Sempre meno le opportunità di lavoro
Il 65,5% dei lavoratori italiani ha un contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato e il 18,2% un’attività autonoma continuativa, mentre la quota degli apprendisti è pari all’1,4% e il 12,4% degli occupati ha un contratto non standard. Sono questi i dati salienti, resi noti negli ultimi giorni, emersi da una ricerca dell’Isfol Plus, l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, elaborata mediante una rilevazione sull’offerta di lavoro che coinvolge, annualmente, circa 40 mila individui tra i 18 ei 64 anni: «L’incidenza di occupazioni atipiche è decisamente sbilanciata per età – spiegano i ricercatori – coinvolgendo maggiormente i giovani: solo il 54% tra i 18 e i 29 anni è a tempo indeterminato, poco meno del 10% sono autonomi, circa l’8% ha un contratto di apprendistato e quasi il 25% rientra nell’atipico».
Nello specifico sono le donne, i laureati e i residenti nelle regioni meridionali ad essere più coinvolti nel lavoro non standard. Quanto all’orizzonte temporale dei contratti atipici, la metà dei dipendenti atipici ha una continuità che va dai 7 ai 12 mesi e solo un quarto supera l’anno: «Possiamo parlare – ha affermato Aviana Bulgarelli, direttore generale dell’Isfol – di un mercato del lavoro meno permeabile, in cui l’ingresso nel mondo del lavoro prima e la stabilizzazione delle posizioni lavorative poi avvengono con più difficoltà».
E se da un lato, il lavoro non standard aumenta le possibilità di conseguire un impiego stabile, dall’altro la velocità di trasformazione di conversione dei contratti flessibili in occupazioni stabili si è ridotta e gli esiti negativi sono aumentati: «Un segnale – ha spiegato il direttore dell’Isfol – che la crisi l’hanno pagata in particolare gli atipici e coloro che nel mondo del lavoro ancora non erano entrati a fine 2008. In conseguenza della crisi globale l’andamento dell’occupazione, e in particolare di quella a termine, ha subito in Europa una netta contrazione nel biennio 2008-2010».
Comunque, in tutti i Paesi europei vanno rapidamente affermandosi politiche volte alla creazione di posti di lavoro, una necessità complementare alle azioni di risanamento finanziario. In definitiva, in base ai dati a disposizione, tra i contratti è quello di apprendistato ad offrire le maggiori probabilità di mantenere il posto di lavoro, per poi passare nel lavoro a tempo indeterminato: «L’apprendistato – ha concluso la Bulgarelli – nella sua natura formativa, permette ai giovani di acquisire le competenze tecniche e trasversali richieste dalla domanda di lavoro e non sufficientemente fornite dal sistema di istruzione e formazione i cui curricula non consentono, al contrario degli altri Paesi europei, periodi di stage in impresa».