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Perché il debito pubblico ci zavorra

Il debito pubblico italiano è il principale problema che il nuovo governo deve affrontare, la crescita economica è l’arma migliore per sconfiggerlo.

Il debito pubblico italiano è il principale problema che il nuovo governo deve affrontare

Da quando, a Luglio 2011, si è iniziato insistentemente a parlare di spread, tassi di interesse, recessione, crisi è tornata all’onore delle cronache la situazione debitoria del nostro Paese.

Il debito pubblico è l’ammontare di denaro che lo Stato Italiano ha ricevuto in prestito e dovrà restituire. L’Istituto Bruno Leoni, tra gli altri, monitora su Internet con un apposito contatore l’andamento del debito, aggiornandolo costantemente. Oggi ammonta a circa 1.893.624.000.000 Euro, cifra che si legge 1.893 miliardi di Euro complessivi! L’istituto, sul suo sito, si “diletta” a dare un metro di comparazione a nostra portata per determinare l’entità di questo debito, del tipo: “equivale a circa 30.724 euro per ogni italiano, inclusi neonati e ultracentenari, ovvero 80.327 euro per ogni occupato. Tra gennaio e luglio 2010 il debito pubblico è aumentato di 50.100.143.820 euro, più di 7 miliardi al mese, 236 milioni al giorno, quasi 10 milioni di euro all’ora, 164.112 euro al minuto. Ogni secondo, questo debito immenso è cresciuto di 2.735 euro, più di quanto guadagni una famiglia media in un mese”.

Si tratta, quindi, di una vera e propria zavorra, un peso enorme che grava sui conti pubblici italiani. Infatti, essendo un debito, esso è generatore di interessi passivi. Ciò vuol dire che ogni anno il Governo, nella redazione del bilancio, deve tener conto del debito per stimare gli interessi da pagare. Ovviamente maggiore è il debito e superiori saranno questi interessi. A ciò si aggiunge la dinamica di sfiducia nei confronti del nostro Paese che sta portando, a parità di stock di debito, a richieste sempre più elevate dal punto di vista degli interessi da corrispondere.

Nonostante il debito pubblico (italiano ma anche di altri Stati) sia un problema molto serio della politica economica contemporanea non è il suo valore assoluto, cioè l’importo complessivo, a preoccupare in maniera sostanziale. Infatti il metro di paragone sopra citato, pur essendo utile a farsi un’idea, non è quello utilizzato per capire ed identificare la situazione. Ci sono due indicatori principali che vengono usati per analizzare l’andamento dello stock del debito pubblico: l’avanzo primario e il rapporto debito pubblico/PIL.

L’avanzo primario è il saldo complessivo del bilancio dello Stato al netto degli interessi passivi. Detto in parole semplici rappresenta la differenza tra le entrate dello Stato (in massima parte date da imposte) e le spese dello Stato senza includere tra queste gli interessi passivi. Una stima del 2010 riporta che i soli interessi passivi ammontassero (ai tassi di allora) a circa 70 miliardi di Euro. Se l’avanzo primario è positivo c’è la possibilità di pagare gli interessi senza ricorrere ad altro debito. La presenza di “avanzo” è importante per dare l’idea di un bilancio dello Stato capace di tenere fede agli impegni di rimborso presi. Per riequilibrare la situazione lo Stato potrebbe intervenire sulle entrate, aumentandole o con una superiore pressione fiscale (maggiori tributi in percentuale rispetto al reddito) oppure con un aumento del reddito che, a parità di pressione fiscale, porti un aumento delle entrate. Dall’altro lato si può intervenire sulle spese, cercando di comprimerle, ridurle, renderle più efficienti ed efficaci.

Il rapporto debito pubblico/PIL (Prodotto Interno Lordo) è la semplice divisione dell’ammontare del debito pubblico per il totale della ricchezza prodotta in Italia in un anno. Nel 2010 questo rapporto si attestava intorno al 120%. I trattati di istituzione dell’Euro prevedevano un rapporto debito pubblico/PIL tendente al 60% mentre il nostro è passato dal 103% circa del 2008 al 120% del 2010! Come si fa a riequilibrare questo rapporto? Bisogna intervenire o sul numeratore, riducendo il debito, oppure sul denominatore, facendo crescere il PIL.

C’è, quindi, un fattore comune tra i due indicatori citati: il miglioramento della situazione può ottenersi non tanto lavorando sulle entrate dello Stato in maniera diretta (maggiori imposte) quanto puntando a far aumentare il reddito degli italiani, i consumi, il PIL. Cioè bisogna puntare sulla crescita, sulla nostra capacità di produrre, di lavorare e sulla possibilità che le imprese riescano ad incrementare i propri fatturati in Italia e all’estero.

 

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Davide Di Fulvio, laureato con lode in Economia Aziendale e specializzato con stessa valutazione in Amministrazione di impresa, ha operato e tuttora collabora con importanti realtà nazionali e multinazionali nell'ambito consulenziale, dell'industria, dei servizi e del mass market.
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