“Evangelizzazione flebile, se il cristiano è debole”

«Se l’evangelizzazione è flebile, spesso questo è il risultato di cristiani deboli, che non vivono profondamente i misteri che celebrano». Ne è convinto il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, che oggi è intervenuto al seminario di studio dei vescovi italiani in corso a Roma, a porte chiuse fino a domani, sul tema “Credere in Lui ed attingere alla Sua sorgente. Anno della fede e nuova evangelizzazione”.
Il rapporto tra evangelizzazione e liturgia, secondo il cardinale che ha tratto spunto dal recente Sinodo e dai 50 anni del Concilio Vaticano II, è decisivo in ordine all’efficacia della missione della Chiesa: «Quando la partecipazione alla liturgia – ha ammonito il presidente dei vescovi italiani – viene considerata come una delle tante cose da fare, senza lasciarsi trasformare e coinvolgere in profondità dal mistero celebrato, anche lo slancio e la passione per il Vangelo e per il suo annuncio viene meno». Una tesi, quest’ultima, che il cardinal Bagnasco ha sostenuto spiegando che la forza evangelizzante della liturgia è tanto più arricchita di vigore quanto più è alta la qualità dell’esperienza che si vive, specialmente attraverso i verbi dell’udire, del vedere, del toccare e del contemplare.
A detta del cardinale, sono questi i verbi che descrivono anche ciò che l’uomo sperimenta nelle celebrazione liturgica e che dimostrano come la dinamica della fede non può essere ridotta all’accoglienza di alcuni contenuti veritativi, ma comporta l’aprire la porta a Cristo: «Vivere la liturgia – ha precisato l’arcivescovo di Genova -, in particolar modo la celebrazione dell’Eucaristia, come reale incontro con Cristo, riscalda il cuore e aiuta a capire che fede autentica è quella che è pervasa da amore per il Signore, un amore che coinvolge il cuore come autentica passione per Gesù Cristo e che sappia essere intelligente, che sappia cioè entrare progressivamente nella logica di Dio, con una ragione che non rinunci alla fatica della ricerca e a rendere ragione della propria speranza».
Un amore che coinvolge l’uomo in tutte le sue energie, del corpo e dello spirito: «Non è pensabile un amore per Dio solo intimistico o emotivo – ha aggiunto il cardinale – secondo il quale la celebrazione liturgica riscatta e purifica l’amore dell’uomo verso Dio dal rischio di un soggettivismo illusorio, che pretende di amare Dio con modalità che l’uomo pensa siano le migliori o le più rispondenti ai suoi propri bisogni». Nel rito liturgico, infatti, l’uomo agisce non come primo attore, ma come destinatario dell’azione di Dio che è il grande protagonista. Nel rito l’uomo è attivamente presente, ma a sua volta viene trasformato da ciò che celebra: «La liturgia, se ben celebrata e vissuta – ha concluso il presidente della Conferenza episcopale italiana – opera la conversione del cuore e della vita: diventa “porta della fede”, nel senso che conduce all’incontro con Cristo e lo realizza».
Nell’ambito del seminario, si è espresso anche l’arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori, che ha lanciato un monito ai cattolici italiani: «Nonostante l’identità italiana – ha sottolineato il porporato – sia segnata indelebilmente dall’annuncio e dell’evento cristiano, è anche evidente il rischio che l’adesione al fatto cristiano si riduca a fenomeno di religione civile. Nel generale smarrimento del bene comune, si affaccia il rischio che anche la fede sia vissuta e celebrata in forma privata, generando una sorta di “diaspora” per la quale, proprio in ordine alla fede, non è più rilevante la modalità in cui vengono pensati i vissuti umani».
L’aspetto più grave è quindi caratterizzato dal consolidarsi di una cultura che mette Dio tra parentesi e che scoraggia ogni scelta impegnativa, in particolare quelle definitive, per privilegiare invece, nei diversi ambiti della vita, l’affermazione di se stessi e le soddisfazioni immediate: «Il compito della Chiesa – ha avvertito il cardinale Betori – è quello di proporre un “vero umanesimo”. È il falso concetto di autonomia ciò che incrina la cultura odierna, quella secondo cui la persona si pensa tanto più felice quanto si sente prossima a fare ciò che vuole».