lui muore prima della nostra conversione, la sua riconciliazione è prima del nostro pentimento. Il suo amore è di una tenerezza e grandezza infinita, che viene a scovarci dal profondo della nostra miseria, perché dai cenci della miseria Lui vuole sentire un alito di voce “O Dio ti amo”. Ma perché Tu mi hai amato per primo e questo accade nel cuore, fratelli. Accade nella profondità di questo nostro essere, di questo nostro cuore che deve purificarsi con la penitenza, con la preghiera, con il digiuno e con l’elemosina».
A questo punto, però, viene da chiedersi perché l’evangelista Matteo privilegi questi tre strumenti penitenziali: «Ce ne possono essere tanti altri – osserva l’arcivescovo di Pescara-Penne -, i padri del deserto e i maestri di ascetica hanno trovato tanti mezzi di penitenza e di conversione, ma questi tre sono importanti perché reagiscono a tre peccati fondamentali del peccato originale e alle tre tentazioni fondamentali che Gesù ha subito nel deserto. La prima è “Mangia, dì che le pietre diventino pane”, il piacere. E allora, se questa è la realtà della nostra purificazione, il digiuno. La seconda tentazione è “Prostrati davanti a me, perché se lo farai ti darò tutti questi beni”. Qui la risposta è l’elemosina, non la mia proprietà, non i miei beni, ma la condivisione. E, infine, la terza tentazione “Buttati giù, perché tanto ti raccoglieranno, esercita il tuo potere. No, rifiuto di esercitare il mio potere, io mi rimetto all’unico che ha tutto il potere, che è Dio”. E la risposta è la preghiera».
Da qui un auspicio che l’arcivescovo Valentinetti ha rivolto a tutta la comunità diocesana, per vivere al meglio la Quaresima: «Fratelli – afferma – iniziamo questo grande esercizio quaresimale con la gioia nel cuore, non strappandoci le vesti, ma profumandoci il volto così come ci ha detto la parola del Vangelo. Certo, lacerandoci il cuore – come ha detto Gioele – non le vesti e ritornando la Signore. Presentiamoci belli e ordinati davanti a Lui, perché così il Signore ci vuole. Non ci vuole né musoni, né tristi, né nella situazione di dover mostrare chissà quale penitenza stiamo facendo, ma ci vuole gioiosi, belli e sereni. Perché nella gioiosità, nella bellezza e nella serenità del cuore si esprime veramente la profondità dell’incontro con il Signore, che è gioia, bellezza e amore senza fine che, in questi giorni, spero si riversino nel nostro cuore fino a farci cantare, rinnovati pienamente, la gioia dell’alleluia pasquale».