La Bibbia è un best-seller?
Sono esistiti dei best-sellers – nel senso di libri di successo – fin dagli inizi della storia della stampa, ma è sempre stata un’impresa trovare criteri validi e condivisi per decretare quali fossero i best-sellers. Circa un mese fa, ad esempio, è stata pubblicata la classifica dei dieci libri più letti e venduti al mondo negli ultimi cinquanta anni, secondo il giudizio dell’americano James Chapman. Al primo posto la Bibbia, mentre Harry Potter risulta il primo romanzo di sempre con quattrocento milioni di copie vendute in tutto il mondo. Dalla pubblicazione della classifica di Chapman, su social network, riviste e siti di informazione, è stato tutto un discutere sull’attendibilità dei metodi di valutazione adottati e non da tutti condivisi. Del resto, se solo provaste a digitare su un motore di ricerca “libri più venduti in Italia” – con relative sotto-ricerche, vi trovereste disorientati tra le varie tipologie di classifiche. Tra i libri stampati, in questo momento, sembra primeggi il libro per ragazzi Diario di una schiappa. Si salvi chi può! di Jeff Kiney, che ha superato i libri più venduti di dicembre – L’infanzia di Gesù di J. Ratzinger e Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico di L. Sepúlveda; per gli e-books, invece, tutte le classifiche conducono a Irène Némirovsky con La preda.
Un luogo comune è pensare che i best-sellers siano di solito, dal punto di vista letterario ed estetico, libri di second’ordine, tanto che tra gli uomini colti l’epiteto di best-seller è quasi completamente spregiativo: giudicare il valore reale di un libro in base al numero di edizioni e copie stampate e vendute è “commerciale”, e non terrebbe conto di tutti i libri che, da sempre, hanno influenzato il pensiero e la società pur avendo una scarsa tiratura. Ma contro questa tesi ci sono, dopo la Bibbia, il De Imitatione Christi di Thomas à Kempis, la Commedia di Dante, il teatro di Shakespeare, il Werther di Goethe – solo per citarne alcuni: tutte grandi opere letterarie, sì, ma anche grandi best-sellers. Venendo ai giorni nostri, alcuni potrebbero dire che Cinquanta sfumature di grigio è un best-seller perché ha venduto molto; per altri, L’infanzia di Gesù è un best-seller per il valore intrinseco, a prescindere dal fatto che abbia venduto molto; i colti di turno, poi, potrebbero citare qualche “libro di nicchia”, per mostrare che un libro di pregio quasi mai è un best-seller. Insomma, cosa fa di un libro un best-seller?
Il «problema best-seller» non è secondario né una velleità: esso tocca la letteratura, l’estetica, la psicologia (individuale e nazionale), l’istruzione, compreso il trend dell’editoria e dell’economia nel suo complesso. Si può dire che il best-seller sia un «campione interdisciplinare», abbastanza credibile, per valutare l’orientamento, il gusto e il modo di pensare dell’opinione pubblica in un determinato periodo storico. Di questo giudizio è S.H. Steinberg in Five Hundred Years of Printing (S.H. Steinberg, Penguin Books, Harmondsworth, 1955-1961; trad.it. di L.Lovera, Cinque secoli di stampa, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1962), ancora oggi un libro-riferimento per l’editoria – benché, datato, preceda di molto la rivoluzione digitale in corso.
Per giudicare il valore reale di un libro, Steinberg ritiene non si possa prescindere dal numero di copie vendute ma sia necessario distinguere tra best-seller e steady-seller. Per best-seller, in senso proprio, deve intendersi un libro che, «appena uscito o subito dopo, superi di gran lunga la richiesta considerata in quel tempo buona o anche ottima, e ricada in seguito nell’oscurità (meravigliando la gente che si domanderà stupita come possa essere riuscito a tanto)». Sotto questa categoria possono cadere tanto libri di relativo valore letterario ed estetico quanto libri che seguano i capricci e le mode del momento, o siano prodotti commerciali creati dal mercato editoriale; così, nella medesima classifica di breve-medio periodo, possiamo trovare tanto un libro di buona quanto uno di bassa qualità.
Per steady-seller (steady = regolare, persistente, costante; N.d.T) si devono intendere «quei libri di successo la cui caratteristica principale è la richiesta continua e regolare – indipendentemente, in modo stupefacente, dai capricci dei movimenti e degli stili letterari –, capaci di superare facilmente le barriere linguistiche e nazionali». In questa categoria, in base alla classificazione di Steinberg, possiamo ritenere convergano – a parte le eccezioni del caso – libri di assoluto valore: libri che, a prescindere se abbiano venduto molto o poco nel breve periodo, sono riusciti a vendere in maniera costante nel tempo e diffusamente nello “spazio”.
In sintesi, non è vero che il numero di edizioni e di copie stampate e vendute sia indipendente dal valore letterario ed estetico di un libro; statisticamente, il valore di un libro risulta direttamente proporzionale al numero di edizioni e di copie stampate e vendute con regolarità e continuità nel tempo. Questa tesi di Steinberg ci pare ottima, perché riesce a restituire senso all’andamento della produzione editoriale nel suo complesso, tanto nel breve quanto nel lungo periodo, al di là delle apparenti contraddizioni e dei facili luoghi comuni.
Se sulle classifiche e i criteri di valutazione si può discutere, tutte le classifiche, fino all’ultima citata di Chapman, concordano nel confermare la Bibbia come il libro con più edizioni e numero di copie stampate e vendute nel mondo. Anche Steinberg, sulla base della differenziazione tra best-seller e steady seller, conferma che «se si segue il criterio della vendita costante – con minime fluttuazioni –, per un lungo periodo di tempo, […] sin dai tempi delle Bibbie delle 42 e 36 linee, essa si è dimostrata in tutto il mondo il best seller per eccellenza, in edizione completa o parziale, destinata a venir letta come opera letteraria o erudita, in lingua originale o in qualsiasi delle mille e più traduzioni». La Bibbia fu il primo best-seller destinato a diventare anche il primo steady-seller della storia della stampa.
La “Bibbia delle 42 e 36 linee” di Gutenberg – così chiamata dal numero di righe stampate per foglio – è spesso identificata come il primo libro stampato. Su questo bisogna far chiarezza, perché molte imprecisioni circolano su la «prima typographiæ incunabula», cioè sull’infanzia della tipografia (la definizione è del decano della cattedrale di Munster, Bernard Von Mallinckrödt, in un trattato dal titolo De Ortu et progressu artis typographicæ – Colonia, 1639). In realtà, si stampavano libri già prima di Gutenberg; l’orefice di Magonza inventò la «stampa con caratteri mobili fusi a mezzo di matrici che permetteva di ogni libro un’edizione uniforme di tutte le copie, preceduta dalla correzione critica delle bozze»: per la prima volta nella storia, era possibile produrre per ogni edizione copie identiche, e in un numero maggiore rispetto a quanto consentissero le precedenti tecniche tipografiche. Gutenberg aveva fiutato quanto la moltiplicazione delle opere letterarie, già a metà del Quattrocento, non fosse solo un’esigenza quanto una possibile attività commerciale e lucrativa: gli amanuensi non riuscivano più a provvedere alle richieste del ricco collezionista e, insieme, dello studente povero alla ricerca di manuali di legge e teologia. Così, Gutenberg prese a prestito 800 monete d’oro da Fust, un avvocato d Magonza, il quale gliene anticipò altre 800 nel 1452 associandosi con lui per la «produzione di libri». Nel 1455 Fust, per sbarazzarsi di Gutenberg, si rivalse sull’inventore come creditore: Gutenberg perse la stamperia, Fust ne divenne proprietario e ingaggiò Schöffer, un abile stampatore che sposò la figlia di Fust e la sua dote.
Quanto a Gutenberg, pare che egli salvò poco della sua fortuna, forse soltanto il carattere con cui aveva stampato le Bibbie delle 36 e 42 linee; propriamente, non la prima Bibbia stampata ma la prima Bibbia stampata con caratteri mobili, cioè in edizioni di copie identiche su vasta scala. Composta a partire dal 1452, uscì prima dell’agosto del 1456, cioè in un periodo di tempo pari a quello necessario ad un amanuense per produrre una sola copia. La Bibbia di Gutenberg si compone di due volumi in folio di 322 e 319 fogli, che riproducono il testo della Vulgata, la Bibbia latina tradotta Da San Gerolamo nel V secolo: l’Antico Testamento occupa il primo volume e una parte del secondo, che contiene anche il nuovo Testamento. Difficile quantificare con precisione il numero preciso di copie stampate e vendute; nel Quattrocento, in genere, la tiratura media di un libro non superava probabilmente le duecento copie. Tra le edizioni stampate in Italia, ricordiamo soprattutto l’edizione della Vulgata dello stampatore tedesco Jenson, stampata a Venezia nel 1476; e il progetto di Aldo Manunzio, non andato a termine, di stampare una Bibbia poliglotta in ebraico, greco e latino. Delle copie delle Bibbie in volgare giunte a noi – 48 fino al 2009 – , la maggioranza degli esemplari si trova in Germania; nella Biblioteca Vaticana sono conservate due copie, una in pergamena l’altra in carta. Il valore di queste copie è inestimabile: una copia completa si aggira intorno a 10 mila dollari.
Le Bibbie in volgare, da Gutenberg in poi, sono anche tra i più commerciabili steady sellers, nonostante siano stampate e vendute senza fini di lucro. Un vero “caso editoriale”, per successo di vendite, è costituito dalla traduzione in tedesco della Bibbia di Lutero. La prima edizione del Nuovo Testamento uscì nel settembre del 1522. Nonostante l’alto prezzo (un fiorino e mezzo), se ne vendettero in poche settimane cinquemila copie, e in dicembre si era già resa necessaria una seconda edizione; nei due anni seguenti ne uscirono quattordici edizioni autorizzate e sessantasei plagiate. Il Vecchio Testamento cominciò ad apparire a puntate nel 1523 e la prima Bibbia completa uscì nel 1534. L’edizione del 1541 fu di millecinquecento copie e, Lutero vivente, uscirono quattrocentotrenta edizioni della Bibbia completa o parti di essa. Due secoli dopo, la Byble Society fondata ad Halle, nel 1711, fu la prima stamperia che portò a termine la produzione in massa di edizioni economiche: nei primi trent’anni essa stampò trecentoquarantamila copie di un Nuovo testamento, e quattrocentottantamila raccolte complete delle Scritture. Nel 1811 la Oxford University Press vendette, il giorno stesso della pubblicazione, un milione di copie del Nuovo Testamento; e due giornali americani si fecero telegrafare interamente il testo per distribuirlo come supplemento alle loro normali edizioni quotidiane. Queste edizioni economiche, tuttavia, non hanno mai impedito la vendita delle costose edizioni di lusso o erudite. Plantin potè stampare ben milleduecento copie della sua famosa Bibbia poliglotta in otto volumi, uscita tra il 1568 e il 1573. E la Bibbia da pulpito della Oxford University Press, disegnata da Bruce Rogers nel 1929 e messa in vendita nel 1935, la cui tiratura si pensava bastasse per 50 anni, era già esaurita nel 1955 e se ne dovette riniziare la ristampa.
La Bibbia è stato il primo best-seller dagli inizi della storia della stampa, destinato a diventare anche il primo steady-seller al mondo; non ci sfiora, né ci interesserebbe, dedurre da questo dato storico il valore intrinseco della Bibbia. Ci chiediamo, però: – Anche questo fatto storico sarà solo un caso? O la Bibbia, forse, rappresenta la migliore “offerta reale” a quella “domanda di Dio” che accompagna l’uomo costantemente nel tempo, e diffusamente nello spazio, da sempre?