“Facciamo chiasso per rendere la nostra scuola più bella”
"Dobbiamo combattere - spiega Gioele Anni, segretario nazionale del Msac - quel senso di rabbia apatia e noi che ci circonda a scuola. Non dobbiamo sentirci giudicati, così da essere liberi di proporre il nostro modo di essere ed esprimere la nostra fede. Da qui il nostro slogan “Don’t hate, partecipate”: non odiare, proviamo a partecipare"

«Da domani voglio che ci sia chiasso, rendendo le nostre scuole un posto più bello. Vogliamo che ci sia chiasso, che si esca fuori, vogliamo che la Chiesa esca per le strade, voglio che ci difendiamo da tutto ciò che è mondanità, immobilismo, da tutto ciò che è comodità, clericalismo o dell’essere chiusi in noi stessi».
Con queste parole, parafrasando quanto detto da Papa Francesco ai giovani argentini in occasione della Gmg 2013 di Rio de Janeiro, ieri il segretario nazionale del Movimento studenti di Azione cattolica Gioele Anni ha chiuso i lavori della sesta edizione della Scuola formazione studenti, dal tema “SiamoPRESENTE. La scuola che educa alla partecipazione”.
La tre giorni, svoltasi al Grand Hotel Adriatico di Montesilvano da venerdì, ha visto la partecipazione di 1.200 studenti di età compresa fra i 14 e i 19 anni provenienti da tutta Italia: «Dobbiamo combattere quel senso di rabbia apatia e noi che ci circonda a scuola. Non dobbiamo sentirci giudicati, così da essere liberi di proporre il nostro modo di essere ed esprimere la nostra fede. Da qui il nostro slogan “Don’t hate, partecipate”: non odiare, proviamo a partecipare».
Un odio che, a volte, può scaturire dalla solitudine: «Sentirsi soli nelle nostre scuole, in classe, – osserva Adelaide Iacobelli, vice segretaria nazionale del Movimento studenti di Azione cattolica – fa provare un’inquietudine fortissima. Per questo il Msac è un’associazione studentesca e non siamo 1.200 singoli, ma rappresentiamo 1.200 amicizie e relazioni buone. Non sentitevi mai “non abbastanza”, voi soli potete essere il Msac».
Componenti di un movimento costruttivo che, davanti ad una giusta causa, sa anche protestare con la propria scuola: «Spesso – aggiunge la Iacobelli – protestiamo contro i massimi sistemi, mentre è giusto protestare contro le piccole cose che non vanno nelle nostre scuole, come un compagno di classe che non si sente accettato, il non poter studiare o se ci sono compagni che hanno lasciato la scuola. Su queste cose non abbiamo paura di protestare».
Un’azione, quella di protestare (dal latino “testimoniare per”), suggerita dal maestro e giornalista Alex Corlazzoli che ha positivamente stimolato e provocato gli studenti avviando la tavola rotonda dell’ultimo giorno di lavori alla Sfs: «Domani – esorta il maestro – mettete solo un libro, che sicuramente manca dalle cattedre delle vostre aule, la Costituzione. Cominciamo, attraverso l’“I care” di don Milani, a prenderci cura l’uno dell’altro».
Corlazzoli ha moderato la tavola rotonda, dal tema “Esperienze, sogni e progetti per una scuola che educa alla partecipazione”, intervistando innanzi tutto l’ex studentessa e insegnante pakistana Aneela Nelson che scelse di studiare nel suo Paese, dove la formazione alle donne era negata: «Non è facile – ammette la donna – affrontare la società pakistana quando si è adolescenti. Per questo successivamente ho scelto di fare di fare quello che potevo per aiutare i giovani a studiare, anche insegnando loro gratuitamente a casa».
Quindi è stata la volta di Paul Bhatti, ex ministro pakistano dell’Armonia nazionale cristiano e fratello di Shahbaz. Il ministro, anch’egli cristiano, ucciso in un attentato nel 2011 in seguito alle sue posizione aperte in riferimento al dialogo interreligioso e alla tutela delle minoranze religiose: «Inizialmente – racconta – ero un chirurgo pediatrico in Italia e il pensiero di tornare in Pakistan non era certo in cima alla lista, ma poi ho visto le persone di ogni fede affermare che mio fratello era una persona di Dio. Del resto, mio fratello Shahbaz era convinto che l’educazione fosse importante per cambiare il mondo per eliminare ogni tipo di discriminazione e odio. Così, dopo la sua morte, mi hanno commosso tutti i giovani, di ogni fede, i quali mi hanno chiesto di portare avanti la sua missione».
Quindi una storia di rinascita e riscatto sociale, grazie alla testimonianza di uno studente e fondatore della Nazionale italiana di calcio amputati: «Non è facile raggiugere i sogni – sottolinea Francesco Messori, privo di una gamba -, ma ho avuto il carattere di integrarmi anche grazie al fatto dell’essere stato accettato dai miei genitori. E comunque ringrazio Dio, per avermi dato la possibilità di fare tutto quello che ho fatto, rendendomi molto più fortunato rispetto a molte altre persone con ambedue le gambe».
Infine, un gruppo di studenti del Msac di Taranto ha raccontato la propria esperienza locale, consistita nella creazione di un forum cittadino studentesco per la discussione di ogni criticità emersa. È stato l’assistente nazionale del Movimento studenti di Azione cattolica, don Michele Pace, a presiedere la Santa messa conclusiva.