“Sono uscito che ero un mucchietto di ossa”
«Sono finito sotto le armi a 18 anni, ma il periodo peggiore sono stati gli ultimi sette mesi. Li ho trascorsi a Dachau. Pesavo 86,3 kg prima di entrare. Sono uscito che ero un mucchietto di ossa: 29,4 kg. Quando tornai, mia mamma mi chiese chi fossi».
È questa la testimonianza di Enrico Vanzini, oggi novantunenne, uno dei pochi sopravvissuti ai campi di concentramento nazisti ancora in vita, pubblicata dal “Messaggero di Sant’Antonio”, per ricordare il Giorno della memoria: «Perché comprendere – come ha scritto Helga Schneider, autrice tedesca, che ha vissuto dall’altra parte del lager, ancora bambina – gli orrori della guerra è impossibile, ma conoscere è necessario». Vanzini era un militare italiano e, una volta fatto prigioniero dai tedeschi, arrivò a Dachau nell’agosto 1944: «Mi mandavano – racconta al Messaggero di Sant’Antonio – tutti i giorni a riparare binari in stazione o a riempire le voragini provocate dalle bombe. Una mattina la mia vita cambiò. Mi scortarono fino a un edificio oltre le caserme delle Ss. Non sapevo cosa ci fosse all’interno. Lo capii appena varcata la soglia: due forni accesi e l’odore della morte. I nazisti mi assegnarono al Sonderkommando, unità speciale di internati costretti a cremare i prigionieri morti».
E furono pochi i Sonderkommando sopravvissuti ai campi di concentramento: Enrico si salvò solo per la fretta dei tedeschi, mentre la guerra stava per finire, di mettersi al sicuro. Ma furono migliaia e migliaia, oltre agli ebrei ed ai prigionieri di guerra, le persone torturate e uccise nei lager tedeschi: «Nel Giorno della memoria – scrive la Fondazione Migrantes in una nota – il ricordo va a tutte le vittime del genocidio. Tra di essi vogliamo non dimenticare i Rom e i Sinti internati in campi di concentramento in Italia, deportati in Germania e Polonia e poi trucidati, vittime di leggi razziali che hanno dimenticato e tradito l’uguaglianza e la dignità di tutte le persone».
La Migrantes, in particolare, ha invitato a non dimenticare la guerra, l’olocausto dei Rom d’Europa, ma anche a non dimenticare oggi un popolo che vive e soffre nelle nostre città, non sempre riconosciuto nella sua storia e nel suo cammino: «Anche dalla sofferenza e dalla morte di molti Rom – puntualizza la nota – è nata l’Europa. Oggi non si può non costruire l’Europa con il contributo di questo popolo, spesso ai margini delle nostre città o non riconosciuto anche per qualità e capacità. Anche oggi, il cuore di una madre gitana soffre quando i figli vengono tolti, quando i ragazzi non possono frequentare la scuola, quando i giovani non trovano lavoro, quando la famiglia è vittima di discriminazioni».