Kenya: i bambini non si toccano
Giacche di bambini insanguinate e scarpe sparse sul pavimento della chiesa, circondate da resti di lamiere e di ferro rotti e contorti dalla forza dell’esplosione. È questa l’immagine agghiacciante riportata dalla Chiesa anglicana del Kenya all’indomani dell’attacco alla parrocchia di San Policarpo in Nairobi.
«Verso le ore 10,25 stavo preparando i bambini per la lezione del catechismo – racconta il custode della chiesa, Paul Muigai – ed eravamo in attesa del loro insegnante, Sammy Gichira. Erano sul punto di arrivare in classe quando è avvenuta l’esplosione». Tre bambini sono stati portati al Guru Nanak Hospital e altri quattro al Radiant Hospital e poi trasferiti al Kenyatta National Hospital. Già domenica sera, cinque di loro sono stati dimessi. Ma due non ce l’hanno fatta».
Una “guerra”, seppur mai giustificabile, ha delle regole: i bambini non si toccano. Ma è evidente che l’odio, sempre codardo, cancella ogni frammento di dignità: «Questo attacco è una provocazione crudele – afferma con forza Eliud Wabukala, leader della Chiesa anglicana del Kenya – ma faccio appello ai cristiani perché non alimentino la violenza con la violenza, sia con le parole che con l’azione».
L’attacco di domenica è tra i tanti che si sono succeduti in questo ultimo periodo prendendo di mira le chiese cristiane in diverse parti del Paese. La tensione è salita da quando le forze di difesa del Kenya (Kdf) hanno attraversato la Somalia a seguito di un’ondata di rapimenti che si sospetta essere stati ideati da Al-Shabaab.
Si susseguono gli appelli di polizia e parlamentari, insieme ai responsabili delle diverse confessioni, perché ci si astenga da attacchi di rappresaglia. Ma la sensazione è che gli attentati si possano trasformare in una vera e propria “guerra di religione”.