Beatitudini: “Cammino di fede da amare per far risplendere in noi la santità di Dio”
Dobbiamo vivere questa pagina - raccomanda monsignor Valentinetti - per amore e solo per amore non tanto per correre dietro a un’osservanza. Umanamente non ce la facciamo se è una regola morale, ma se è una pagina d’amore, una pagina dentro cui la nostra povera vita insignificante e, forse, incapace di tanto amore che Dio riversa nella nostra vita allora, forse, potremo avere la presunzione di accogliere queste beatitudini, di farle nostre e soprattutto di contemplarle in tanti fratelli e in tante sorelle che sono chiamati a viverle insieme a noi. Saremo così il popolo santo di Dio"
È sull’episodio biblico del discorso della montagna che ieri l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti, ha incentrato la sua riflessione sulla solennità di Ognissanti, presiedendo la Santa messa nella Cattedrale di San Cetteo a Pescara. Una pagina, il discorso della montagna, meglio conosciuta come quella delle Beatitudini: «Un decalogo per il cristiano – esordisce il presule -, un cammino di fede da rispettare ma, forse, più che da rispettare da amare, perché è amando questa Parola e questo itinerario che si dà la possibilità a Dio di far risplendere in noi la sua santità. Sì, perché Dio solo è santo, tre volte santo così come lo proclamiamo nella dossologia (esclamazione rituale) prima della consacrazione eucaristica “Santo, santo, santo, il Signore Dio dell’Universo. I cieli e la terra sono pieni della Tua gloria”. Se possiamo sperare di vivere la santità, possiamo sperare di essere partecipi della santità di Dio, se facciamo spazio a Dio nella nostra vita».
Ma questa pagina del Vangelo non va vissuta come una regola di precetti morali: «Dobbiamo vivere questa pagina – raccomanda monsignor Valentinetti – per amore e solo per amore non tanto per correre dietro a un’osservanza, forse difficile e probabilmente irraggiungibile per tanti di noi. Chi può dire che vive serenamente la beatitudine della povertà o chi vive serenamente la beatitudine del pianto? O chi vive serenamente la beatitudine della purezza di cuore, dell’essere affamati e assetati di giustizia o della misericordia? Umanamente non ce la facciamo se è una regola morale, ma se è una pagina d’amore, una pagina dentro cui la nostra povera vita insignificante e, forse, incapace di tanto amore che Dio riversa nella nostra vita allora, forse, potremo avere la presunzione di accogliere queste beatitudini, di farle nostre e soprattutto di contemplarle in tanti fratelli e in tante sorelle che sono chiamati a viverle insieme a noi. Saremo così il popolo santo di Dio, saremo quel popolo di figli di Dio e lo siamo realmente».
Raccontando, poi, un aneddoto legato a due gemelli in attesa di nascere, l’arcivescovo Valentinetti ha paragonato il parto a ciò che accadrà alla fine dei tempi: «Dice San Giovanni apostolo – cita – “Siamo figli di Dio, ma ciò che saremo alla fine non è stato ancora rivelato”. E mi viene in mente la bellissima parola di San Paolo “La creazione stessa attende con impazienza nelle doglie del parto. Essa non è la sola. Fino a quando questa creazione di cui facciamo parte sarà partorita davanti a Dio, allora sì, Dio lo vedremo faccia a faccia così come Egli è. Ed Egli, finalmente, farà brillare la sua santità anche su di noi”. Quando anche noi usciremo da questo parto della terra per entrare dentro quella luce infinita, senza nessun ombra, anche noi piangeremo di gioia».
Al termine della celebrazione eucaristica, il presule non ha mancato di stigmatizzare e prendere le distanze dalla festa di Halloween che pur cadendo in coincidenza della solennità di Ognissanti e della commemorazione dei defunti, non ha nulla a che vedere con queste due ricorrenze: «Non è una festa nostra – ammonisce l’arcivescovo Valentinetti -, né tantomeno è una festa cattolica. È una festa celtica, trasmigrata poi negli Stati Uniti d’America. Fin quando si tratta di “dolcetto o scherzetto” potrebbe anche essere tollerata, ma dietro Halloween – se si scava più in profondità – qualcuno potrebbe anche trovare qualcosa di non bello, di demoniaco. E allora, bisogna stare attenti, bisogna vigilare prima di tutto perché questa tradizione non ci appartiene e soprattutto perché i giovani non vivano cose che non devono vivere, tanto meno i ragazzi. Tutta questa manifestazione di zucche forate, mantelli scuri e candele strane, non sono appropriati per vivere la festa dei santi e la commemorazione dei defunti. Siate vigilanti, ci sono lupi rapaci vestiti con pelli d’agnello e al pastore, qualche volta, tocca indicare tutto questo».