L’Aquila: “Rafforzata dal sisma, ma occorre tenere viva la speranza”
La partita decisiva non si gioca solo sul terreno del semplice rifacimento murario: "Ma sul campo - sottolinea l’arcivescovo dell’Aquila - dell’edificazione migliorativa della propria identità, spirituale e sociale. Se L’Aquila vedesse ricostruiti i suoi edifici, ma non salvasse la sua cultura, cristiana e umana, cambierebbe inesorabilmente la sua fisionomia. Non sarebbe più L’Aquila, si trasformerebbe in una città senz’anima, un termitaio urbano"
«L’Aquila esce rafforzata dalla prova, ma occorre mantenere viva nella popolazione la fiamma di una fondata speranza». Lo afferma l’arcivescovo monsignor Giuseppe Petrocchi, in un messaggio in occasione dell’ottavo anniversario del terremoto (6 aprile 2009), ricevuto ieri mattina dall’agenzia di stampa Sir.
Il sisma causò 309 vittime, ma le sequenze di scosse susseguitesi dal 26 agosto 2016 a poche settimane fa, lo rendono di lacerante attualità: «Oltre a quelle geologiche – osserva il presule -, esistono anche “faglie” psicologiche e sociali, sismiche pure esse! A lungo andare, possono generare la sindrome del terremoto con l’incertezza che, come nube tossica, rischia di avvolgere l’esistenza (individuale e collettiva) rendendola precaria; così come, l’esposizione rischio imprevedibile e incombente, può far apparire l’avvenire oscuro e inaffidabile».
Per questo, a detta del presule aquilano, è di vitale importanza mantenere viva, nella popolazione, la fiamma di una fondata speranza: «La sofferenza degli aquilani – assicura Petrocchi – non è stata vana. Rifluirà, come grazia, sulla città e susciterà nuovi germogli di vita anche altrove».
L’arcivescovo ha poi affermato di aver pensato il messaggio per la Pasqua, avendo sullo sfondo proprio le vicende scritte dal terremoto sulle pagine della nostra storia. Di qui l’invito a leggere, secondo il Vangelo, i fatti dell’esistenza sapendo scoprire i doni di Dio, anche negli episodi segnati da una sfibrante amarezza: «L’Aquila – aggiunge monsignor Petrocchi – esce rafforzata dalla prova. Come un organismo che, avendo superato un evento infettivo, si dota di anticorpi e sviluppa un sistema immunitario più robusto. La nostra gente è stata duramente colpita, ma non è stata sconfitta e testimonia che la vita ha la meglio sulla logica della disfatta e della morte. Per questo, dalla cattedra della croce, L’Aquila può offrire lezioni di coraggio e di fattiva prossimità a coloro che sono stati visitati dalle stesse ustionanti calamità».
Tuttavia, la partita decisiva non si gioca solo sul terreno del semplice rifacimento murario: «Ma sul campo – sottolinea l’arcivescovo dell’Aquila – dell’edificazione migliorativa della propria identità, spirituale e sociale. Se L’Aquila vedesse ricostruiti i suoi edifici, ma non salvasse la sua cultura, cristiana e umana, cambierebbe inesorabilmente la sua fisionomia. Non sarebbe più L’Aquila, si trasformerebbe in una città senz’anima, un termitaio urbano». Di qui il compito, per tutti gli aquilani, di salvaguardare questo patrimonio straordinario, religioso e culturale.