“La famiglia costruisce la cultura dell’incontro dando vita a nuova civiltà”
"Oggi - spiega don Gentili -, dinanzi a questo esodo di popoli e di famiglie occorre scendere da cavallo, come il buon samaritano, e farsi prossimi: è l’unico modo per uscire dalla globalizzazione dell’indifferenza denunciata da Papa Francesco. Farsi prossimo e prendersi cura, significa anche aiutare a addomesticare quella cattiva consigliera che è la paura della differenza e fa vedere il fratello come un nemico da cui difendersi"

«La famiglia costruisce la cultura dell’incontro e può contribuire a dare vita ad una nuova civiltà. Ne è convinto don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale della famiglia, che all’agenzia di stampa Sir un breve bilancio del convegno “Dov’è tuo fratello? Famiglia e immigrazione”, promosso dal 31 maggio al 2 giugno a Cefalù (Palermo) dal suo Ufficio insieme alla Fondazione Migrantes, a Caritas italiana e agli Uffici nazionali per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso e per l’apostolato del mare: «Oggi – spiega don Gentili –, dinanzi a questo esodo di popoli e di famiglie occorre scendere da cavallo, come il buon samaritano, e farsi prossimi. È l’unico modo per uscire dalla globalizzazione dell’indifferenza denunciata da Papa Francesco in occasione della sua visita a Lampedusa, l’8 luglio 2013».
Per il direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale della famiglia occorre, dunque, assumere gli atteggiamenti del buon samaritano che passa lì per caso, ma ascolta con attenzione i battiti di un cuore ferito; ferma il suo tempo e ne fa dono; scende da cavallo, perché dall’alto non potrebbe aiutare nessuno.
Si accosta al ferito e si mette ancora più sotto di lui, perché se lo tirasse da su, gli strapperebbe la carne. Infine, lo consegna alla locanda dell’uomo ferito che è la Chiesa: «Farsi prossimo e prendersi cura – aggiunge ancora don Paolo Gentili -, significa anche aiutare a addomesticare quella cattiva consigliera che è la paura della differenza e fa vedere il fratello come un nemico da cui difendersi. Una differenza che per noi è invece una ricchezza».
A tal proposito, il responsabile dell’Ufficio Cei cita come esempio la coppia sponsale: «Dove la differenza tra i due – continua il presbitero – diviene il luogo dell’incontro e della comunione che in questo senso può diventare luogo simbolico anche per la società. Proprio l’identità, senza annullarsi, può mettere in vera relazione con l’altro da sé e rendere autenticamente solidali con chi fugge da fame e guerre».
Don Gentili, inoltre, non nasconde l’urgenza di procedere con interventi in materia di ricongiungimenti familiari, per riunificare famiglie spezzate dalla ricerca di un futuro migliore, e di profughi, nonché di azioni internazionali coordinate: «Ma in questo momento – avverte – occorre spalancare le porte: un’accoglienza per la quale la Chiesa è in prima linea sul territorio».
E a testimoniare, anche esistenzialmente, il tema del convegno vi era un ragazzo di Cuba, tra i figli dei partecipanti, che gli animatori hanno tentato di fare incontrare con un fratello che studia a Palermo e non vede da 12 anni, ma invano: «Quest’ultimo – conclude don Gentili – non ha voluto incontrarlo».