Aperto un corridoio umanitario per salvare 500 profughi africani
"I corridoi umanitari - interviene Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio - non sono più in fase di sperimentazione, ma sono diventati un modello di difesa e di attenzione ai diritti umani e una modalità di risposta ad un fenomeno tipico del ventunesimo secolo come quello delle migrazioni"
È stato siglato ieri al Ministero dell’Interno il protocollo d’intesa tra Viminale, Ministero degli Esteri, Conferenza episcopale italiana e Comunità di Sant’Egidio, per l’apertura di un corridoio umanitario con l’Etiopia per 500 profughi provenienti da Eritrea, Somalia e Sud Sudan: «Da quando c’è l’otto per mille – ricorda monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei – la Chiesa italiana, euro più euro meno, destina almeno tra gli 80 e i 155 milioni di euro all’anno per progetti in aiuto di quelle terre da dove provengono i nostri immigrati. La Chiesa italiana alle parole fa precedere e fa seguire i fatti».
Da qui le parole di gratitudine rivolte dal vescovo alla Comunità di Sant’Egidio: «Perché insieme – continua monsignor Galatino – non dico che scriviamo una pagina nuova – si tratta di un’esperienza che è stata già fatta – ma di sicuro, con questa firma, diamo un impulso molto più ampio in tutti i sensi e a tutti i livelli perché si capisca che un fenomeno complesso come l’immigrazione non può essere lasciato in mano a coloro che semplificano. Dove ci sono volti, problemi, ma anche attese e speranze, non si può lasciare il tema dell’immigrazione in mano soltanto ad alcuni che tendono a sottolineare il drammatico che esiste».
Insomma, a detta del presule, dall’immigrazione vengono problemi, ma anche stimoli positivi: «E i corridoi umanitari – sottolinea Galantino – sono una risposta non diretta, ma direttissima, a coloro i quali dicono “aiutiamoli dove stanno”».
Ma del resto, l’impegno della Chiesa italiana sul versante dell’immigrazione non è una novità di oggi: «Già prima dell’otto per mille – precisa il segretario generale della Conferenza episcopale italiana – c’erano i nostri missionari e prima che si aprissero i corridoi umanitari già arrivavano gli immigrati, ad esempio negli ospedali, e venivano già aiutati. Iniziative come questa, sono rese possibili grazie all’otto per mille che la gente, grazie a Dio, continua a dare alla Chiesa italiana».
Il corridoio umanitario aperto ieri, trae origine dalla drammatica situazione che vivono gli abitanti di questi Paesi africani: «Parliamo tanto, e a ragione, – afferma monsignor Nunzio Galantino – di profughi siriani e iracheni, ma la situazione in Eritrea, Somalia e Sud Sudan è drammatica. Dall’Eritrea, dalla Somalia e dal Sud Sudan ne arrivano pochi perché muoiono già per strada».
L’Etiopia, in particolare, è il luogo di arrivo e di partenza per i profughi eritrei e somali: «Il protocollo firmato oggi, il primo siglato dalla Cei in questa materia, – precisa il presule – riguarda 500 persone che sono state selezionate dalle autorità “in loco”, ma la nostra rete di Caritas e Migrantes è già pronta a continuare l’accoglienza».
A tal proposito, il vescovo ha citato l’accoglienza dimostrata da parrocchie e famiglie: «Sono 30 mila – annuncia il segretario generale dei vescovi italiani – i profughi già accolti in Italia tramite la realtà delle parrocchie o famiglie, direttamente e indirettamente collegate con esse».
Interpellato dai giornalisti rispetto ai tempi necessari, una volta che i profughi sono arrivati a destinazione grazie ai corridoi umanitari, per ricevere lo “status” di rifugiati tramite la richiesta ai Consolati e l’intervento poi del Ministero degli Esteri, Galantino ha risposto che: «La passione e l’impegno con cui si mettono in atto tali procedure fanno sì che non siano troppo lunghi, al massimo qualche mese – ipotizza pur non potendo generalizzare».
E anche il Ministero dell’Interno, ha espresso parole di riconoscenza nei confronti della Chiesa italiana: «Un grazie alla Cei – afferma il prefetto Mario Morcone, capo dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del ministero dell’Interno, ricordando come quella in essere sia una sperimentazione portata avanti con la Comunità di Sant’Egidio e con le comunità evangeliche, da qualche mese, e che adesso si apre con l’intervento della Cei, dall’innegabile valore politico – per aver contribuito a scrivere un’altra bella pagina. Stiamo costruendo un percorso che consentirà, per adesso, a 500 persone di arrivare nel nostro Paese in condizioni di legalità e sicurezza».
L’auspicio di Morcone è che questa iniziativa possa allargarsi sempre di più: «Quale modalità meno brutale – auspica il prefetto – per offrire un’opportunità di vita migliore alle persone che vivono in un quadrante del mondo completamente stravolto, come quello africano».
Ma per la Comunità do Sant’Egidio, i corridoi umanitari rappresentano già una realtà consolidata: «Non sono più in fase di sperimentazione – interviene Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio -, ma sono diventati un modello di difesa e di attenzione ai diritti umani e una modalità di risposta ad un fenomeno tipico del ventunesimo secolo come quello delle migrazioni».
Da Sant’Egidio è arrivato un grazie alla Cei che, oltre alle risorse dell’otto per mille, mette a disposizione l’intelligenza, la passione, l’umanità per queste persone: «Le persone che sostengono l’otto per mille – osserva Impagliazzo – sono gli stessi italiani che si mettono a disposizione per offrire le loro case, le loro strutture, per accogliere e integrare i nuovi arrivati come cittadini».
Per questo, il presidente di Sant’Egidio ha parlato di una vera e propria gara di solidarietà per l’accoglienza: «Ci sono tantissimi cittadini – spiega – che non ne possono più di vedere le persone morire in mare, o le persone sfruttate dai trafficanti di morte».
Di corridoi umanitari come idea europea ha parlato infine Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, informando che quest’ultima sta prendendo accordi anche con la Francia, dopo l’intesa firmata con i valdesi per un corridoio umanitario in Libia.