Unicef: “Nei Paesi in guerra i bambini subiscono abusi di ogni tipo”
"Alcuni bambini – afferma Gianfranco Rotigliano, responsabile del gruppo di lavoro per i migranti e i rifugiati dell’Unicef – sono reclutati come soldati, moltissime bambine invece sono rapite per diventare schiave del sesso. In posti dove l’Unicef non riesce ad entrare, come la Libia o il Niger, sappiamo che i bambini imprigionati subiscono ogni forma di violenza"
I numerosi conflitti in corso contano milioni di bambini come vittime di abusi di diverso tipo. Il tema è stato affrontato questa mattina durante la conferenza “Children victims of armed conflicts”, promossa dal Sovrano ordine di Malta e dall’ambasciata della Repubblica Ceca presso la Santa Sede.
Il rappresentante speciale del Segretario generale dei migranti e rifugiati del Consiglio d’Europa, Tomas Bocek, ha sottolineato che i bambini sono particolarmente vulnerabili nelle varie situazioni di crisi oggi in atto: «È chiaro – dichiara – che non è più una situazione temporanea, ma una emergenza continua. La prossima sfida, per la comunità internazionale ed europea, è quella di migliorare il programma di protezione per i bambini vittime dei conflitti».
Del resto, a suo dire, i bambini vittime delle guerre non hanno speranza nel futuro e non sempre i programmi per proteggerli sono risultati sufficienti: «Alcuni bambini – afferma Gianfranco Rotigliano, responsabile del gruppo di lavoro per i migranti e i rifugiati dell’Unicef – sono reclutati come soldati, moltissime bambine invece sono rapite per diventare schiave del sesso. La serie di obiettivi che l’Unicef si pone per arginare questa emergenza è composta dalla promozione dell’adesione agli standard internazionali di norme, il controllo dei meccanismi, la prevenzione del reclutamento dei bambini, il supporto per far scappare dalla prigionia e il successivo supporto psicologico».
Durante la tavola rotonda incentrata sul processo di ricostruzione e integrazione, l’ambasciatrice straordinaria e plenipotenziario del Mozambico in Italia, Maria Manuela dos Santo Lucas, ha parlato dell’esperienza vissuta nel Paese africano: «In Mozambico – ricorda –, dopo i conflitti degli anni 90, è stato veramente difficile ricostruire il Paese e riabilitare i bambini vittime. Il 40% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Grazie all’aiuto di alcune organizzazioni internazionali, fra cui l’Unicef e l’Unesco, cerchiamo di costruire una cultura della pace, una lingua della pace».
Nel mondo 230 milioni di bambini vivono in paesi dove sono in atto conflitti, 30 milioni invece sono sfollati. Ma oltre ai numeri impressionanti, a preoccupare l’Unicef è l’incapacità della comunità internazionale di attivarsi per prevenire gli abusi sull’infanzia: «In Italia – osserva Rotigliano a margine dell’incontro – vediamo alcuni conflitti, come la Siria, più di altri. Ma ci sono guerre in altre aree, ad esempio, Repubblica Centro africana, Sud Sudan, una parte del Bangladesh e Niger. In posti dove l’Unicef non riesce ad entrare, come la Libia o il Niger, sappiamo che i bambini imprigionati subiscono ogni forma di violenza. È difficile sanare questa situazione, è difficile lavorare in Africa dove i trafficanti riescono a convincere le famiglie a far partire i bambini».
Il rappresentante dell’Unicef ha poi elencato le sei peggiori violazioni oggi perpetrate ai danni dei bambini, su cui l’organizzazione compie un report annuale per le Nazioni Unite. Si va dall’uccisione e le mutilazioni al reclutamento di bambini e agli stupri, dagli attacchi a scuole ed ospedali fino alla negazione di accessi umanitari: «Sono violazioni che vediamo tutti i giorni – commenta -. Anche ai tempi della guerra in Bosnia chiedevamo corridoi umanitari per vaccinare i bambini, ma le parti in causa non hanno interesse perché vogliono tenere sotto pressione le comunità».
Altro dramma è la mancanza di istruzione che, secondo Rotigliano, sarebbe invece una possibilità in più affinché quei bambini non abbraccino in futuro un fucile: «La coscienza nel mondo non esiste – prosegue -. Quando la gente vede il corpo di un bambino sulla spiaggia si commuove, ma lo fa per emotività non per un senso etico. Bisogna invece investire per proteggere i bambini e non solo a parole. Il mondo non dà abbastanza, solo quattro o cinque Paesi danno lo 0,7 del Pil all’Unicef. La cosa migliore sarebbe portare la gente a vedere i drammi dei conflitti per capire e prendere le decisioni».
L’unico modello positivo, oggi, è considerato quello offerto da Papa Francesco: «Questo Papa – conclude – è grandioso, ce ne fossero altri sette così o anche altri sette leader come lui, andremmo più lontano».