“Sogno un nuovo umanesimo europeo di memoria, coraggio e sana utopia”
"Il tempo - sottolinea il Papa - ci sta insegnando che non basta il solo inserimento geografico delle persone - ammonisce -, ma la sfida è una forte integrazione culturale. Questo lavoro è fondamentale e non rinviabile, a partire dalla consapevolezza che – come si legge nell’Evangelii gaudium – “il tutto è più delle parti” e dalla capacità di “lavorare per allargare lo sguardo”
È stato consegnato a Papa Francesco, stamani nella Sala Regia del Palazzo apostolico vaticano, il Premio Carlo Magno 2016: il prestigioso riconoscimento internazionale che dal 1950 viene conferito annualmente a personalità che si sono particolarmente distinte a favore dell’integrazione, dell’unità e della pace in Europa. Prima di Francesco un solo Papa ha avuto questa onorificenza: Giovanni Paolo II nel 2004.
Il premio è stato consegnato alla presenza delle più alte cariche europee ed italiane, in prima fila il premier Matteo Renzi e Federica Mogherini, alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e vicepresidente della Commissione europea. Presente, tra gli altri, anche il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi.
A consegnare il premio a Papa Francesco sono stati il sindaco di Aquisgrana Marcel Philipp e Juergen Linden della Fondazione Carlo Magno. I discorsi ufficiali sono tenuti da Martin Schulz, Jean-Claude Juncker e Donald Tusk, presidenti dell’Europarlamento, della Commissione e del Consiglio europeo.
Ha partecipato all’evento anche la cancelliera Angela Merkel, che poco prima il Papa ha ricevuto in Vaticano: «Con la mente e con il cuore – auspica il Pontefice, intervenendo dopo aver ricevuto il premio -, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo, un costante cammino di umanizzazione, cui servono memoria, coraggio, sana e umana utopia».
Questo il paragrafo finale del discorso del Santo Padre, in cui sognare è il verbo ricorrente insieme ad osare: «Sogno un’Europa giovane – aggiunge Papa Bergoglio -, capace di essere ancora madre. Una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita. Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza, perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa, in cui essere migrante non sia delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile. Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia».
E alla rinascita di un’Europa affaticata ma, a detta del Papa, ancora ricca di energie e di potenzialità, può e deve contribuire la Chiesa: «Perché – spiega il Sommo Pontefice – solo una Chiesa ricca di testimoni, potrà ridare l’acqua pura del Vangelo alle radici dell’Europa».
Nell’ultima parte del discorso per il conferimento del Premio Carlo Magno, il Papa si è soffermato sul “compito” della Chiesa per il nostro continente, che coincide con la sua missione: «L’annuncio del Vangelo – ricorda Papa Francesco -, che oggi più che mai si traduce soprattutto nell’andare incontro alle ferite dell’uomo, portando la presenza forte e semplice di Gesù, la sua misericordia consolante e incoraggiante. Dio desidera abitare tra gli uomini, ma può farlo solo attraverso uomini e donne che, come i grandi evangelizzatori del continente, siano toccati da Lui e vivano il Vangelo, senza cercare altro».
Questo il percorso indicato dal Papa, secondo il quale: «Il cammino dei cristiani verso la piena unità – sottolinea il Santo Padre – è un grande segno dei tempi, ma anche l’esigenza urgente di rispondere all’appello del Signore perché tutti siano una sola cosa».
Ma al di là dei cristiani, Francesco si è soffermato a ridefinire il concetto stesso d’Europa: «Il tempo ci sta insegnando che non basta il solo inserimento geografico delle persone – ammonisce -, ma la sfida è una forte integrazione culturale. Questo lavoro è fondamentale e non rinviabile, a partire dalla consapevolezza che – come si legge nell’Evangelii gaudium – “il tutto è più delle parti” e dalla capacità di “lavorare per allargare lo sguardo”».
Dunque, siamo invitati a promuovere un’integrazione che trova nella solidarietà il modo in cui fare le cose, il modo in cui costruire la storia: «Una solidarietà – avverte ancora il Papa – che non può mai essere confusa con l’elemosina, ma come generazione di opportunità perché tutti gli abitanti delle nostre città – e di tante altre città – possano sviluppare la loro vita con dignità. In questo modo, la comunità dei popoli europei potrà vincere la tentazione di ripiegarsi su paradigmi unilaterali e di avventurarsi in colonizzazioni ideologiche, riscoprendo l’ampiezza dell’anima europea, nata dall’incontro di civiltà e popoli, più vasta degli attuali confini dell’Unione e chiamata a diventare modello di nuove sintesi e di dialogo».
Il volto dell’Europa, a detta di Bergoglio, non si distingue infatti nel contrapporsi ad altri: «Ma nel portare impressi i tratti di varie culture e la bellezza di vincere le chiusure – continua il Santo Padre, citando Konrad Adenauer per spiegare come “senza questa capacità di integrazione” il futuro dell’Occidente è compromesso».
Inoltre, Papa Francesco ha insistito sul fatto che se c’è una parola che dobbiamo ripetere fino a stancarci è dialogo. A suo dire, un altro requisito del “nuovo umanesimo” europeo: «Siamo invitati – esorta – a promuovere una cultura del dialogo, cercando con ogni mezzo di aprire istanze affinché questo sia possibile e ci permetta di ricostruire il tessuto sociale».
Ma per pensare le nostre società in modo diverso: «Abbiamo bisogno – invoca Francesco – di creare posti di lavoro dignitoso e ben remunerato, specialmente per i nostri giovani».
Giovani che, all’interno del nostro Continente, hanno un ruolo preponderante: «I giovani – sostiene ancora il Pontefice -, non sono il futuro dei nostri popoli, sono il presente; sono quelli che già oggi con i loro sogni, con la loro vita stanno forgiando lo spirito europeo. Non possiamo pensare il domani, senza offrire loro una reale partecipazione come agenti di cambio e di trasformazione». Secondo Bergoglio, non si può immaginare l’Europa senza renderli partecipi e protagonisti di questo sogno.
Quindi il Sommo Pontefice si è posto alcuni interrogativi: «Come possiamo fare partecipi i nostri giovani di questa costruzione quando li priviamo di lavoro; di lavori degni che permettano loro di svilupparsi per mezzo delle loro mani, della loro intelligenza e delle loro energie? Come pretendiamo di riconoscere ad essi il valore di protagonisti, quando gli indici di disoccupazione e sottoccupazione di milioni di giovani europei è in aumento? Come evitare di perdere i nostri giovani, che finiscono per andarsene altrove in cerca di ideali e senso di appartenenza perché qui, nella loro terra, non sappiamo offrire loro opportunità e valori?».
La risposta del Papa, è indubbiamente quella di elaborare nuovi modelli economici: «Più inclusivi ed equi – rilancia -, non orientati al servizio di pochi, ma al beneficio della gente e della società. Bisogna passare da un’economia liquida a un’economia sociale».
A tal proposito, il Pontefice ha citato l’esempio dell’economia sociale di mercato: «Incoraggiata anche dai miei predecessori – ricorda Francesco -, per invocare la necessità di passare da un’economia che punta al reddito e al profitto, in base alla speculazione e al prestito a interesse, ad un’economia sociale che investa sulle persone creando posti di lavoro e qualificazione. Dobbiamo passare da un’economia liquida, che tende a favorire la corruzione come mezzo per ottenere profitti, a un’economia sociale che garantisce l’accesso alla terra, al tetto per mezzo del lavoro come ambito in cui le persone e le comunità possano mettere in gioco molte dimensioni della vita: la creatività, la proiezione nel futuro, lo sviluppo delle capacità, l’esercizio dei valori, la comunicazione con gli altri, un atteggiamento di adorazione».
Bisogna quindi perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro per tutti, come si legge nella Laudato si: «Se vogliamo mirare a un futuro che sia dignitoso – conclude -, se vogliamo un futuro di pace per le nostre società, potremo raggiungerlo solamente puntando sulla vera inclusione. Il passaggio da un’economia liquida a un’economia sociale, non solo darà nuove prospettive e opportunità concrete di integrazione e inclusione, ma ci aprirà nuovamente la capacità di sognare quell’umanesimo, di cui l’Europa è stata culla e sorgente».