Maternità surrogata: “Non basta provare affetto per essere genitori”
"Chiediamo che venga ora calendarizzata - esorta Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la vita - la nostra proposta di legge, perché il reato di maternità surrogata sia perseguibile anche se commesso all’estero. È l’unico modo per porre finalmente fine a un turpe traffico e allo sfruttamento di donne in condizioni di bisogno"
Si susseguono le reazioni alla sentenza emessa ieri dalla Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo la quale la relazione tra i ricorrenti e il bambino non rientra nell’ambito della vita familiare. Il pronunciamento si riferisce al caso “Paradiso-Campanelli contro Italia”.
La vicenda riguarda una coppia italiana residente nella provincia di Campobasso, recatasi in Russia nel 2011: attraverso una società privata, la coppia sposata aveva ottenuto da una “madre surrogata” un bambino, che non ha alcun legame biologico con la coppia stessa.
Secondo la legge russa, la coppia ha potuto registrare il bambino come proprio figlio, ma al rientro in Italia, il tribunale si è rifiutato di registrare il bambino come figlio della coppia e, dopo avere appurato che non esisteva alcun legame biologico, aveva disposto che il bambino venisse sottratto alla cura dei ricorrenti (in quel momento il bambino aveva circa otto mesi), affidandolo poi in adozione a un’altra famiglia.
La sentenza di ieri, tra l’altro, ha ribaltato una sentenza precedente della Corte del gennaio 2015: essa affermava che la sottrazione del bambino alla prima coppia aveva violato l’articolo 8 della Convenzione sui diritti dell’uomo (diritto alla vita privata e familiare), non tenendo conto dell’interesse superiore del bambino.
Il nuovo pronunciamento afferma invece che la magistratura italiana aveva agito proprio nel superiore interesse del bambino, ponendo inoltre di fatto un freno alla pratica della maternità surrogata: «È una sentenza importante – commenta Laura Palazzani, docente di Filosofia del diritto all’Università Lumsa di Roma e vice presidente del Comitato nazionale per la bioetica, intervistata dall’agenzia di stampa Sir – che non ci dice tutto sui limiti di liceità della maternità surrogata, ma che almeno pone dei paletti. Si tratta di un pronunciamento di notevole rilievo, anche perché è una sentenza definitiva che fa giurisprudenza a livello internazionale».
Secondo la professoressa Palazzani, si stabilisce anzitutto un limite al turismo procreativo: «Secondo il quale – spiega – una coppia che ha avuto un bambino all’estero mediante la maternità surrogata (proibita nel proprio Paese), tornava in patria con la quasi automatica certezza del riconoscimento del bambino nato come proprio figlio».
Altrettanto interessante il fatto, secondo l’esperta di bioetica, che la Grande Chambre abbia stabilito che non c’è, in questo caso, violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, che tratta del diritto al rispetto della vita privata e familiare: «Il pronunciamento – osserva la docente di Filosofia del diritto all’Università Lumsa – va nella direzione della protezione dell’interesse superiore del bambino, riconoscendo che vi sono condizioni minime per stabilire quando sussista un legame familiare, identificate nella presenza di un legame biologico e nella conformità alla legislazione internazionale dell’adozione. Questi sono ritenuti requisiti minimi per evitare l’incertezza e precarietà giuridica dei legami genitori/figli. Non basta provare affetto e vivere per qualche tempo con un bambino per essere riconosciuti genitori».
In Italia anche il Movimento per la vita ha espresso soddisfazione per la sentenza europea: «La sentenza della Grande Chambre della Cedu sulla maternità surrogata – afferma il presidente nazionale Gian Luigi Gigli -, può essere solo salutata con speranza, come garanzia di una prospettiva giuridica di civiltà, in opposizione alla cultura dei desideri individuali. È bene ribadirlo: la genitorialità non può essere un diritto o una pretesa».
Normalmente, a detta di Gigli, si diviene genitori per ragioni biologiche: «L’eccezione – aggiunge – non può essere l’utero in affitto o l’acquisto di gameti, ma l’adozione effettuata solo nell’interesse del bambino e non per la soddisfazione degli aspiranti genitori. Chiediamo che venga ora calendarizzata la nostra proposta di legge, perché il reato di maternità surrogata sia perseguibile anche se commesso all’estero. È l’unico modo per porre finalmente fine a un turpe traffico e allo sfruttamento di donne in condizioni di bisogno».
Infine, anche la Federazione europea delle associazioni delle famiglie cattoliche (Fafce) ha accolto positivamente la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: «Una decisione – sostiene Antoine Renard, presidente Fafce – che rafforza la protezione dei bambini e manda un chiaro segnale contro la maternità surrogata e il traffico di esseri umani. È molto positivo che la Corte riconosca il diritto degli Stati a non legittimare gli accordi di surrogazione, confermando la necessità di difendere i diritti dei figli nati da maternità surrogate e fermare l’attuale pericolosa tendenza verso un “diritto al figlio”».
Così la Corte proibisce l’adozione privata fondata su una relazione contrattuale tra gli individui: «Restringendo il diritto dei genitori adottivi di portare minori stranieri in Italia – conclude il presidente del Fafce -, ai casi in cui le regole internazionali sull’adozione sono rispettate. Positivo che il legislatore italiano abbia voluto proteggere i minori da pratiche illegali, alcune delle quali possono essere definite come traffico di esseri umani. La sentenza è un incoraggiamento a proseguire nella lotta contro la maternità surrogata».