Martyria: l’umanità di chi ha dato la vita per il Signore
«Abbiamo celebrato l’umanità di Dio nei nostri confronti, nei confronti dell’umanità, ma anche nei confronti di tanti uomini e donne che ancora oggi danno la propria vita per rispondere alla chiamata del Signore». Così don Marco Pagniello, neo direttore dell’Ufficio missionario diocesano, ha spiegato il senso della ventiduesima Veglia per i missionari martiri intitolata “Martyria”, che ricorre annualmente il 24 marzo nell’anniversario dell’uccisione di monsignor Oscar Romero (vescovo di San Salvador), svoltasi lunedì sera presso la parrocchia di San Giovanni Battista e San Benedetto Abate: «La Chiesa – esordisce don Massimo Di Lullo, parroco – ha scelto questa data per ricordare i missionari che ogni anno, purtroppo, danno la loro vita per il Vangelo. Qui ci troviamo insieme per fare memoria della vita dei nostri fratelli e sorelle pregando per la Chiesa che, in tanti luoghi del mondo, è perseguitata e per noi che a nostra volta possiamo essere suoi testimoni nella realtà che viviamo».
La veglia di preghiera, alla quale hanno preso parte diverse comunità parrocchiali pescaresi, è stata contraddistinta dall’alternarsi di canti e preghiere interrotti dalla condivisione di due esperienze missionarie, a partire da quella che vede tre laici ed un sacerdote pescaresi, da circa due anni, operare nella diocesi albanese di Sapa assistendo e sviluppando la comunità cristiana locale: «L’Albania – racconta Maria Palma Di Battista, missionaria insieme a don Giovannni Cianciosi e Goffredo e Tiziana Leonardis – ha vissuto molte sofferenze scaturite dai 500 anni di dominazione dell’impero ottomano e da 50 anni di dittatura comunista e la fede, in questi secoli, si è mantenuta viva grazie a persone le quali, nella semplicità e nel coraggio della propria fede, hanno dato la vita per quello e per qualcuno a cui credevano. In questo anno e mezzo di presenza in Albania, ho così imparato a conoscere la storia dei martiri albanesi, laici e sacerdoti, che pur di mantenere la propria identità cristiana non rinunciavano a fare il segno della croce nonostante andassero in contro alla prigionia se non alla morte, del cui sangue è bagnata la terra albanese. Ed io con la mia presenza, insieme a don Giovanni, Goffredo e Tiziana, cerco di essere un segno per la popolazione albanese, per dirgli di non dimenticare come la Chiesa in quegli anni ha vissuto la propria fede e che se ora la si sta ancora vivendo, è comunque frutto di quel sangue che è dovuto scorrere. Vogliamo fare tutto questo essendo testimoni in mezzo a loro».
Un momento toccante della celebrazione, è stato poi quello nel quale sono stati ricordati i nomi di alcuni grandi testimoni della fede che, recentemente o nel passato, hanno lasciato un segno in molte comunità: da Francesco Saverio a don Andrea Santoro, passando per Martin Luther King, Madre Teresa di Calcutta e Nelson Mandela. Un ricordo, questo, anticipato dall’accensione di quattro lumini in rappresentanza dei continenti americano, europeo, asiatico ed africano, nei quali lo scorso anno hanno perso la vita altri nuovi martiri della fede. Quindi, i fedeli intervenuti hanno ascoltato una seconda testimonianza, quella del comboniano Padre Domenico Guarino per 21 anni missionario in America Latina: «Un contadino dell’Honduras – racconta il religioso – diceva che le omelie di monsignor Romero erano come un catino di acqua salata: se le tue mani sono sane, quando le immergi non succede niente. Ma provate ad immergerle quando avete una ferita e proverete dolori atroci. La nostra società, oggi, ha molte ferite, molti martiri quotidiani e noi forse, come comunità cristiana dobbiamo diventare questo catino e testimoniare la verità».