Ceam: “Nove verbi per sognare il futuro di famiglie, giovani e poveri”
"Si tratta di segni di un unico sogno - sottolinea monsignor Forte -, passi di un’unica storia di fede e di amore, che non intende occupare spazi, ma con l’aiuto di Dio e nel soffio dello Spirito intende avviare processi di vita e di speranza nuove per tutti"

Nove verbi sono emersi dai tavoli di lavoro del Convegno regionale della Chiese d’Abruzzo e Molise sul tema “Sognate anche voi questa Chiesa. Con l’Evangelii Gaudium verso famiglia, giovani e poveri”, conclusosi sabato al Grand Hotel Adriatico di Montesilvano alla presenza di 300 delegati, raccolti nella relazione finale curata dal presidente della Conferenza episcopale abruzzese e molisana monsignor Bruno Forte.
Verbi ispirati dai contenuti delle esortazioni apostoliche di Papa Francesco Evangelii Gaudium e Amoris Laetitia, che equivalgono a vere e proprie linee programmatiche per ciascuno dei tre ambiti al centro del confronto.
A proposito della famiglia, il primo dei tre verbi chiave, da tener presente e tradurre in realtà, è evangelizzare: «In una società – spiega il presule – dove la cultura del provvisorio e la paura del definitivo sembrano scoraggiare specialmente i giovani dal mettere in atto un progetto di vita familiare, occorre proporre in tutte le forme e occasioni la buona novella che la famiglia rappresenta come tale. Le famiglie sono una risorsa per tutta la società come per la comunità ecclesiale. Specialmente ai coniugi cristiani diciamo: impegnatevi a dire con le parole e con la vita che fare famiglia è bello, anche quando può essere difficile, che ne vale la pena e che i benefici di una unione fedele e feconda fra gli sposi, sono immensamente più grandi che quelli di una convivenza che apparentemente tuteli di più la libertà di ciascuno».
Il secondo verbo è accompagnare: «I giovani che si preparano al matrimonio – aggiunge monsignor Forte -, le giovani coppie di sposi e in generale le famiglie non vanno lasciati soli, ma accompagnati con fede, fiducia e fedeltà. Cura centrale delle nostre scelte pastorali deve essere quella di fare delle famiglie al tempo stesso l’oggetto prioritario e il soggetto imprescindibile del nostro impegno di Chiesa. A tutti i livelli occorre riconoscere spazio e protagonismo alla realtà delle famiglie, accogliendo anche quanti hanno fatto esperienza del fallimento dell’amore o vivono in situazioni di famiglie ferite».
Il terzo verbo, per l’ambito famiglia, è integrare: «Nessuna famiglia o persona singola – sottolinea l’arcivescovo di Chieti-Vasto – deve sentirsi esclusa dalla Comunità ecclesiale. Va fuggita ogni forma di “cerchio magico” intorno ai pastori, impegnando i più vicini a farsi promotori e attori della accoglienza di tutti e dei processi necessari affinché ciascuno sia integrato nella maniera più piena e feconda nella vita di tutta la comunità».
Riguardo all’ambito giovani, il primo dei tre verbi da mettere in atto è ascoltare: «I giovani – osserva monsignor Bruno Forte – si lasciano coinvolgente liete da chi li avvicina con rispetto e amore. Vogliono essere ascoltati, senza pregiudizi e senza paure. Vogliono dire la loro e sapere che chi li ascolta è pronto a mettersi in gioco con e per loro, senza ipocrisie e paternalismi. Una Chiesa che ascolta è una Chiesa vicina, amica, attraente e coraggiosa».
Il secondo verbo relativo all’universo giovanile è provocare: «I giovani – riconosce il presidente della Ceam – amano chi li sfida a orizzonti più alti, a mete più grandi. Ciò va fatto con umiltà e molto amore. Come dice il termine, si provoca se si chiama qualcuno in nome e a favore di un altro: se quest’altro è Cristo annunciato con la parola e l’eloquenza della vita, difficilmente i giovani resteranno indifferenti. Essi non chiedono proposte al ribasso o contrattazioni a buon mercato: ciò che domandano è autenticità, credibilità e impegno d’amore disinteressato in chi li provoca».
Coinvolgersi è il terzo verbo legato alla tematica giovanile: «I giovani – ammonisce l’arcivescovo – non vogliono maestri che insegnino dall’alto di una cattedra, ma testimoni che li affianchino o li precedano in maniera convincente, coinvolgendo se stessi in ciò che vivono con e per i giovani. Vale specialmente per i giovani ciò che diceva Paolo VI nella Evangelii nuntiandi al n. 41 “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri. E se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”. Il testimone vive ciò che dice, si coinvolge, precede, accompagna, condivide. La condivisione, che non ignora ma valorizza nella reciprocità le differenze di carismi e di servizi, deve essere lo stile di chiunque si impegni nella pastorale giovanile».
Riguardo ai poveri, infine, la prima delle tre scelte da fare è conoscere le situazioni: «La povertà – ricorda il presule – non è una condizione statica o uguale dappertutto. Ci sono povertà fisiche e povertà spirituali, povertà materiali e povertà culturali. Ci sono poveri fa i giovani e gli adulti, fra i bambini e gli anziani. L’osservatorio delle povertà è per l’azione delle Caritas e di tutta la Chiesa il presupposto necessario per vivere una carità intelligente, rispettosa ed efficace».
Il secondo verbo legato al tema dei poveri è personalizzare: «Personalizzare – precisa Forte – vuol dire mettere al centro la persona, nella piena consapevolezza che il povero non è un oggetto né tanto meno un sacco da riempire, ma una persona umana, immagine di Dio da rispettare, promuovere, amare. Spesso l’azione più efficace che si può fare per un povero, è aiutarlo a riscoprire la propria dignità e le proprie possibilità represse o ignorate».
Il terzo e ultimo verbo legato ai poveri è quindi condividere: «Ogni intervento verso i poveri – invita l’arcivescovo Forte – va inteso come una condivisione reciproca e uno scambio. Non c’è nessuno così povero che non abbia qualcosa da offrire all’altro, nell’atto stesso del ricevere. Ogni intervento sulla povertà e a favore dei poveri è in realtà uno scambio di cui occorre essere ben consapevoli: sta in questa consapevolezza la vera differenza fra la beneficenza, che mantiene le distanze e crea o vuol creare dipendenze e clientelismi, e la carità in cui dando si riceve e chi riceve e chi da si arricchiscono reciprocamente».
Così l’insieme di questi nove verbi, riferiti a gruppi di tre ai tre ambiti della riflessione, disegna il sogno che le Chiese d’Abruzzo e Molise vorrebbero sognare insieme, con e per il suo popolo: «Si tratta di segni di un unico sogno – ribadisce il presidente della Ceam -, passi di un’unica storia di fede e di amore, che non intende occupare spazi, ma con l’aiuto di Dio e nel soffio dello Spirito intende avviare processi di vita e di speranza nuove per tutti».
Nove segni come le nove luci del candelabro di ḥănukkāh, la festa dell’inaugurazione del tempio e dunque del nuovo inizio, della luce che viene e cresce a diradare le tenebre: «Con gesto simbolico – conclude monsignor Forte – abbiamo acceso anche noi le luci di ḥănukkāh, tre per ognuno dei tre ambiti di riflessione e dei verbi corrispondenti, a significare che da questo Convegno le nostre Chiese d’Abruzzo e Molise e ciascuno di noi, ripartiamo con nuovo slancio e gioia per far risplendere in noi e portare a tutti la vera luce che illumina il mondo, Cristo Signore».