“Il finale dei film è lieto perché lo scopo della nostra vita è la gioia”
"L’uomo - sottolinea Nunziante - ha un senso molto grossolano, per non dire errato, di ciò che è male e di ciò che è bene. Eppure proprio questa nullità dell’uomo, questo suo essere niente, è rivelazione di Dio e il cinema dovrebbe avere l’umiltà di inchinarsi davanti alla pochezza umana"
«Il finale è lieto perché lo scopo della nostra vita è la gioia. Io stesso, a distanza di anni, mi sono ritrovato a rivalutare alcuni episodi terribili della mia vita, perché mi sono accorto che erano dei campanelli di allarme necessari perché io poi potessi gioire».
Lo afferma Gennaro Nunziante, il regista di “Quo vado?” film campione d’incassi al Cinema con Checco Zalone, in un’intervista di Francesca D’Angelo pubblicata sull’ultimo numero di “Credere”, il settimanale religioso del Gruppo editoriale San Paolo. Secondo Nunziante, l’uomo ha un senso molto grossolano – per non dire errato – di ciò che è male e di ciò che è bene: «Eppure proprio questa nullità dell’uomo – osserva il regista -, questo suo essere niente, è rivelazione di Dio e il cinema dovrebbe avere l’umiltà di inchinarsi davanti alla pochezza umana».
Interrogato poi sul perché le storie che narrate siano sempre a lieto fine, il regista ha affermato: «Perché è così che sono stato accolto quando sbagliavo: pur facendomi notare l’errore, qualcuno mi ha sempre teso una mano e aiutato ad andare avanti. In fondo – aggiunge – è questo il grande richiamo di Papa Francesco, quando parla della Chiesa come un ospedale da campo. So di non avere l’appeal del cineasta impegnato, ma non mi interessa perché non mi rappresenterebbe. Io sono figlio di una comunità fatta di amici, solidarietà e accoglienza: così sono cresciuto e così considero la vita, e pazienza se qualcuno mi taccerà di buonismo».
Tra l’altro, Gennaro Nunziante si definisce come un uomo convinto che il successo sia come il veleno per i topi: «Perché – spiega il regista di “Quo vado” – ti dà, ma ti toglie anche molto e non ho nessuna intenzione di rinunciare alle cose che mi sono guadagnato nella vita, in primis alla mia serenità d’animo che nasce dall’impegno di provare a essere un buon marito, un buon padre, un buon amico».
Per il regista, dunque, se si desidera una vita artistica autentica, vera e sincera non bisogna farsi abbindolare da nulla, né dai soldi né dalle proposte: «Le scelte – ribadisce Gennaro Nunziante – devono sempre essere dettate da una condivisione dell’ideale. Se non impariamo a farci bastare le cose, queste finiranno per decidere il nostro destino».
Per Nunziante, i valori personali sono anche gli ideali che si trasmettono nei film. Valori che il regista ha acquisito fin da giovane, frequentando un oratorio salesiano: «Ma la conversione vera – racconta – è arrivata in età adulta, attraverso un percorso di grande dolore: mi sono reso conto che volevo avere tutto ma che, al contempo, tutto era niente. Spesso noi cattolici, commettiamo l’errore di vantare una maggiore conoscenza presunta della vita. Una superiorità che sinceramente non so nemmeno dove sia di casa: io mi sento un ipocrita che si alza la mattina e chiede pietà di sé al Signore per la pochezza d’uomo che sono».