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“La sentenza della Corte europea non equipara le unioni gay al matrimonio”

"Non è prevista - spiega Gambino - una sanzione in caso di mancata applicazione della sentenza stessa, ma è il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa a vigilare sulla recezione della sentenza negli ordinamenti nazionali. Resta poi di competenza del Parlamento italiano, stabilire come debba essere recepita tale sentenza e con quale tipo di normativa, perché di certo la Corte di Strasburgo non può sostituirsi al nostro Parlamento"

Lo ha precisato ieri Alberto Gambino, docente di Diritto privato all’Università europea di Roma, commentando la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo

«Questa sentenza non dice nulla di nuovo in realtà e tanto meno chiede all’Italia di equiparare le unioni fra persone dello stesso sesso al matrimonio, così come riconosciuto nel nostro ordinamento».

Con queste parole Alberto Gambino, docente di Diritto privato all’Università europea di Roma, ha puntualizzato alcuni elementi attorno alla sentenza pronunciata ieri dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (Cedu) sulle unioni gay, accogliendo i ricorsi di tre coppie formate da uomini (tutti italiani) e chiedendo all’Italia di adottare qualche forma di riconoscimento legale per questo genere di convivenze, ma negando che debba trattarsi di matrimonio.

Alberto Gambino

Alberto Gambino, docente Diritto privato all’Università europea di Roma

Il giurista ha spiegato anzitutto che le sentenze della Corte europea hanno valore vincolante per gli Stati che hanno sottoscritto la Convenzione sui diritti dell’uomo: «D’altro canto – precisa Gambino – non è prevista una sanzione in caso di mancata applicazione della sentenza stessa, ma è il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, da cui dipende la Corte, attraverso la sua moral suasion a vigilare sulla recezione della sentenza negli ordinamenti nazionali. Resta poi di competenza dei Parlamenti, in questo caso del Parlamento italiano, stabilire come debba essere recepita tale sentenza e con quale tipo di normativa, perché di certo la Corte di Strasburgo non può sostituirsi al nostro Parlamento».

Quindi, l’esperto ha puntualizzato che la sentenza non obbliga affatto l’Italia ad equiparare le unioni tra persone dello stesso sesso all’istituto del matrimonio: «Infatti – aggiunge docente di Diritto privato all’Università europea di Roma -, gli strumenti legislativi per l’attuazione della sentenza Cedu possono essere i più diversi e sta al singolo Stato decidere con quale forma intervenire, per evitare differenti tutele dei diritti tra le coppie etero e quelle omosessuali».

La sentenza, di 205 paragrafi, chiama in particolar modo in causa l’articolo 8 della Convenzione europea, intitolata al “diritto alla vita privata e familiare”: «Inoltre – sottolinea ancora il giurista – occorre riaffermare, anche diversamente da quanto proposto da alcuni mass media, che la sentenza odierna non indica affatto cosa sia la famiglia, perché tale competenza è e rimane degli Stati membri e dunque dei rispettivi organi legislativi. Del resto, l’Italia ha liberamente sottoscritto la Convenzione europea, anche in ragione del fatto che essa rispetta la competenza nazionale in materia di diritto di famiglia e matrimonio».

Infine, secondo Alberto Gambino, occorre non di meno riconoscere che la sentenza di Strasburgo fa riferimento a sentenze pronunciate dalla Cassazione italiana e dalla nostra Corte costituzionale che hanno invitato il legislatore a intervenire su questa materia, senza peraltro indicare come essa debba essere regolata, trattandosi appunto di competenza del Parlamento.

Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la vita

Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la vita

Dal pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, sono quindi scaturite le reazioni di alcuni fra i principali movimenti pro-life, laici e cattolici, italiani: «Sulle unioni civili – commenta Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la vita – si continua a rimestare nell’equivoco e qualcuno pensa, in questo modo, di riuscire a portare a casa i risultati cercati, ma così non si aiuta né la comprensione né la soluzione delle questioni aperte».

Così, dunque, il Movimento per la vita  interviene a proposito della odierna sentenza della Corte di Strasburgo sulle unioni omosessuali: «Una cosa – ribadisce Gigli – sono i diritti individuali e quelli per ogni forma di convivenza solidaristica, richiamati anche dalla Cedu nella sentenza. Altra cosa è il riconoscimento nei fatti di un matrimonio sotto mentite spoglie. Non ci arrenderemo mai a questa prospettiva, che aprirebbe inevitabilmente la strada a una totale equiparazione al matrimonio per via giudiziaria, con tutto quello che ne deriverebbe in tema di adozione, fecondazione eterologa, acquisto di gameti e utero in affitto».

Quindi la conclusione: «Invece di fantasticare di accelerazioni su questi temi, il Governo si concentri piuttosto a contrastare l’inverno demografico sostenendo le famiglie e aiutando le gestanti in difficoltà ad evitare l’aborto».

Francesco Belletti, presidente del Forum famiglie

Francesco Belletti, presidente del Forum famiglie

Inoltre, attraverso una nota, è intervenuto sul tema anche il Forum delle associazioni familiari: «La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – dichiara il Forum delle famiglie – sul presunto deficit di tutela dei diritti di coppie di persone dello stesso sesso nell’ordinamento italiano, conferma la ricorrente tendenza di certa giurisprudenza a farsi soggetto etico, nel tentativo di imporre a colpi di sentenze alcuni valori e scelte specifiche, non solo al posto della politica, ma volendo condizionare anche la testa delle persone. L’identità stessa della famiglia è con chiarezza affidata, a livello europeo, all’autodeterminazione di ogni sistema nazionale. Quindi usare la sentenza Cedu come grimaldello per non affrontare questo dibattito, per rendere obbligata una scelta di regolazione, è una scorciatoia che toglie spazi di democrazia e di dibattito ed espropria la libertà e l’autonomia di un popolo di poter decidere da sé».

In conclusione, il Forum aggiunge: «Affrontiamo con serietà il dibattito su famiglia, matrimonio e relazioni affettive senza pregiudizi né fondamentalismi, dando voce e rispetto per tutte le posizioni presenti. E rispettiamo pure le sentenze dei Tribunali, anche europei, però con la libertà di poter esprimere dissenso, quando pretendono di costruire un pensiero unico».

About Davide De Amicis (4550 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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