Miti d’Amore – Cupido (s)bendato
Tra iconografia e filosofia, per comprendere i segreti di Cupido e conoscere la sua natura
Almeno una volta nella vita, tutti abbiamo pensato che l’amore sia cieco perché colpisce indistintamente: il buono e il cattivo, il bello e il brutto, il sapiente e lo stolto. È cieco anche perché sconvolge, obnubila, fa perdere il bene dell’intelletto agli amanti. Questa concezione dell’amore, diffusa nella mentalità e nel linguaggio comune, trova corrispondenza in numerose raffigurazioni artistiche che presentano Eros/Cupido, il dio dell’Amore della mitologia greco-romana, come un fanciullo cieco o bendato. La cecità attribuita alla personificazione dell’Amore ha un duplice significato allegorico: Cupido non sa quali siano le vittime delle sue frecce, mentre queste, una volta colpite, non sanno più mantenere un comportamento ragionevole. È pur vero che la rappresentazione iconografica dell’Amore come di un fanciullo nudo e cieco, provvisto di faretra e arco, si impone solo nei primi decenni del XIII. Lungo tutto lo sviluppo dell’arte greca o romana, come nella letteratura che ad essa si riferisce, infatti, Cupido non è presentato come cieco o bendato, ma come un fanciullo nudo e alato, con arco e frecce, talvolta con una fiaccola. In qualche caso gli archi sono due (uno per accendere l’amore, l’altro per estinguerlo), e il dio è posizionato in alto, su una torre, un castello o un albero in un giardino. L’immagine di Cupido sbendato è comunque una rappresentazione negativa, perché l’amore è concepito come esperienza penosa che offusca le capacità intellettuali degli amanti. Le immagini metaforiche, infatti, parlano chiaro: la fanciullezza sta a simboleggiare il comportamento puerile degli amanti; la nudità richiama l’attitudine alle manifestazioni disinibite dell’amore; le ali alludono all’instabilità emotiva degli innamorati; i dardi si riferiscono alle ferite inflitte d’Amore a danno della mente e dello spirito degli amanti. Bendato o no, la rappresentazione di Cupido ci pone sempre davanti ad una categorica alternativa: o amore o conoscenza. O ci si lascia fiaccare dalla forza dell’amore e si accetta di essere privati della possibilità di conoscere, oppure ci si dedica alla conoscenza liberandosi dai condizionamenti passionali o affettivi. Si può davvero contrapporre la cecità dell’amore alla luce della conoscenza? Insomma, la domanda è: l’amore è cieco?
Nonostante i casi della vita a volte ci portino a pensare che Cupido sia ostinatamente bendato, la maggioranza delle persone, con molta probabilità, propenderà nel ritenere che non ci sia amore senza conoscenza, anzi, che ci possa essere vero amore solo dopo adeguata conoscenza. Del resto, mentre l’iconografia e la letteratura si lasciavano dominare dall’immagine di Cupido bendato o dispettoso, la tradizione filosofica occidentale – nei suoi autori più rappresentativi – fin dagli albori ha sostenuto un punto di vista per molti aspetti opposto, che potremmo esemplificare con quanto sostenuto nel Simposio e nel Fedro. L’amore è «un dono divino», «la più grande fortuna concessa dagli dei», secondo la definizione di Platone. Non solo l’amore, l’eros, non rende ciechi, ma esiste una vera sinergia fra amore e conoscenza. Tanto più si conosce tanto più si ama, tanto più si ama tanto più si conosce. Non dovrebbe stupire che la filosofia sostenga questo intreccio indissolubile tra amore e conoscenza, se solo si pensasse all’etimologia stessa della parola philosophia, che propone l’indagine filosofica come ricerca e dunque come amore della sapienza. L’amore non è cieco, quindi. Ci vede benissimo e aiuta a vedere sempre meglio.
A questo punto, rimane una domanda: ma cosa ci fa vedere Amore, cosa desidera conoscere? Qualcuno, forse, può dire con certezza di conoscere in maniera razionale, logica ed esaustiva qualcosa o qualcuno che dice di amare? Che genere di conoscenza è allora quella d’Amore, se non è conoscenza razionale di premesse e conclusioni?
Superfluo sottolineare la complessità di queste domande. Se Amore ci vede benissimo, è invece ardua per l’uomo l’impresa di vedere i segreti di Amore e conoscere la sua natura. Continueremo questa ricerca impegnativa a piccoli passi, e voi con noi, se vorrete: «perché questo è il modo giusto con il quale si procede o si è guidati nelle cose d’amore» – insegna Diotima a Socrate – «cominciando dalle bellezze di qui, ascendere sempre, come da un gradino all’altro». (Simposio, 210e-211c)
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Per la ricostruzione delle vicende connesse all’iconografia di Cupido, cfr. E. Panofsky, Cupido cieco, tr. it. Torino 1975.
Cfr. W. Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate, (circa 1595):«Alle cose più umili e vili e senza pregio l’amore può dare forma e dignità; l’amore non guarda con gli occhi, ma con gli affetti, e perciò l’alato Cupido viene dipinto bendato; l’amore non ha il gusto del distinguere: alato e cieco, è tutta foga senza giudizio; perciò si dice che l’amore è un fanciullo: perchè nelle scelte sbaglia quasi sempre. E come i ragazzi per gioco son spesso spergiuri, così è l’amore, come un ragazzo, sempre e dovunque».
Immagine: “Venere, Vulcano e Cupido” è un dipinto del Tintoretto (Venezia, 1518- 1594) del 1560.