Su 814 presidi sanitari italiani, solo un terzo è adeguato ai disabili
"Paradossalmente - osserva Luigi Vittorio Berliri, presidente di Spes contra spem - in ospedale una persona con disabilità rischia di diventare disabile due volte, perché per avere diritti uguali a tutti gli altri ha bisogno di risposte diverse"
Solo poco più di un terzo (36%) delle 814 strutture ospedaliere – Asl, Aziende ospedaliere, Policlinici universitari, Istituti di ricerca e cura a carattere scientifico – analizzate dall’indagine della onlus Spes contra spem, prevedono un percorso prioritario per i pazienti con disabilità che devono fruire di prestazioni ospedaliere.
La ricerca, condotta in partenariato con l’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane dell’Università cattolica del Sacro cuore di Roma, è stata presentata ieri mattina a Roma da Luigi Vittorio Berliri, presidente di Spes contra spem; Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto superiore di sanità e direttore dell’Osservatorio nazionale sulla salute; Alessandro Solipaca, segretario scientifico dell’Osservatorio; Nicola Panocchia, coordinatore scientifico del progetto “Carta dei diritti delle persone con disabilità in ospedale” di Spes contra spem.
La percentuale più elevata di strutture con un flusso prioritario si riscontra nelle regioni del Centro (45,5%), quella più bassa nel Mezzogiorno (19,4%). Nella ricerca vengono raccolte e analizzate le risposte ad un questionario, dieci domande a risposta chiusa, inviato via web ad un campione di 814 strutture ospedaliere individuate su tutto il territorio nazionale, tra gennaio e settembre 2014.
Solo il 16,8% delle strutture ha un punto unico di accoglienza per le persone con disabilità, presente nel 20,9% delle strutture del Nord, mentre non raggiunge il 13% degli ospedali del Centro-sud ed Isole.
Solo il 12,4% dei Pronto Soccorso dei nosocomi italiani ha locali o percorsi adatti per visitare pazienti con disabilità intellettiva. Inoltre, nessuna struttura tra quelle monitorate ha mappe a rilievo per persone non vedenti, mentre solo il 10,6% è dotato di percorsi tattili. Questi ultimi sono però assenti negli ospedali analizzati nelle regioni del Mezzogiorno, mentre sono presenti in circa il 13% di quelli del Centro-Nord. I display luminosi per le persone con deficit uditivo sono invece presenti nel 57,8% degli ospedali, ma la percentuale scende al 45,2% in quelli del Sud.
Ma in questo contesto critico, emergono almeno due dati positivi. Migliora la situazione per quanto riguarda la presenza della figura del case manager (prevista nel 61,5% delle strutture), mentre la grandissima maggioranza degli ospedali (95,7%) ha risposto di consentire la permanenza, oltre l’orario previsto per le visite, del caregiver (colui o colei che si prende cura) della persona con disabilità.
Buone notizie anche sul fronte degli incontri tra governance dell’ospedale e rappresentanze delle associazioni familiari delle persone con disabilità: «Paradossalmente – osserva Luigi Vittorio Berliri, presidente di Spes contra spem, riepilogando i risultati complessivi dell’indagine – in ospedale una persona con disabilità rischia di diventare disabile due volte, perché per avere diritti uguali a tutti gli altri ha bisogno di risposte diverse. Prendersi cura di una persona significa riconoscere che davanti ho una persona, con la sua dignità. È solo “diversa” non più complicata di altre».
Tra l’altro, due strutture sanitarie su tre sono impreparate ad accogliere persone con disabilità: «Il dato – Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto superiore di sanità – deve farci riflettere sull’importanza di insistere nella costruzione di un sistema, che punti alla centralità della persona nei servizi di cura e assistenza. Di qui l’auspicio che questa prima indagine nazionale possa diventare punto di partenza, per censire non solo la qualità dell’offerta di cura ma anche il suo livello di umanizzazione».