Cercatori di Dio – I

La festa dell’Epifania appena trascorsa pone al centro il racconto dell’evangelista Matteo sui Magi. Figure per certi versi sfuggenti, dai tratti incerti, ma indubbiamente affascinanti: scienziati, astronomi, uomini di cultura, che si mettono in cammino, inseguendo una sete di conoscenza che alla fine sarà saziata in modo speciale, probabilmente inatteso, dalla contemplazione di un Bambino in braccio a sua Madre.
Il Vangelo offre indicazioni molto vaghe sul conto di questi personaggi misteriosi: vengono dall’Oriente, seguono una stella e cercano «il Re dei Giudei che è nato» (Mt 2,2). Poche informazioni, ma essenziali. Questi «primi pellegrini della fede» lasciano le loro terre lontane in cerca di Qualcuno, di cui già intravedono la luce. La loro peculiarità sta proprio nella provenienza: essi non appartengono al popolo di Israele, eppure per primi riconoscono i segni della venuta imminente del Messia e si mettono in cammino per vederlo. La loro ricerca parte per così dire «dall’esterno», ma non può prescindere dal contributo di chi conosce «dall’interno»: tappa obbligata è Gerusalemme, dove i Grandi Sacerdoti e gli Scribi del popolo, riuniti al cospetto del re Erode, indicheranno loro la strada verso Betlemme. La indicheranno, ma non si metteranno in cammino a loro volta. Questi esperti conoscono la via e sanno additarla agli altri, ma non hanno la gioia, l’interesse, l’entusiasmo, il desiderio di percorrerla per giungere alla meta. Attenderà il re Erode di conoscere l’esito del cammino. Attenderà – invano ahilui! – con l’intenzione di portare la morte a Colui che pare destinato a privarlo di ciò a cui più tiene: il potere. «Perché temi, Erode, il Signore che viene? Non toglie i regni umani, chi dà il regno dei cieli» (Inno ai secondi Vespri, giorno dell’Epifania).
Il Vangelo dell’Epifania presenta tre tipi umani: il cercatore (i Magi), non necessariamente educato alla fede, ma dotato di una mente tanto aperta e di un cuore tanto umile da saper riconoscere i segnali e mettersi in cammino verso la verità; il segnale stradale (Sacerdoti e Scribi), esperto conoscitore della strada, ma tanto ottuso e pigro da non volerla percorrere; l’ipocrita, apparentemente interessato a percorrere la strada, realmente chiuso nei propri interessi. Solo il primo tipo di viaggiatore raggiungerà la meta, troverà il tesoro e non sarà privato di nulla. Perciò i Magi sono un modello per tutti i «cercatori di Dio».
Chi cerca, è bene che abbia chiaro l’oggetto della ricerca. I Magi giunsero a Gerusalemme con una precisa domanda: «Dov’è il Re dei Giudei?» (Mt 2,2). Avevano dunque ben chiaro quale fosse il loro obiettivo, anche se non sapevano dove avrebbero potuto trovarlo. Similmente Andrea e Giovanni, non appena videro passare Gesù, presero a seguirlo: sapevano che Egli era l’Agnello di Dio (gliel’aveva detto il Battista, Gv 1,36). E alla domanda del Maestro «Chi cercate?», essi risposero: «Rabbì, dove abiti?». I primi discepoli, come i Magi, sono alla ricerca di un Uomo di cui intuiscono l’identità, ma non sanno esattamente quale strada potrà condurli a Lui. L’invito che Gesù rivolge loro, vale per tutti i cercatori di Dio: «Venite e vedrete» (Gv 1,39).
Cercare Dio significa dunque innanzitutto aprirsi a Lui per scoprire la sua identità; quindi seguirLo con disponibilità, per vedere dove Egli vorrà condurre chi lo cerca. Il cammino dei Magi non termina nel momento in cui essi mettono piede nella casa e adorano il Bambino. Essi infatti, dopo aver incontrato Colui che stavano cercando, si rimettono in viaggio «per un’altra strada» (Mt 2,12): cos’altro rappresenta questa via diversa se non un cambiamento di vita, che è diretta e inevitabile conseguenza dell’incontro con il Signore? E la vita di Andrea e Giovanni non è forse cambiata radicalmente nel momento in cui hanno preso a seguire il Cristo? La ricerca non termina nel momento dell’incontro, ma continua in una modalità nuova, segnata dalla presenza luminosa del Signore.
Resta però fondamentale la domanda, che è la stessa nei Magi e nei discepoli: «Dove?». Dove cercare Dio? Scrive Anselmo d’Aosta: «Orsù, dunque, o Signore Dio mio, insegna al mio cuore dove e come possa cercarti e dove e come possa trovarti» (Proslogion). Si direbbe però che il teologo intuisse già il luogo in cui avrebbe potuto trovare il Signore, poiché nello stesso brano esorta: «Orsù, omuncolo, abbandona per un momento le tue occupazioni, nasconditi un poco ai tuoi tumultuosi pensieri. Abbandona ora le pesanti preoccupazioni, rimanda i tuoi laboriosi impegni. Per un po’ dedicati a Dio e riposati in Lui. “Entra nella camera” del tuo spirito, escludi da essa tutto, all’infuori di Dio e di ciò che ti possa giovare a cercarlo, e, “chiusa la porta”, cercalo. Di’ ora, o “mio cuore” nella tua totalità, di’ ora a Dio: “Io cerco il tuo volto; il tuo volto, o Signore, io cerco” (Sal 27, 8)». Riecheggiando le esortazioni di Gesù circa la preghiera intima e personale (Mt 6,6), ecco individuato il luogo dell’incontro: la camera dello spirito, le profondità del cuore, uno spazio chiuso a chiave da cui restino escluse ansie e preoccupazioni, un recinto di grazia in cui vi sia spazio per Dio e basta.
D’altra parte il cuore è «autentico sacrario della persona» (Porta fidei, 10), che consente di vedere e comprendere, e dunque di credere. Anche il viaggio dei Magi e la ricerca dei discepoli non avrebbe avuto successo se il loro cuore non avesse costituito un terreno fertile perché la Grazia attecchisse e portasse frutto. Duro fu il cuore dei Sacerdoti e degli Scribi, di Erode e dei molti che, pur incontrando Gesù sulla propria strada, non ne trassero alcun giovamento. Lo incontrarono, eppure non si misero in cammino dietro a Lui. Non lo riconobbero, forse perché non lo cercarono davvero. Davanti al loro esempio acquista maggior peso l’invito del Signore, valido ieri, oggi e sempre per tutti i cercatori di Dio: «Cercate e troverete» (Lc 11,9). Invito che racchiude la speranza e la certezza del successo di questa ricerca.