Galantino: “Siate educatori con uno sguardo di misericordia”
"Oggi - sottolinea monsignor Galantino - accettare il compito educativo significa, anche, incontrare una fragilità che appare sempre più pervasiva, dilagante e angosciante. Ho paura di quei preti e di quei vescovi che non sanno sopportare la fragilità. Attenzione a fare i maestrini perché i ragazzi se ne accorgono e vanno via, vanno altrove"

«Una Chiesa in uscita non è quella che nei confronti dei giovani va chissà dove, ma è quella che si rifiuta di creare isole di duri e puri che ce la fanno anche in mezzo a mille guai. Chiesa in uscita è quella che sa essere grembo accogliente, che rigenera proprio là dove la vita è già compromessa dal peccato, dalla stanchezza e dalla sfiducia».
Lo ha detto monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, celebrando lunedì sera a Bologna la messa a chiusura della prima giornata del XV Convegno nazionale di pastorale giovanile sul tema “La cura e l’attesa”.
Nella sua riflessione monsignor Galantino è partito dal recente fatto di cronaca del sedicenne Giò, suicidatosi a Lavagna qualche giorno fa, e dal tormento della madre: «Chissà – osserva il presule – quante lacrime miste a impotenza avrà versato prima di chiedere aiuto. Oggi accettare il compito educativo significa, anche, incontrare una fragilità che appare sempre più pervasiva, dilagante e angosciante. Non vogliamo certo essere pessimisti e pensare l’educazione solo in termini drammatici, ma non vogliamo nemmeno essere ingenui e chiudere gli occhi sulle fatiche di crescere oggi. Ho paura di quei preti e di quei vescovi che non sanno sopportare la fragilità. Ho paura di questa gente che ha escluso la fragilità dalla loro vita».
Con queste parole, il segretario generale della Cei ha anche sottolineato come ci siano persone e anche qualche movimento ecclesiale che creano isole di duri e puri: «Da dove viene tutta questa presunzione? – s’interroga monsignor Galalantino – Attenzione a fare i maestrini perché i ragazzi se ne accorgono e vanno via, vanno altrove».
Successivamente, il segretario dei vescovi italiani si è rivolto ai 700 partecipanti al convegno giunti da 165 diocesi: «Siate persone – esorta – che vivono la cura nei confronti dei giovani come un’esperienza di fede pasquale. Soltanto se riuscirete a guardare al vostro compito con la speranza nella vita e con gli occhi del Risorto, ne sarete testimoni credibili; guardando ai vostri giovani con gli occhi di Gesù. Che il Signore vi doni, prima di ogni carisma educativo o di ogni capacità di intrattenimento, di avere questo sguardo di misericordia: è l’unico capace di pazienza, di ascolto e di attesa. È l’unico che, davvero, crede nella vita e la fa crescere nella storia».
Per il vescovo, la sfida più grande è quella di trasformare la fragilità dei giovani in “luogo teologico” di annuncio della salvezza: «Quante volte mi è capitato di sentire (anche quando ero parroco) le lamentele di chi avrebbe voluto incontrare solo ragazzi e giovani già formati, pienamente inseriti in una vita di fede. La più classica delle espressioni è quella di chi si lamenta così “Non sanno fare nemmeno il segno della croce”».
Da qui l’esortazione a guardare ai giovani “con gli occhi di Gesù”: «Il Signore – conclude – vi doni di essere segno di ascolto profondo, di avere un cuore pieno di compassione per le fatiche a cui va incontro ogni figlio di questo mondo, nello sforzo di crescere e diventare grande».